Il nuovo governo del presidente Birmana Thein Sein potrebbe rappresentare una grande differenza per il futuro della propria nazione e della sua gente se fosse onesto nel portare un cambiamento positivo.

Sarebbero sufficienti alcune cose per dimostrare alla comunità internazionale che, nuovo capo a Naypyidaw, non è un burattino nelle mani dell’uomo forte, il generale Than Shwe, e i suoi alleati della vecchia giunta.
Un’azione sarebbe affrontare i diritti umani e la corruzione. Dopo tutto, Thein Sein è stato descritto come un nuovo capo pragmatico capace di introdurre cambiamenti e trasformazioni in una amministrazione tanto odiata.
Simili affermazioni sulla attuale situazione birmana sono state fatte da Tomas Ojea Quintana, inviato speciale ONU per i diritti umani in Birmania, e Vijay Nambiar, un vecchio inviato in Birmania dell’ONU. A Quintana non è stato dato un visto di entrata, mentre a Nambiar era stato permesso agli inizi di maggio di rivedere i possibili progressi che il nuovo governo ha raggiunto o promesso di conseguire: entrambi sono rimasti delusi.
Prima di tutto, nel campo delle violazioni dei diritti umani esse sono continuate incessanti. Quintana osservava correttamente che c’è una militarizzazione sistematica che porta agli abusi lungo la frontiera birmana con la Thailandia. Confisca della terra, lavoro forzato, spostamento interno di popolazioni e violenze sessuali sono molto diffuse. E’ un fatto molto risaputo che l’esercito birmano ha usato lo stupro come un’arma per terrorizzare le minoranze, specialmente nelle aree dominate dagli Shan.
Ancora più importante, il processo di riconciliazione nazionale deve ancora avere un inizio tangibile. C’è stato qualche segno positivo da parte governativa rispetto ad alcuni gruppi di minoranza, quali la prospettiva di un cessate il fuoco con i ribelli dello stato Kayin e il rilascio di prigionieri politici nello stato Shan. Ma devono esserci risultati concreti. A parte questo il quadro complessivo resta negativo.
La scorsa settimana, un membro della segreteria di stato americana Joseph Yun, ha visitato la Birmania, la prima visita di un rappresentante di stato americano dall’insediamento del nuovo governo. Ai giornalisti ha dichiarato che Washington è ben disposta nel costruire legami più forti con la Birmania a condizione che ci siano miglioramenti nei diritti umani, il rilascio dei prigionieri politici e un governo migliore. Per la fase attuale continuano le sanzioni contro la Birmania e continuerà così se non saranno accettate le condizioni già dette.
Aung San Suu Kyi ha invitato gli USA a continuare a mantenere le sanzioni finché non ci sia un sufficiente miglioramento nei diritti umani poiché quelle hanno colpito i capi militari al potere.
Senza dei positivi sviluppi in Birmania, ASEAN non dovrebbe neanche prendere in considerazione la Birmania come presidente dell’ASEAN nel 2014. Il ministro degli esteri indonesiano, Marty Natalegawa, deve ancora recarsi a Naypyidaw per verificare la situazione sul campo. Per fortuna, i capi di stato dell’ASEAN hanno soprasseduto alla decisione se dare alla Birmania la presidenza fino a Novembre. Sebbene la presidenza proposta sia tra tre anni, la situazione birmana potrebbe avere ripercussioni tra i gruppi regionali e i suoi partner di dialogo, gli USA. Forum condotti dall’ASEAN, quali East Asia Summit, potrebbe risentirne molto, se Washington rifiutasse di partecipare a causa di mancanza di progresso in Birmania. L’ASEAN non si può permettere questo tipo di confutazione diplomatica.
Sin dalla sua ammissione nell’ASEAN nel 1997, la Birmania l’ha fatta franca per le sue tante brutali atrocità e dubbie misure. Giudicando da questa storia, è dubbio che Naypyidaw affronterà i passi necessari per andare incontro a quanto richiesto dall’ONU e dalla Comunità Internazionale. Solo uno sforzo internazionale ben coordinato può aiuare la Birmania a cambiare per il meglio.
TheNation
BIRMANIA: Alla ricerca della presidenza dell’ASEAN del 2014
A seconda del modo di guardarla, ASEAN è un’impresa lungimirante che si propone di raggiungere un’unità tra i suoi più diversi membri, oppure uno sforzo caotico di presentare un fronte unificato nonostante le spesso inconciliabili differenze.
In certi momenti sembra di trovarsi di fronte più al secondo caso: la Thailandia e la Cambogia si stanno combattendo l’un l’altra e l’ASEAN sembra incapace di fare qualcosa.
Quello di cui il blocco ASEAN ha bisogno in un periodo come questo è di mostrare una reale volontà politica, una dimostrazione dell’atteggiamento da «uniti possiamo resistere, divisi cadiamo» che, spesso, si manifesta, quando uno qualunque dei suoi membri viene scelto dalla critica dell’occidente.
Ringraziamo la Birmania, allora, ed il suo nuovo governo che vogliono fare la propria parte per allontanare l’attenzione dalle profonde divisioni nell’ASEAN, introducendo una non questione controversa che è importante solo per la Birmania stessa: la sua richiesta di presiedere l’ASEAN nel 2014.
Il primo ministro, e presidente della Birmania, il già generale Thein Sein, ha rinnovato la richiesta di presidenza dell’ASEAN nell’ultimo summit dell’ASEAN, a Giacarta, la scorsa settimana. Era la sua prima missione all’estero a Marzo e perciò una specie di festa di rivelazione per i nuovi ministri civili birmani.
Comunque, la risposta dell’ASEAN, un cenno provvisorio di assenso, è stata poco entusiasmante e mostrava la riluttanza dell’assise nello scontrarsi con i maggiori partner del dialogo occidentale. Nel 2006 il regime birmano fu costretto a rinunciare alla sua richiesta di presidenza a causa della condanna internazionale della sua storia di violazioni dei diritti umani e della violenta repressione dei dissidenti, compreso l’attacco al leader dell’opposizione birmana Aung San Suu Kyi e ai suoi sostenitori nel maggio 2003.
Benché alcuni dei membri dell’ASEAN possano volere dare alla Birmania il beneficio del dubbio questa volta, in considerazione che ha fatto un passo che l’allontana dal governo militare diretto, altri, specie gli USA, sono meno propensi ad essere influenzati da cambiamenti che secondo molti sono solo di facciata. Ciò vuol dire che, ancora una volta, la Birmania potrebbe mettere l’ASEAN in una posizione molto difficile.
In tempi normali sarebbe onere dell’ASEAN trovare un modo per soddisfare le richieste di una nazione da cui dipende fortemente sia per commercio che per la sicurezza, mentre allo stesso tempo deve riaffermare la sua solidarietà interna. Questa volta, comunque dovrebbero essere i governanti birmani a portare il peso maggiore. Se insistono nel dire che hanno le carte in regola per la presidenza, devono mostrare di voler mettere il bene più grande dell’ASEAN davanti ai propri interessi, dimostrando di aver davvero cambiato il modo in cui governano nella propria nazione.
Possono farlo rilasciando, per prima cosa, tutti i prigionieri politici birmani. Possono fermare tutte le loro offensive militari e violazioni dei diritti umani nelle regioni etniche. E possono iniziare i colloqui con tutte le parti politiche, compreso il partito ufficialmente sciolto NLD di Aung San Suu Kyi, sul come raggiungere una duratura riconciliazione.
Da presidente attuale dell’ASEAN, l’Indonesia può indicare con chiarezza quali sono i cambiamenti richiesti al successore in pectore quando invia il proprio primo ministro, Marty Natalegawa, in Birmania in una missione esploratrice che studi quanto il regime sia adatto alla presidenza.
Una volta che il ministro giunge in Birmania, dovrebbe incontrare i capi dell’opposizione e gli attivisti e chiedere persino il permesso per parlare con i più importanti dissidenti in prigione. Eli dovrebbe anche visitare le aree degli stati Shan e Karen dove, da decenni, hanno luogo vaste violazioni dei diritti umani. E per avere una più completa visione della scala della crisi umanitaria birmana causata dal conflitto, lui e i suo gruppo dovrebbe visitare le aree di frontiera ed incontrare i rifugiati e i rifugiati interni.
Se la Birmania è davvero intenzionata nell’assumere un ruolo di maggiore presenza sul palcoscenico della regione, deve voler affrontare i maggior problemi in casa propria. Allo stesso modo, se l’ASEAN non vuol diventare estremamente irrilevante, deve essere preparata ad affrontare il toro per le corna invece di pulire la polvere nascondendola sotto il tappeto. Cominciare con la Birmania è un buon inizio.
Editoriale de Irrawaddy.org 11 maggio 2011