In un post precedente in cui si parla di un’assemblea di 200 monaci buddisti in Birmania, ho assunto erroneamente la posizione e la proposta di due monaci, a favore delle restrizioni di matrimonio tra buddisti e musulmani, come unanimemente accettata dall’assemblea in totale. Mi scuso con tutti i lettori.

Di seguito c’è l’articolo sempre dell’Irrawaddy.org che fa il resoconto complessivo di questa riunione che si è conclusa venerdì scorso con risultati totalmente differenti, ed il resoconto di un rapporto dell’ONU sulla condizione dei rifugiati Rohingya nello stato dell’Arakan in Birmania. A chiudere il video di una emittente televisiva inglese sui rifugiati Rohingya in Thailandia.
La conferenza dei monaci buddisti fa un appello all’armonia e rigetta la proposta di legge delle restrizioni sui matrimoni tra buddisti e musulmani.
Una conferenza di due giorni dei monaci buddisti nella città di Hmawbi si è conclusa venerdì senza alcuna menzione alla proposta nazionalistica del monaco U Wirathu per sostenere una legge che porrebbe delle restrizioni sui matrimoni misti tra musulmani e buddisti. Invece gli organizzatori hanno fatto un appello all’armonia alla pace in Birmania denunciando la proposta.
“Accettare o non accettare le cosiddette restrizioni sui matrimoni tra fedi diverse è da decidersi in accordo con i diritti umani. Ognuno può sposarsi come meglio vuole” ha detto il monaco anziano e portavoce U Dhammapyia. “Non accetterò che qualcuno forzi un altro alla conversione alla loro religione. Se viola i diritti umani non possiamo accettarlo.” specificando inoltre che gli organizzatori non erano coinvolti nella stesura della legge.
U Wirathu, il monaco di Mandalay che guida la campagna nazionalistica 969, ha prodotto una bozza di legge di 15 pagine che richiedono alle donne buddiste che vogliono sposare un uomo musulmano di ottenere prima permesso dai propri genitori e dal governo locale.
La bozza che è stata fatta circolare nella riunione come tra i giornalisti, richiede anche che qualunque uomo musulmano che sposi una donna buddista di convertirsi al buddismo. Chi non segue la regola potrebbe essere condannato a dieci anni di prigione e subire la confisca della proprietà.
Nella conferenza stampa del giovedì U Wirathu aveva difeso la bozza di legge, seduto al fianco di U Dhammapyia e Ashin Asekeinda. Ma venerdì pomeriggio, Ashin Saekeinda ha detto che non sapeva chi avesse fatto circolare la bozza tra i partecipanti e i giornalisti, aggiungendo che comunque non rappresentava la posizione della convenzione dei monaci.
“Non so chi ha prodotto la legge. Ho gestito personalmente la riunione. L’ho organizzata democraticamente facendo partecipare chiunque. Ho detto che solo i comunicati unitari fatti durante gli incontri sono ufficiali. Altre istanze non hanno nulla a che fare con l’incontro” ha precisato il monaco.
Lunedì otto gruppi femminili di Rangoon, tra le quali il Gruppo di Azione delle Donne Karen, il network delle Donne di Generazione 88 e il Gruppo di Sostegno delle Donne del Triangolo, hanno emesso un comunicato congiunto sulla proposta di legge del monaco U Wirathu che “vuole proteggere la libertà delle donne buddiste”.
In detto comunicato si dice: “Le donne buddiste sono l’obiettivo di questa bozza di legge e non ne sappiamo nulla. Chi ha proposto la legge sono i monaci che non rappresentano le donne” ha detto Zin Mar Aung, fondatrice del Gruppo sullo studio di genere “Rainfall”.
Alla fine dell’assemblea i 227 partecipanti hanno emesso un comunicato che tratta delle tensioni continue tra le comunità.
“Promuoviamo la coesistenza pacifica con tutti quelli che vivono nel nostro paese” dice il comunicato, dove si dice che la convenzione ha identificato sette area da focalizzare che includono “la risoluzione del conflitto secondo i metodi buddisti”, “promuovendo gli studi che portano alla costruzione della pace” e “l’applicazione della legge e dell’ordine per la coesistenza pacifica”.
“Ci opponiamo ad ogni azione, alle false accuse o affermazioni contro il buddismo che vanno a detrimento del buddismo e alla dignità dei monaci buddisti”.
Ashin Saekeinda ha detto: “Questi punti son ostati detti per conto di tutti i monaci nel paese. E’ uno sforzo per educare tutti i monaci sulla pace, se non dovessero averlo capito prima. E’ una discussione per la coesistenza pacifica delle religioni”.
Il monaco ha continuato dicendo che il numero simbolico 969, che si suppone rappresenti il fondamento della filosofia buddista e del suo insegnamento, è attualmente usata male da alcuni durante il periodo fragile della transizione democratica. “Al momento, la morale di chi ha meno di 35 o 40 anni è rovinata e si sono allontanati dalla pace. E in quanto moralmente distrutti proviamo a guidarli attraverso i sermoni. Qui il numero 969 è sfruttato per fini malvagi da qualcuno.” ha detto Ashin Saekinda.
Il movimento nazionalista 969, guidato dal monaco U Wirathu, spinge le comunità buddiste in tutta la Birmania a rifuggire dal contatto con i negozianti musulmani e sostenere i negozi buddisti, infiammando con la sua campagna e tensioni settarie tra musulmani e buddisti per tutto il paese.
Le prime violenze sono scoppiate nell’Arakan lo scorso giugno diffondendosi poi in tante altre cittadine della Birmania. Centinai di persone sono morte e 150 mila sono i rifugiati interni, per lo più musulmani, che sono stati costretti a salvarsi la vita fuggendo dalle proprie case. Monaci buddisti appartenenti a questo movimento nazionalista sono accusati di aver apertamente sostenuto la violenza invitando la gente a cacciare i musulmani da dalle città e dai villaggi per ripristinare “la dominazione buddista”. In alcuni casi si sono visti i monaci partecipare e organizzare la violenza per le strade.
La condizione dei profughi Rohingya nell’Arakan definita tetra dall’ONU.
Un rapporto dell’ONU sui 140 mila rifugiati interni dello stato dell’Arakan definisce tetre le condizioni di vita dei Rohingya nei campi. “L’assistenza umanitaria è una misura temporanea per rispondere ai bisogni immediati. Soluzioni sostenibili devono essere trovate per una pace e l’armonia durature tra le genti dello stato di Rakhine (Arakan)”. Ha detto Ashok Nigam dell’ONU.
Attualmente alimenti e rifugi momentanei sono forniti dalle agenzie umanitarie ma altri problemi devono essere affrontati urgentemente come l’istruzione dei bambini e la costruzione di misure di fiducia tra le comunità. “la riconciliazione tra le comunità è la priorità maggiore. Devono essere affrontate le cause radicali delle tensioni che esistono tra le persone. Queste tensioni alimentano la paura e il risentimento. Se le si lascia irrisolte, divideranno le comunità ancor di più”

Nigam ha inoltre chiesto che sia affrontato lo status di cittadini dei Rohingya. “Le conseguenze dello stato apolide dei musulmani nello stato Rakhine continua ad avere un effetto diretto sui diritti umani fondamentali e sullo sviluppo sociale ed economico della Birmania”
Sono almeno 167 le persone morte nell’Arakhan e oltre diecimila le costruzioni distrutte.