L’imponente tempo di pietra è un sito religioso praticato e fa parte del parco archeologico di Angkor di 400 chilometri quadri da cui si caccia la gente che vive da generazioni
Da autista di TukTuk nella capitale cambogiana del turismo Siem Reap, la vita di Prak Savuth dipende del tutto da Angkor Wat, l’enorme tempio del XII secolo costruito per rappresentare l’universo stesso.
L’imponente tempo di pietra resta un sito religioso praticato oggi come parte del parco archeologico di Angkor grande 400 chilometri quadri.

Oltre ad una decina di altri templi storici che attraggono folle di turisti stranieri, l’area è la casa di circa 100 mila persone che sostengono di vivere lì da generazioni.
Ma da un anno si è spenta gran parte della vita dei villaggi che si svolgevano lungo le strade e le vie d’acqua del parco archeologico di Angkor.
Le autorità citano le pressioni di preservazione nel Sito del Patrimonio Mondiale UNESCO che conducono una campagna per cacciare oltre diecimila famiglie per risistemarle in distretti poveri fuori da Siem Reap.
Savuth racconta a NAR che le autorità lo hanno spinto ad andare a Run Ta Ek, una delle due zone di risistemazione proposte su suoli statali che ora vengono suddivisi alle famiglie che arrivano. Da allora la sua famiglia con i cinque figli, lotta per andare avanti nella loro casa isolata.
“Mi hanno chiesto di venire qui se lo volevo o no. Non avevo scelta. Non sono felice. Ci hanno cacciato senza opportunità di lavoro” racconta Savuth.
Il governo nega da parte sua di aver costretto la gente ad andarsene e dice che i ricollocamenti erano su base volontaria perché temevano che Angkok avrebbe potuto perdere il suo stato di Sito Patrimonio dell’Umanità.
Savuth però non è la sola persona residente che dice di essere stata buttata fuori, costretta ora a prendere un altro colpo dopo quella della pandemia che ha tagliato la spesa turistica.
La settimana scorsa il gruppo Amnesty International ha pubblicato il suo rapporto sulla situazione in evoluzione ad Angkor, in cui si denunciano “gli sfratti costretti e camuffati, portati avanti su vasta scala e le violazioni grosse della legge dei diritti umani”.
L’indagine che si basa sulle interviste ad oltre un centinaio di persone dice anche che si è “riportata la situazione dei fatti sugli sfratti forzati” all’agenzia culturale dell’ONU.
“Quasi tutti gli intervistati hanno detto di essere stati sfrattati o spinti ad abbandonare Angkor dopo intimidazioni, pressioni indebite, minacce e atti di violenza da parte delle autorità cambogiane”.
Ufficialmente la gente registrata nell’ultimo censimento del 2004 fatto dalla Autorità Nazionale APSARA che gestisce Angkor si diceva doveva essere esentata dall’essere spostata. Ma la realtà sul campo è meno chiara, secondo Amnesty.
“Abbiamo sicuramente parlato con persone costrette a trasferirsi che tecnicamente non lo dovrebbero”, ha dichiarato Montse Ferrer, vicedirettore regionale ad interim di Amnesty per la ricerca.
Il governo ha respinto il rapporto di Amnesty ritenendolo politicamente motivato per farlo apparire “disumano”.
“Non si tratta di uno sgombero, né di una forzatura! È un processo completamente volontario”, ha dichiarato Long Kosal, vice direttore generale dell’Autorità nazionale APSARA.
Kosal ha detto che i residenti che vivevano da molto lì nel parco non sono stati cacciati.
“Poiché le loro occupazioni o insediamenti erano illegali, non hanno il diritto di rimanere nel sito di Angkor”, ha detto a proposito di coloro che se ne sono andati. “Ma per loro ci sono molti benefici sociali messi in atto dal governo per i prossimi 10 anni, tra cui assistenza sanitaria e sostegno finanziario mensile. Inoltre, il governo ha costruito molte infrastrutture necessarie per sostenere le persone trasferite”.
Le immagini dell’area di trasferimento di Run Ta Ek mostrano una pianura disboscata punteggiata da strutture permanenti e abitazioni in lamiera erette negli ultimi mesi. Sebbene le autorità abbiano costruito strade e stiano lavorando alle infrastrutture di base per l’elettricità, l’acqua potabile e le fognature, secondo quanto riferito, i nuovi coloni hanno faticato a mettere radici nel paesaggio soggetto a inondazioni.
UNESCO ha fatto conoscere le sue preoccupazioni più volte sullo sviluppo urbano eccessivo dentro il parco di Angkor sin da quando sollevò la questione per la prima volta un decennio fa, senza però chiedere mai al governo di ricollocare i residenti per le preoccupazioni sulla conservazione del patrimonio storico.
“Il rapporto di Amnesty International dà nuove informazioni che aiutano a capire meglio e a valutare la situazione sul campo” ha detto in una dichiarazione. “UNESCO chiede in particolare misure correttive da identificare immediatamente da parte delle autorità cambogiane per impegnarsi esplicitamente a non portare avanti sfratti forzati ad Angkor”.
L’organizzazione ha aggiunto che dovrà chiedere alla Cambogia di accelerare il suo prossimo rapporto sullo stato di conservazione di Angkor e sulle richieste di sgombero in tempo per la prossima sessione del Comitato del Patrimonio Mondiale nel 2024.
Per chi ha già dovuto lasciare, potrebbe essere difficile compensare quello che ha perso.
Un venditore di bibite Thach Sokhom dice che lui e la sua famiglia accettarono di andare a Run Ta Ek a febbraio perché avevano paura che le autorità avrebbero distrutto la loro casa. Loro fittarono anche una stanza a Siem Reap perché la moglie di Sokhom potesse ancora vendere il pane.
“Se fossimo tutti rimasti lì staremmo ora a morire di fame” dice Sokhom del distretto di ricollocamento. “Vivere lì è come la differenza tra il cielo e la terra. Nessuno può guadagnarsi da vivere, ci sono solo spese”.
ANDREW HAFFNER, NAR