Una bomba costituita da un oggetto esplodente improvvisato è stato fatto scoppiare durante la messa nel ginnasio Dipamoro dell’Università di Stato di Mindanao a Marawi nelle Filippine domenica 4 dicembre, uccidendo 4 persone e ferendone altre 50.
Dopo che il presidente Marcos Figlio ha denunciato immediatamente “questo crimine odioso e senza senso compiuto da combattenti stranieri”, la bomba è stata rivendicata dal Califfato Islamico dell’Asia Orientale sul suo canale Telegram.

La rivendicazione dell’ISEAP ha riportato alla memoria le vicende del 2017 che videro proprio in questa università l’inizio di mesi di scontri armati che piegarono questa unica città islamica delle Filippine agitando lo spettro di un possibile ritorno del ISIS a Marawi.
Il gruppo pro ISIS agente a Mindanao è il famigerato Gruppo Maute che ha giurato fedeltà a Daulah Islamiyah Philippines e che nelle ultime settimane aveva ricevuto sconfitte militari pesanti ad opera delle Forze Armate Filippine con la collaborazione del MILF.
Per il capo delle forze armate filippine Romeo Brawner l’attacco potrebbe essere un attacco di vendetta contro l’offensiva del governo del venerdì precedenti che uccise 11 membri di Daulah Islamiyah Philippines nella provincia di Maguindanao.
Brawner stesso ha ricordato che i militari filippini avevano ucciso due militanti islamici noti come Mundi Sawadjaan e Jalandoni Lucsadato in azioni coordinate. Mundi era un sottocapo di Abu Sayaff nipote di Hatib Hajan Sawadjaan, capo di Abu Sayaff ed ucciso nel 2020 che ideò le bombe di Jolo a Sulu.
“L’ammissione è giunta dal Califfato Islamico stesso ed infatti l’autoproclamato portavoce Sheikh Abdullah Alhamsari del IS Filippine ha reiterato la conferma di essere responsabili dello scoppio mortale” ha detto l’esperto Rommel Banlaoi alla televisione filippina ANC.
Se lo scopo è riprendersi Marawi, l’esperto della sicurezza filippino Rommel Banlaoi mette in guardia sulla fattibilità di questa operazione che oggi a differenza del 2017 sarebbe ben più difficile.
“La difficoltà nasce dal coinvolgimento delle autorità locali, dalle comunità sostenuti da più forti misure legali come l’applicazione della legge contro il terrorismo del 2020”.
Nel 2017 ci vollero cinque mesi di potenti bombardamenti perché i militari filippini potessero riprendere il controllo dalle mani dei militanti islamici legati ad Abu Sayaff e il gruppo Maute con la morte di 1200 persone. Marawi divenne anche l’epicentro dell’arrivo di moltissimi combattenti stranieri.
Questa sconfitta delle forze legate all’ISIS portò con sé anche un rafforzamento delle operazioni e dei contingenti militari anche nelle isole di Sulu e Basilan contro i gruppi islamici locali.
Il gruppo Maute di Daulah Islamiyah Philippines è riuscito comunque a sopravvivere anche dopo l’instaurazione della provincia autonoma della Bangsamoro che al momento è guidata dalla dirigenza del gruppo MILF.
Quello che si deve fare, secondo un’altra esperta economia e di sicurezza Amparo Pamela Fabe, è l’accesso ai canali di finanziamenti, perché la continuazione degli attacchi dipende se questi gruppi riescono ad accedere a finanziamenti e ad armi.
“Distruggere le capacità finanziarie del terrorismo sarà un’azione strategica contro i terroristi. Poi la presenza di combattenti stranieri implica che questi combattenti portano con sé un certo livello di finanziamenti del terrorismo”.
Questa bomba al ginnasio dell’Università di stato di Mindanao ha di certo fatto sobbalzare gli altri paesi come Indonesia e Malesia che confinano con le Filippine su un tratto di mare molto poroso che negli anni passati ha visto transitare militanti stranieri, soldi e armi che servirono alla presa di Marawi.
L’antiterrorismo indonesiano è preoccupato che questo attacco potrebbe ispirare cellule dormienti e militanti della regione ad andare nelle Filippine per riprendere a compiere attacchi violenti.
“Siamo preoccupati. Stiamo dando attenzione a questo attacco affinché non raggiunga il livello di ispirare militanti indonesiani” dice a NAR una fonte di Densus 88, forza antiterrorismo indonesiano, che è sempre vigile sui movimenti islamici indonesiani e della regione.
L’attenzione di Densus 88 in Indonesia è sempre massima ed ha portato il mese scorso all’arresto di vari membri del gruppo Jemaah Ansharut Daulah che preventivavano un attacco durante le prossime elezioni generali indonesiane del 2024.
Non si deve dimenticare inoltre che l’attentato della cattedrale di Jolo, sull’isola di Sulu, a gennaio 2019 fu compiuto da una coppia di indonesiani a testimoniare una fluidità dei rapporti tra gruppi militanti. Allora morirono 23 persone e furono ferite altre cento.
L’esperto Noor Huda Ismail teme anche che la bomba a Marawi possa agire come punto di raccolta di individui che hanno a cuore le ideologie jihadiste perché comunque “Marawi ha un significato simbolico come il luogo di un grande conflitto tra forze del governo e gruppi jihadisti nel 2017. Tali luoghi spesso diventano i punti focali per chi cerca di perpetrare le proprie ideologie e ottenere sostegno”.
Inoltre chi è sopravvissuto ai bombardamenti di Marawi potrebbe aver acquisito e migliorato capacità di combattimento e fervore ideologico.
“E’ fondamentale la cooperazione tra paesi del Sud Est Asiatico per prevenire la rinascita delle attività jihadiste ed assicurare la stabilità della regione. E’ essenziale rimanere vigili e migliorare i meccanismi di condivisione di informazioni per affrontare le minacce potenziali.
All’indomani della bomba al ginnasio Dipamoro, è stato accresciuto il livello di sicurezza in tutta Mindanao ed è partita la caccia a quattro militanti islamici tra cui Khadafi Mimbesa, della cittadina Masiu a Lanao del Sur che è chiamato anche Ingegnere e sarebbe l’esperto bombarolo del gruppo Maute che proprio a Lanao del Sur aveva la principale base operativa.

Insieme ad un altro sarebbe stato individuato dai sopravvissuti della bomba al ginnasio Dipamoro.
Il primo ministro del BARMM, la regione autonoma musulmana, Murad Ibrahim, ha ammesso che ci sono state lacune da parte loro nel controllo della sicurezza assicurando però che non accadranno più. Sul rischio che si possano accendere conflitti tra comunità cristiane e musulmane ha invitato ad usare responsabilmente i media sociali.
“Finora c’è stata una buona coesistenza tra cristiani e musulmani nell’università dello stato di Mindanao Marawi. Chiediamo a tutti e a chi sta sulla rete a non diffondere discorsi di odio ed aiutare a rafforzare l’unità in questi tempi difficili.”