Canale Saen Saeb musulmano nel cuore di Bangkok buddista

Il patrimonio musulmano storico e culturale dei thai di etnia malese a Bangkok è stato al centro di una mostra dedicata all’enclave musulmana lungo il canale Saen Saeb

Ponete su una mappa le 194 moschee di Bangkok e vedrete che la striscia con la maggiore densità di punti forma una mezzaluna.

Le enclavi musulmane sono per lo più concentrate attorno al percorso dei canali di Khlong Mahanak e Saen Saeb che si inarcano dalle mura della città, oltre i tessitori di seta musulmani di Ban Khrua e i distretti del nordest di Bangkapi, Nongchok e Minburi. Lungo quel corso di acqua contate i minareti.

Canale Saen Saeb musulmano nel cuore di Bangkok buddista

I musulmani sono una delle maggiori minoranze di Bangkok sin dalla sua fondazione, ed ora sono circa 600 mila. Provengono da varie sette di tutto il mondo islamico, raggruppati per lo più nella città vecchia o nel centro, compresi i discendenti dei persiani, dei Cham, Indiani e giavanesi, o l’ultima ondata di arabi e africani.

Coloro che vivono nella mezzaluna di Saen Saeb sono in maggioranza di etnia malese su cui sono momentaneamente puntati i riflettori con una mostra, un percorso a piedi, due libri nuovi e il film, The Cursed Land, La terra maledetta.

Il canale Saen Saeb dei centomila pungiglioni

La SAC Gallery di Bangkok di recente ha ospitato la mostra “Da Patani a Bangkok: il viaggio a Saen Saep” di Prach Pimarnman che ha esplorato la propria identità duale di musulmano nato a Bangkok che ha vissuto nel Profondo Meridione.

“Saen Saeb ci dà un’ampia immagine di tenersi attaccato a qualcosa e non lasciarlo andare” dice Prach il quale ha presentato i suoi oggetti come reperti di archeologia.

“Vedere le conseguenze, la rimozione, i problemi che sono nascosti, le mancanze, i cambiamenti, e poi riflettere che tutto ha una dimensione nascosta”.

La luce che si proietta attraverso i tagli di un armadietto per alimenti prende la forma di un atto di proprietà. I malesi di Bangkok sono proprietari di molti terreni. Ai loro antenati furono concessi appezzamenti lungo il Khlong Saen Saeb, ma solo dopo essere stati portati lì in catene e costretti a scavare il canale lungo 72 km.

Questo calvario potrebbe spiegare il suo nome, che significa Canale dei Centomila pungiglioni.

Le chiamate alla preghiera tra i condomini

Alcuni musulmani di Saen Saeb hanno venduto i propri suoli per lo sviluppo edilizio. Eppure grandi pezzi di Bangkok hanno ancora i villaggi di musulmani vestiti nei loro sarong e hijab. I villaggi urbani mantengono densi nodi di case con gli uccelli canterini in gabbia esposti sulle verande.

Il SAC Gallery sul soi 39 della Sukhumvit Rd ha tenuto un giro a piedi nella vicina comunità di Baan Don in un villaggio profondamente diverso dalla periferia della Sukhumvit.

Si sono presentate tante persone in più di quanto ci si attendesse. Gli esperti del posto ci hanno guidato attorno alla Masjid Darul Muhsineen e lungo il canale fino al cimitero e alle case tradizionali e alla scuola islamica di un anziano locale. Suo padre fu il rappresentante ufficiale dei musulmani nello stato thailandese, Chula Ratchamontri.

In una discussione presso la galleria dopo il tragitto, l’avvocato dei diritti umani Pratubjit Neelapaijit sfidò i musulmani della classe media di Bangkok per cui il loro privilegio da ricchi è una maledizione che li scollega dalle lotte dei loro fratelli del profondo meridione.

Le profonde eredità del Profondo Meridione

Oggi il profondo meridione sembra una terra dimenticata, ma il suo ricco patrimonio legato al Sultanato di Patani è stato in gran parte cancellato.

Più antico del Siam, questo porto prosperoso era stato il porto della civiltà induista di Langkasuka. Patani controllava anche il commercio dei trasporti attraverso la penisola tra gli oceani indiano e pacifico, ed era conosciuto per la sua capacità agricole e le sue spezie. L’esposizione presentava armadietti da dispensa e riso, perché i malesi Patani erano stati portati a Bangkok durante il regno di Re Rama III anche per coltivare i raccolti per la città.

Photo by Philip Cornwel-Smith canale saen saeb bangkok
Photo by Philip Cornwel-Smith

Questo ponte culturale tra i regni Thai e malesi aveva resistito per secoli al governo siamese finché non fu scisso in quattro province, delle quali sono una fu chiamata Pattani, con due t nella pronuncia Thai.

I racconti di quel periodo sono presenti nelle novelle storiche ricche di ricerca di Paul e Yuangrat Wedel, Un filo di Perle, e il seguito appena rilasciato Karma Oscuro.

Le offerte di fiori dorati

I tesori dell’antica Patani sono presenti in un nuovo libro, Argento e Ori Malesi, un artigianato trascurato nonostante che i sultanati malesi fossero stati quelli che l’autore Michael Backman scrisse “il gruppo più potente commerciale nel Sudest Asiatico”.

Patani dava i propri tributi al Siam ogni tre anni sotto forma di fiori dorati, Bunga Mas.

Al SAC Gallery Prach ha ricreato i bunga mas usando oro e vasi rotti a simboleggiare l’eredità infranta. La loro forma incorporava un’ancora di nave come lo stame dell’ibisco, il simbolo floreale di Patani.

La proiezione di The Cursed Land

La mostra presentava anche una cavigliera in ferro battuto, visibile solo attraverso un riflesso oscurato.

Storie controverse raccontano che i Malesi Patani furono portati lungo il canale di Saen Saeb legati l’un l’altro con cavigliere. Ciò appare nel film La terra maledetta, quando l’attore principale (Ananda Everingham) subisce una ferita da stigmate alla caviglia mentre è posseduto dal djinn arrabbiato di un malese ribelle che era stato giustiziato mentre scavava un canale. Le tracce portano a sud, all’antica tradizione di Narathiwat.

Il film offre un fresco giro culturale sul genere della “casa infestata”. I buddisti che sono esterni inavvertitamente rilasciano i Ginn che non sono gli spiriti delle persone, ma una società parallela di spiriti islamici buoni e cattivi attaccati agli esseri umani, agli animali e cose come gli alberi.

“Quello che ho sperimentato va al di là del mio regno spirituale” dice un monaco ingaggiato per esorcizzare il Ginn. “E’ un altro sistema”.

Resta da vedere se i ginn saranno accettati nel repertorio dei personaggi soprannaturali thailandesi.

Il regista Panu Aree e lo sceneggiatore Kong Rithdee avevano in precedenza fatto insieme documentari sull’esperienza dei musulmani di Bangkok.

Khaek: In Between studiava l’identità dei cittadini di tanti anni definiti come ospiti, khaek. Baby Arabia parlava di un gruppo musicale con quel nome della periferia di Nonthamburi che suona nei festival.

Scavando nelle proprie radici

“Le origini dell’abbraccio della propria identità portano ad uno stato profondo, talvolta distorto”.

Prach pone qualche cautela. Ma dagli anni 80 altre etnie provano a dissotterrare con esitazione le proprie radici che sono state appiattite dalla uniforme thailandesità.

La Resistenza Lanna ha ricostituito le tradizioni che precedettero il governo da Bangkok, dove i migranti hanno ricostruito le festività settentrionali.

L’orgoglio di essere Lao del nordest thailandese ha creato dei film con sottotitoli per gli spettatori di Bangkok.

La cultura Mon è ritornata alla superficie nei festival, nei musei e nei villaggi conservati come Bang Kradee.

In particolare, la cinesità, a lungo repressa, è stata celebrata attraverso romanzi, soap, festival, design pop urbano e la tendenza di Chinatown, come si vede nell’attuale film di successo, Lahn Mah.

Nelle fioriture neo-tradizionali, ogni risveglio ha richiesto di riconciliare il trauma storico. La preparazione dell’omelette thailandesità ha significato rompere alcune uova delle etnie.

E’ curioso che nella ricerca delle origini non c’è mai lo sforzo di ritornare alle uova del passato quanto il voler comprendere quali ingredienti sono finiti in quella ricetta.

Un curry ma tanti odori differenti

Il SAC ha organizzato una degustazione di prelibatezze festive dei Saen Saeb malesi, compresi gli ibridi della loro acculturazione in Thailandia come il curry Mussaman. Questa specialità tailandese è stata probabilmente introdotta nel XVII secolo dall’antenato della famiglia Bunnag, lo sceicco Ahmad Qomi, proveniente dalla Persia, dove un termine arcaico per indicare i musulmani, Mosulman, è la probabile fonte del suo nome.

Il Gaeng Mussaman diventò così popolare che Re Rama II celebrò il piatto in un poema e nel 2011 la CNN lo dichiarò come il piatto migliore al mondo.

Preparato autenticamente con carne di manzo, il suo profilo gustativo evoca i curry malesi con l’intingolo, e le sue spezie aromatiche essiccate sono entrate nel vecchio Siam attraverso Patani. Le enclave malesi hanno ancora le loro ricette, alcune con patate, ananas o melanzane nella ricetta di Ekamai che ci è stata servita.

Al Gaeng Mussaman si sono aggiunti nella cucina thai altri piatti musulmani locali come i sate, o spiedini di carne, la Khao Soi Noodle Soup, o una zuppa di spaghettini all’uovo, e Khao Mok Kai biriyani, riso al pollo biriani thailandese.

Molti non sanno che il 70% degli ingredienti della cucina thai sono registrati come Halal perché la Thailandia è diventata il principale esportatore di alimenti halal.

La cultura musulmana è radicata nella Bangkok “buddista”.

Non c’è altro posto più sicuro in cui differenti tipi di Thailandesi possano trovare un terreno comune che su una pietanza e su un film horror.

Philip Cornwel-Smith, KokTailMedia

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