La paura che uccide a Meiktila nel Myanmar centrale

Mon Hnin è una donna di quasi trentanni di Meiktila nel Myanmar centrale, ed ha passato tutta una notte di terrore del 20 marzo con la figlia e la suocera nelle boscaglie ai limiti del suo vicinato.

Un’ondata di disordini anti musulmani condotti da Buddisti estremisti era esplosa in quello stesso giorno nella polverosa città di una popolazione di centomila perone a 130 chilometri dalla capitale Nay Pyi Daw.

Al pari di tante altre case appartenenti a famiglie musulmane della città, anche quella appartenente a Mon Hnin era stata distrutta da una folla di buddisti nel quartiere di Mingalar Zay Yone per cui lei ed i suoi familiari dovettero trovare il primo rifugio possibile.

Il giorno seguente fu testimone di qualcosa ancora peggiore della distruzione della sua proprietà, come ha detto alla rivista “Spectrum” presso un rifugio vicino Meiktila dove ora vive con altri 3400 cittadini musulmani.

La boscaglia dove si era rifugiata con i familiari non è lontana dalla scuola islamica locale dove è accaduto uno delle peggiori violenze. Secondo vari testimoni oculari, quella mattina la folla attaccò la scuola uccidendo almeno 30 studenti e quattro docenti.

Mon Hnin disse di aver visto circa 30 poliziotti arrivare verso le 8 di mattina, e vide, da dove si trovava, che i docenti e gli studenti lasciavano alla polizia le armi improvvisate che si erano costruiti per difendersi. La donna disse che ad un gruppo di studenti era stata offerta la possibilità di essere evacuati sui mezzi della polizia, ma essi furono attaccati dalla folla prima di raggiungere i veicoli.

Uno di quelli uccisi era suo marito, un macellaio Alal pugnalato a morte. I poliziotti presenti non fecero nulla per fermare la carneficina. Subito dopo Mon Hnin, sua figlia e sua suocera trovarono rifugio presso un vicino buddista. Dal 20 al 22 marzo questa cittadina fu presa dalla violenza peggiore faziosa dall’inizio dei pogrom che iniziarono nello stato Rakhine a giugno scorso.

A scatenare la violenza fu una lite tra il proprietario musulmano di una oreficeria e due buddisti che provarono a vendere dell’oro la mattina del 20 marzo. Sono emersi di questo incidente vari racconti differenti e contraddittori, ma senza dubbio una folla buddista rispose gettando pietre e finendo per distrugger l’edificio. Quella sera i disordini si fecero mortali quando verso le 5,30 del pomeriggio un monaco fu attaccato da quattro musulmani che lo uccisero dandogli fuoco. Il monaco morì in ospedale quella stessa sera. Qualche ora dopo la città era in fiamme quando un gruppo di buddisti liberò la propria furia sui musulmani e le loro proprietà sotto lo sguardo delle forze di sicurezza che per due giorni sono rimasti a guardare la violenza senza fare nulla.

Molti testimoni hanno confermano l’incapacità della polizia a prevenire la violenza. Uno è il parlamentare della lega della Democrazia Win Htein, un ex ufficiale dell’esercito che ha passato venti anni di carcere per le attività politiche e che era il capo della sicurezza di Aung San Suu Kyi. Ha confermato a Spectrum di essere stato testimone della carneficina di fronte la scuola islamica.

“Ho visto con i miei occhi che due persone già morte e cinque altre uccise davanti a me”. Lui provò a difenderli ma fu minacciato dalla folla. Poi chiamò il ministro della divisione di Mandalay, generale Ye Myint dicendogli cosa accadeva. “Lui disse di aver già dato ordini di fare qualcosa alla polizia, ma non c’era assolutamente nulla che la polizia facesse.”

Ci volle ancora un giorno prima che l’esercito entrasse e restaurasse l’ordine, ma nel frattempo 42 persone erano già morte ed altre 60 ferite. Queste sono le stime ufficiali, ma la cifra reale potrebbe essere molto più alta se si considera che trenta perirono in un solo attacco.

Molti musulmani intervistati a Yangoon ed in altre città hanno la sensazione che anche Aung San Suu Kyi li abbia abbandonati ed hanno espresso il loro disappunto per la sua incapacità di una forte difesa delle comunità musulmane birmane. Uno degli aspetti della crisi che ha inquieta molti osservatori internazionali è stato il forte silenzio della Aung San Suu Kyi e del partito sulla questione.

Quando abbiamo detto questa cosa a Win Htein, ha risposto che il partito accetta “la colpa di non aver fatto i passi necessari in aiuto dei musulmani” aggiungendo che “ripareranno il danno in seguito, compreso cerimonie religiose e riunendo alcuni comitati, sebbene sia una cosa dura da fare”. Ha aggiunto di aver detto ad Aung San Suu Kyi di non andare a Meiktila: “Le ho consigliato io di non venire qui, poiché la gente mi accusava di sostenere i musulmani” Ha ammesso che questa decisione era il risultato di un calcolo politico ma ha aggiunto: “Non potrebbe dare una risposta ragionevole al conflitto. Quella è la ragione per cui le ho detto per non farla venire”

Un giornalista locale che fu testimone della carneficina ha detto di essere arrivata sulla scena alle 5 del pomeriggio e di aver visto una massa accatastata di varie decine di cadaveri a pochi metri dalla scuola islamica. Quando ritornò qualche ora dopo alla massa era stata data fuoco.

Il 21 marzo un giovane reporter vide e filmò sgozzare la gola di un musulmano da parte di un gruppo di buddisti prima che lo cospargessero di petrolio e gli dessero fuoco. Continuò a filmare anche se le era stato detto di finirla, e alla fine dovette scappare quando alcuni buddisti presero a rincorrerla picchiandola sulle spalle.

La giornalista disse che nei giorni in cui era a Meiktila vide solo buddisti portare armi e la violenza era esclusivamente da un lato mentre i musulmani erano quelli che la ricevevano.

Win Htein ha detto che gli attacchi erano spontanei e perpetrati da buddisti residenti della città, ma altri testimoni hanno affermato che gli assalitori erano sconosciuti e sembravano seguire un piano ben prestabilito.

A tre settimane da quelle violenze le zone musulmane di Meiktila sono vaste espansioni di costruzioni e auto annerite dal fuoco, e somigliano alle zone dove è passata una guerra o un disastro naturale, dove i poverissimi della città vanno alla ricerca nelle macerie di qualche cosa da recuperare e vendere. Più di 18 mila residenti, per lo più musulmani, sono stati cacciati dalle proprie case e vivono ora in campi controllati del governo che sono vietati ai giornalisti e che sono anche campi non ufficiali, come quello in cui vive Mon Hnin.

Il governo ha promesso di costruire le case distrutte nel giro di qualche mese, ma sono in pochi a credere nella capacità o persino nella volontà di ricostruzione. Molti musulmani temono che la propria situazione possa diventare permanente, come accaduto per i Rohingya nello stato di Rakhine, a differenza dei quali, però, i musulmani sono ufficialmente riconosciuti cittadini birmani.

La Violenza si diffonde

Dopo Meiktila le violenze contro i musulmani si sono diffuse in altre cittadine della Birmania Centrale avvicinandosi pericolosamente alla città maggiore birmana, Yangoon. Nella regione di Bago la stessa violenza contro la gente musulmana e la loro proprietà si è ripetuta in almeno 14 villaggi. Almeno 80 rifugiati da Minhla, una cittadina di oltre centomila persone, vive in una moschea di Yangoon dopo essere fuggiti ad una serie di attacchi il 27 marzo.

Ko Maung Win è un insegnante presso una moschea del posto e racconta che una folla di buddisti attaccò la sua moschea subito dopo le preghiere del pomeriggio, ma nessuno rimase ucciso o ferito.

L’uomo ed altri rifugiati raccontano che l’attacco era giunto all’improvviso senza una minaccia o un avvertimento, ma che le relazioni tra le due comunità erano peggiorate dopo che un monaco aveva fatto visita alla loro città alla fine di febbraio. Nel suo discorso invitava i musulmani a evitare i musulmani ed i loro negozi. Una donna che aveva un negozio nel mercato, ed ora rifugiata nella moschea, disse che aveva perso tanti clienti musulmani dopo quel discorso. Eppure quando cominciarono gli attacchi trovò rifugio in un suo vicino buddista.

La violenza non ha ancora raggiunto Yangoon ma in alcuni dei quartieri musulmani si sente una tensione palpabile specie di notte. Dai giorni degli attacchi a Meiktila i residenti di Mingalar Taungyungnunt, il più grande quartiere musulmano della città, hanno innalzato barricate e hanno istituito per le strade delle pattuglie notturne.

Le comunità musulmane sono piene di dicerie specie dopo l’incendio di una scuola islamica che ha preso la vita a 123 bambini a Yangoon alle prime ore del 2 aprile. Sono in pochi a credere la versione ufficiale dell’incendio accidentale che non ha testimoni oculari e che è stata formulata con molta fretta, creando così ancora più sospetti tra la gente.

Gli abitanti della zona dicono che ultimamente le strade sono percorse da persone che, coperti dall’oscurità della notte, gridano insulti e minacce. Molti temono che in occasione del capodanno buddista con il festival dell’acqua ci possano essere attacchi simili a quelli di Meiktila e Bago. Sono in molti a dormire solo qualche ora la notte, visto che devono lavorare al mattino e pattugliare le strade la notte. Ogni via di ingresso al quartiere viene bloccato da barricate improvvisate gestite da abitanti del luogo.

Tutti quanti gli intervistati ci tengono a dire che le loro relazioni con una stragrande maggioranza buddista sono sempre state e lo sono ancora pacifiche ed amichevoli. Accusano dei gruppi non ben definiti di Terroristi Buddisti.

Come tanti musulmani del paese, gli abitanti di Mingalar Taungyungnunt si sentono non protetti e d abbandonati dalle autorità locali e dal governo centrale. Durante i due giri di notte per il quartiere solo poche forze di polizia erano visibili per strada. “Non sappiamo chi sono queste persone, ma non abbiamo paura. Se ci attaccano risponderemo” dice un giovane su una barricata.

I sentimenti anti-musulmani trovano la loro espressione in una campagna chiamata 969 che incoraggia i buddisti a comprare solo da negozi buddisti per difendere il buddismo in Birmania da una presunta minaccia di islamizzazione. La campagna si intitola secondo i tre gioielli del buddismo, i 9 attributi del Buddha, i 6 attributi del suo insegnamento ed i 9 attributi della Sangha. Si trovano questi adesivi 969 nei negozi, sui tassì e nelle auto per Yangoon e nelle altre città.

Il portavoce più conosciuto del movimento 969 è Ashin Wirathu, un monaco di Mandalay, rinomato per i suoi ferventi discorsi contro i musulmani. Il monaco che ha l’apparenza di un ragazzo e una voce dolce ed un atteggiamento calmo è stato già in carcere nel 2003 per aver incitato a disordini contro i musulmani ma è stato rilasciato con l’amnistia del 2012. La rivista Spectrum lo ha incontrato nel monastero Masoeyein famoso per l’impegno politico dei suoi monaci.

Mentre siede tra le sue tante gigantografie, Wirathu spiega “la cospirazione musulmana” che minaccia a suo dire di bloccare la Birmania. Un uomo pieno di contraddizioni per il quale l’unica cosa che non si contraddice è la sua critica e la sua repulsione per l’Islam. Ha negato di citare nei suoi discorsi i Musulmani, ammettendo in seguito di parlare di loro, ma solo per informare la gente della realtà. Ad un certo punto ha detto persino che il 100% degli stupri del paese sono commessi da musulmani, tralasciando il fatto molto noto che l’esercito usa lo stupro come un’arma nella sua guerra etnica contro le minoranze del paese.

Il suo attivismo a suo dire risale al 1996 quando un musulmano che lui aveva convertito al buddismo gli diede un presunto messaggio segreto che circolava tra i musulmani birmani secondo cui cospiravano per rendere la Birmania musulmana. Il messaggio includeva un piano per sposare donne buddiste per convertirle e poi assumere il controllo dell’economia. Ashin Wirathu metteva in guardia che se i buddisti musulmani non facevano qualcosa, per il 2100 l’intero paese sarebbe assomigliata alla regione Mayu nello Rakhine, popolata per lo più da Rohingya.

Il monaco riconosceva che i buddisti avevano commesso delle violenze rifiutando però che i suoi discorsi incendiari avessero nulla a che fare, rifiutando di riconoscere che i suoi discorsi incitano all’odio verso i musulmani e restando sull’idea che lui “informava solo la gente”. Affermava che se la gente dovesse ascoltarlo, nessuno farebbe delle violenze nonostanteil fatto che ha dato uno dei suoi discorsi fondamentali a Meiktila solo alcuni mesi prima della violenza recente. Alla fine, come una soluzione al “problema musulmano” presentò una semplice formula: “I buddisti possono parlare con i musulmani ma non sposarsi; possono essere amici ma non commerciare”.

Le sue parole sono molto conosciute per il paese e lui trova il sostegno della comunità buddista che venera i monaci come i depositari ultimi della saggezza. Secondo Win Htein i discorsi di Ashin Wirathu sono diffusi negli autobus di gestori legati ai militari.

In una casa a Meiktila, Aye Aye Aung, una commerciante che possiede tre negozi in città, ha mostrato un CD di uno dei discorsi di Ashin Wirathu in cui mette in guardia contro la cospirazione musulmana. Ci mostrava anche l’arma, un coltello legato ad una lunga barra di ferro, che suo marito fece il giorno delle violenze per difendere la sua famiglia e la proprietà da possibili musulmani. Disse che voleva che i musulmani continuassero a vivere in quella città ma dovevano essere completamente segregati dal resto della popolazione.

Ashin Wirathu afferma che il 969 è una movimento di base che non ha finanziamenti dai ricchi e potenti e che gli adesivi sono distribuito da gente comune che agisce perché preoccupata per il paese. Ma vari commercianti a Mandalay hanno invece detto che gli adesivi sono distribuiti dai monaci del monastero di Ashin Wirathu.

Uno dei principali critici di Wirathu è Ashin Gambira, capo della “rivoluzione arancione” del 2007, che accusa Wirathu di infrangere il precetto del Buddha del “giusto discorso” che esorta le persone ad evitare du dire una cosa che potrebbe danneggiare gli altri. Secondo lui, il sentimento antimusulmano è stato attivamente promosso dalle forze armate durante i decenni di dittatura ed ora “l’odio si è instillato nella mente della gente” al punto che non ci vorrà molto per “farlo rivivere ad un qualunque momento”.

E’ un mistero chi si nasconde dietro questa campagna, ma sono in molti a credere che godono del sostegno di potenti figure. Secondo alcuni seguono la linea dei militari più reazionari che non vogliono rinunciare al loro potere e sono decisi a creare scontento per riaffermare la propria posizione. Il fatto è che le autorità gli hanno permesso di andarsene in giro a predicare l’odio in un momento delicato.

Ashin Pum Na Wontha è un monaco con una lunga storia di attivismo politico che nasce nel 1988, ed ora appartiene al Peace Cultivation Network che si ripropone di promuovere la comprensione tra fedi e comunità diverse. In una intervista recente ha detto che Wirathu è solo una marionetta “motivata dalla sua vanità e sete di notorietà”.

“Wirathu e il movimento 969 ricevono il finanziamento dagli amici del potere” dice riferendosi ad un gruppo di trenta uomini ricchi legati ai militari e al governo che controllano l’economia nazionale. Vari uomini musulmani hanno grandi proprietà sui quali, stando alla versione di Ashin Pum Na Wontha, il gruppo degli amici del potere vorrebbe mettere le mani. Crede anche che i militari siano coinvolti nelle violenze come un modo per destabilizzare il paese per avere la possibilità di ripresentarsi come la sola istituzione che può restaurare la legge e l’ordine. Non vogliono riprendere il pieno potere, come accaduto dopo il golpe del 1962 di Newin, ma ritornare al 1958 quando Newin prese temporaneamente il potere da U Nu, il primo ministro birmano dell’epoca, e stabilì un governo temporaneo che durò 18 mesi. In quel tempo l’esercitò poté presentarsi come difensore della democrazia e della stabilità del paese.

Le tensioni interreligiose ed etniche sono esistite in Birmania prima del pieno potere da parte di Newin nel 1962. Negli anni 30 esplosero a Yangoon disordini contro gli Indiani e contro i musulmani a causa del risentimento contro gli indiani che erano entrati in Birmania a seguito dell’arrivo degli inglesi. Come oggi i disordini erano incitati dai monaci buddisti nazionalisti.

NeWin e la giunta militare che lo rimpiazzò hanno usato questi discorsi ultranazionalisti e razzisti a loro favore. Musulmani ed altri religiosi non buddisti non potevano entrare nei piani alti dell’esercito e subito dopo il golpe di Newin, cacciò migliaia di Indiani dal paese.

Fu Newin ha foggiare il senso dell’identità Birmana come strettamente legato all’etnica e alla religione che hanno generato il terreno di varie ondate antimusulmane che ora rischiano di sfuggire al controllo e diffondersi in larga parte del paese.

Carlos Sardina galace, Bangkokpost.com/

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