La promessa mancata di democrazia di Ou Virak
Venti anni fa, la Cambogia vedeva un’alba tutta nuova. Le quattro fazioni cambogiane che, dalla caduta del regime dei Khmer Rossi nel 1979, avevano combattuto una lunga guerra civile raggiunsero l’Accordo di Pace di Parigi. Era un documento che prometteva ai Cambogiani pace, stabilità, democrazia e diritti umani dopo un decennio di guerre e di tempi duri.
Il Regno Cambogiano ha raggiunto alcuni lodevoli obiettivi dalla firma dell’accordo di Parigi. Ha retto sulla disintegrazione finale dei Khmer Rossi dopo tre decenni di guerra, massacri e sofferenze diffuse; ha instaurato il Tribunale dei Khmer Rossi nel tentativo do dare giustizia alle vittime del regime criminale; ha ratificato vari accordi e trattati dei diritti umani; ha favorito l’entrata della Cambogia nell’ASEAN; ed ha permesso di raggiungere un certo grado di prosperità economica e di sviluppo.
Nel campo della democrazia e dei diritti umani, comunque, i risultati sono meno chiari. Il governo del Primo Ministro Hu Sen ha continuamente violato i trattati da lui sottoscritti; ha consolidato una cultura pervasiva della corruzione e dell’impunità, ha permesso un allargamento allarmante della differenza di ricchezza tra l’elite e la vasta maggioranza povera della popolazione, ed ha ha sostenuto una campagna legislativa e amministrativa per controllare ogni aspetto della vita della gente Cambogiana, con scarsa attenzione al comando della legge, delle istituzioni democratiche, dei diritti umani e delle libertà.
La libertà di espressione è stata sempre più schiacciata soffocando tutti quelli che vogliono parlare apertamente e protestare pacificamente attraverso la legge e i tribunali. Facendo leva sulla sua maggioranza parlamentare vinta nel 2008, il governo del Partito Popolare Cambogiano (CPP) ha approvato e continua ad approvare leggi restrittive che giocano a suo proprio vantaggio. I tribunali, nel totale controllo dell’esecutivo, agiscono spesso in senso antidemocratico, applicando misure draconiane sotto il velo della legittimità legislativa.
Il codice penale ad esempio, entrato in vigore nel dicembre 2010, sostiene che il diffondere di “disinformazione” e la diffamazione siano dei reati penali punibile con la prigione, articoli usati per mettere il bavaglio agli attivisti dei diritti umani ed altri che criticano le personalità, le politiche e le azioni del Regno Cambogiano.
Ultimamente il governo ha dato priorità alla limitazione della libertà di associazione con l’ultima e più controversa legge in discussione in questa campagna legislativa denominata LANGO, Legge sulle Associazioni e Organizzazioni non governative, che si prefigge di imporre dei requisiti obbligatori di registrazione per tutte le organizzazioni non governative e organizzazioni di base ed al contempo permette sanzioni amministrative arbitrarie come la sospensione e la chiusura. La prossima legge Sindacale, nella sua stesura attuale, minaccia anche di sferrare un colpo pesante al diritto di libertà di associazione in Cambogia imponendo procedure di registrazione onerose e gli obblighi di fare rapporto sui gruppi di lavoratori.
Secondo queste leggi, i gruppi devono registrare la loro attività e sarà considerato illegale il solo fatto di formare le associazioni senza approvazione ufficiale. I fatti recenti, tra i quali la sospensione di una ONG coinvolta nel monitoraggio del programma di compensazione governativo e le pressioni e l’intimidazione di altri attivisti e avvocati delle ONG, suggeriscono che queste leggi fanno parte di uno sforzo maggiore di erodere lo spazio democratico e metter al silenzio la società civile.
Senza una opposizione affidabile, la Cambogia attualmente lavora come un vero stato a partito unico. L’eponimo capo del partito di opposizione Sam Rainsy Party, Rainsy è in esilio per sfuggire ad una accusa falsa di accuse criminali motivate dalle motivazioni politiche. Kem Sokha, capo del Partito dei Diritti Umani, è sotto varie accuse. E’ perfettamente concepibile che le prossime elezioni generali del 2013 siano tenute senza i capi dei due principali partiti di opposizione.
Hun Sen sottolineò la sua intenzione, in un discorso agli inizi dell’anno, “di far morire il gruppo di opposizione”, promettendo in seguito l’arresto di un critico del governo i cui commenti sulla Primavera Araba erano stati percepiti come tentativo di fomentare una rivolta popolare analoga in Cambogia.
Piuttosto che limitare lo spazio alle voci di opposizione, il regno dovrebbe assicurare che lo sviluppo attuale del governo sia condiviso da tutti mettendo come priorità lo sviluppo sociale su quello economico. Una nuova generazione sempre più istruita e conscia della tecnologia può fare la sua parte dal momento che i giovani traggono vantaggio delle opportunità negate alle generazioni precedenti dalle richieste dure del regime brutale dei Khmer Rossi.
Una nascente classe di professionisti guarda ad una nazione istruita, prospera, di alta tecnologia capace di giocare un ruolo di guida nell’ASEAN. Sotto le restrizioni e con l’attuale regime è una visione democratica che rischia di non essere mai realizzata. C’è molto che comunità internazionale può fare. Mentre il regno Cambogiano sostiene che l’applicazione e la protezione della democrazia e dei diritti umani è un problema di sovranità non soggetta all’interferenza internazionale, gli altri paesi che firmarono il trattato di Parigi, come pure le Nazioni Unite, sono legalmente tenuti a proteggere e promuovere la democrazia e i diritti umani in Cambogia.
Essi possono usare le loro leve economiche e politiche per assicurare che la gente cambogiana, che da tanto soffre, possa godere alla fine dei diritti umani e della democrazia promessi loro venti anni fa. Tutti quelli che hanno un ruolo nel futuro della Cambogia, il governo cambogiano, i paesi sottoscrittori del trattato, l’ONU, i finanziatori e la gente della Cambogia, dovrebbero vedere in questo anniversario un’opportunità per assicurare che il loro impegno sostanziale e il loro investimento non siano dilapidati