La questione delle violenze etniche, contro la comunità Rohingya prima e musulmana dopo in Birmania, e dello stato Chin in generale ha attratto da tempo l’attenzione dell’ONU. L’inviato speciale dell’ONU sui diritti umani Tomas Ojea Quintana si è recato in Birmania per accertarsi degli eventi e parlare con tutti quanti su quanto avvenuto. Dopo aver visitato lo stato dell’Arakan e Lashio, nella città di Meiktila, dove scoppiarono forti disordini e sono morte tante persone, il convoglio del Rappresentante dell’ONU è stato bloccato da una folla di 200 persone (tra i quali sembra ci fossero esponenti del movimento 88 che in passato si batterono contro la giunta militare) che ha contestato la presenza del rappresentante dell’ONU costringendolo a non fare visita nei campi profughi musulmani. Di seguito riportiamo l’intervista di DVB a Quintana.
D. Lei si è incontrato con i dimostranti nello stato dell’Arakan e a Meiktila che l’accusano di favorire la popolazione musulmana. Qual’è la sua reazione?
Fui nominato dal Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU per aiutare tutte le comunità nel campo dei diritti umani in Birmania, ed è quello che faccio sin dall’inizio del mio mandato nel 2008. E potete esaminare i miei rapporti, che ho discusso dei problemi con le comunità negli stati dell’Arakan, Kachin e questa volta Chin. I miei rapporti sono comprensivi sulla situazione umanitaria.
D. A Meiktila mi sono trovato di fronte ad una folla che ha assaltato il convoglio. Ci può dire cosa è accaduto esattamente e cosa ha fatto la polizia? Come si è sentito? Ha ricevuto una risposta dalla polizia o dalle autorità locali?
Per prima cosa vorrei chiarificare che non posso confermare che queste duecento persone che si sono avvicinate alla mia auto, che hanno spinto, che hanno scalciato la porta e i vetri gridando parole ingiuriose, non posso confermare che fossero buddiste. Davvero ho temuto per la mia integrità personale. In aggiunta ho visto la polizia vicino che se ne stava lì mentre almeno 200 persone erano attorno alla mia auto. Ho discusso dell’incidente con il capo della polizia che ha espresso il suo rincrescimento per quanto accaduto e abbiamo discusso della mia sicurezza per i prossimi giorni, particolarmente nell’incontro dei media nell’aeroporto di Rangoon.
D. I medici per i Diritti Umani hanno messo in guardia questa settimana che il sentimento anti musulmano in Birmania possa raggiungere livelli “catastrofici” ed hanno menzionato il termine “genocidio”. Considera la situazione che sta crescendo a spirale? Quali misure devono essere implementate a livello di governo, giudiziario e civico?
La violenza che è scoppiata lo scorso anno ha causato vittime da entrambe le parti, sia nelle comunità buddiste che musulmane. D’altro canto ho ricevuto presunte accuse di omicidi di nelle comunità musulmane e ho personalmente visitato il distretto di polizia di Buthidaung. Posso confermare che lo scorso anno, durante la violenza, centinaia di musulmani furono soggetti all’uso sistematico di tortura. Sono crimini che il governo è obbligato ad indagare e a portare in tribunale i colpevoli. Rispetto alle soluzioni per lo stato dell’Arakan, credo ci sia bisogno di costruire legami e ponti tra le due comunità. Ecco perché ho visitato il monastero di Sittwe dove ho parlato molto con i monaci. Ho anche visitato il quartiere musulmano di Aung Mingalar a Sittwe e discusso della questione con i capi musulmani. Comunque ad avere il ruolo più importante in questa situazione è il governo della Birmania, cioè lo stato e le autorità centrali che devono lavorare in sintonia verso le soluzioni. Sembra che in alcune circostanze ci sia stata una disconnessione tra politiche che giungevano dal governo centrale e la loro implementazione da parte dello stato. Credo ci sia bisogno di untià per aiutare a costruire i ponti. Per quanto comprendo il governo sta ora cercando l’aiuto di una terza parte per coinvolgere entrambe le comunità. Sono preoccupato della politica di separazione e segregazione che, dall’essere considerata transitoria, sembra sia diventata permanente. Il problema è che questa politica di separazione colpisce per lo più la comunità musulmana poiché non hanno libertà di movimento. Non possono lasciare gli spazi che li ospitano. La mia raccomandazione perciò al governo è di cominciare a vedere modi differenti di affrontare la questione nello stato dell’Arakan differenti dalla separazione e segregazione.
D. Mercoledì notte ha menzionato le sfide che attendono compreso il bisogno storico di riconciliarsi con i gruppi etnici. Può spiegare meglio? Può dirci di più dei suoi colloqui negli stati Kachin, Chin e Shan?
Credo che la sfida più importante in questo processo di transizione in Birmania sia la riconciliazione tra il governo centrale e i gruppi di minoranza etnica. E’ un conflitto storico di cui soffre la Birmania da anni, specialmente la popolazione civile, i villaggi e la gente ordinaria. E’ una sfida che il governo affronta con un impegno consistente nel trovare le soluzioni. Accolgo volentieri ognuno dei cessate il fuoco che il governo ha raggiunto, ma credo anche che parallelamente agli accordi ci sia bisogno di misure a livello di base.
C’è bisogno di coinvolgere la gente ordinaria di queste comunità che hanno patito le conseguenze della violenza e c’è bisogno di credere che questo paese può portare un futuro migliore per le popolazioni della Birmania. Voglio ed insisterò che le comunità ordinarie nelle aree etniche siano consultate in modo giusto. E’ molto importante il ruolo delle donne in quest oaspetto che devono esser consultate sul modo di implementare il cessate il fuoco. E quei rifugiati che vogliono ritornare in Birmania, devono avere assolutamente una voce su come implementare gli accordi di cessate il fuoco.
D. Come giudica il progresso sulla questione della Miniera di Latpadaung dopo i suoi colloqui col comitato di applicazione?
Ho avuto un buon incontro con il comitato di applicazione della miniera di rame di Latpadaung. Sono stato informato delle misure prese per risarcire quelli che hanno perso la terra e questo va avanti. Credo che l’esistenza di una simile commissione sia un buon segno. Il governo sta provando ad affrontare quello che questo tipo di progetto può portare alle comunità. Allo stesso tempo mi preoccupano gli arresti di attivisti che credo meritino di essere rilasciati. Ora c’è una transizione democratica in Birmania, la libertà di espressione deve essere garantita.
In questo caso sono stati arrestati poiché dimostravano i propri interessi e gli interessi della loro comunità. Le dimostrazioni non possono essere amichevoli, e non parlo di violenza, ma le dimostrazioni sono proprio per esprimere preoccupazione, disaccordo. Questo è come funziona la libertà di parola e di espressione nelle società democratiche.
D. Fino a che punto è soddisfatto del modo in cui il governo birmano ha affrontato la questione dei prigionieri politici, e quale meccanismo ha bisogno ancora di funzionare per assicurare che le voci dell’opposizione politica continui ad essere ascoltata?
Ovviamente accolgo con piacere che tutti i prigionieri di coscienza saranno liberi entro la fine dell’anno. So che il governo lavora con il comitato dei prigionieri politici per stabilire nomi, numeri e località, per poter procedere al loro rilascio. Sebbene il comitato non lavori proprio bene, spero di vedere buoni risultati nel prossimo futuro.
Spero che nella lista dei prigionieri politici ci siano quelli in detenzione nello stato dell’Arakan, Sittwe specialmente. Forse non sono prigionieri politici ma sono stati arrestati in modo arbitrario. Nella prigione di Sittwe ho incontrato Tun Aung, capo musulmano prestigioso. Sono convinto che sia stato arrestato arbitrariamente e che meriti di essere rilasciato.
D.Quali passi propone per la sicurezza della comunità Rohingya in Birmania e nella regione? A parte la richiesta di emendare la legge sulla cittadinanza del 1982, quali altre misure propone di intraprendere? Ha avuto rassicurazione sulla non implementazione della politica dei due figli?
Sono stato informato dal governo che non esiste nessuna regolamentazione per la politica dei due figli. Mi è stato detto che nel passato, mentre le forze delle guardie di frontiera operavano nello stato dell’Arakan, la pratica della politica dei due bambini forse è stata applicata. Credo che il governo pian piano comprenda l’importanza di lasciare alle parti coinvolte di risolvere la situazione nell’Arakan. A questo riguardo spero che sia garantito l’accesso umanitario alle agenzie dell’ONU e che la riconciliazione diventi una priorità governativa. Non c’è un’altra possibilità per risolvere la situazione nello stato che non sia la riconciliazione. Lasciatemelo dire: il problema della verità, fiducia e giustizia è ancora viva.
Prima di arrivar in Birmania ero stato incoraggiato a partecipare alla commemorazione delle manifestazioni in favore della democrazia del 8 agosto 88. Mi compiacqui che il governo permettesse questo genere di manifestazioni perché mostra alla società che non si può dimenticare il passato. Ed è necessario rivedere il passato per costruire un futuro migliore.