I cento giorni nel paese di Dutertopia: da indignati a rassegnati?

Per quanto tempo ancora dobbiamo continuare ad essere indignati? Non è una domanda retorica: essere indignati è un duro lavoro. Ci alziamo la mattina, controlliamo i media sociali, leggiamo le notizie, poi la sezione dei commenti. Il sangue comincia a bollire. Proviamo rabbia, frustrazione, un senso di impotenza. Ma si deve fare il lavoro di ogni giorno, e ci mettiamo i nostri sentimenti alle spalle e facciamo quello che dobbiamo, finché qualcosa, che sarà la futilità di sedere nel mezzo del traffico, la mendacia degli impiegati alle poste, l’affronto di essere presi di striscio da un SUV nero luccicante i cui adesivi dichiarano l’amore per le armi e la fedeltà al nuovo presidente, qualcosa ci fa ricordare che ora viviamo a Dutertopia. Se i giapponesi hanno la filosofia del kaizen, del continuo miglioramento, noi abbiamo la cosa opposta, comunque la si chiami: tutto può ancora peggiorare ogni giorno.

Le notizie non sono buone. In cima alla lista ci sono gli omicidi extragiudiziali, spesso abbreviati con eleganza in EJK, che li rende inoffensivi, quasi una condizione medica. Ma a sottolineare il punto, il nostro paese non ha la pena di morte, quindi non esiste qualcosa che possa essere chiamato omicidio giudiziale. Questi sono assassini puri e semplici. Continuano ogni giorno; molti siti di notizie mantengono il conteggio.

dutertopiaQuesto gli altri aspetti dell’ossessione di Duterte per le droghe e i tossicomani in generale, sono raggelanti. Ha detto nel suo messaggio alla nazione, nientemeno, che chi usa la metamfetamina ha il cervello spappolato ed è impossibile da riabilitare. I tossicodipendenti inoltre sono contagiosi e diventano spacciatori che trascinano gli amici sulla via della droga. Cominciano a circolare foto di prigioni sovraffollate che rafforzano ancor di più la sua soluzione: semplicemente ucciderli come untori della peste.

Pensiamo che i nostri amici la pensano come noi: ecco perché siamo amici, dopo tutto. Quando poi persone intelligenti, gentili, generose con cui abbiamo condiviso tante cene e risate, dichiarano che non sono d’accordo con la nuova politica della violenza, ma che fa bene al paese, non possiamo fare a meno di sentirci traditi. E’ come scoprire che essi credono che il mondo sia piatto. E poi iniziamo a scoprire che più persone credono che questo presidente è un grande uomo, e che quello che fa fa bene e la vista di un “signore della droga” morto è una cosa bellissima.

Questo è il punto in cui iniziamo a domandarci se siamo rimasti solo noi ad essere sani nel paese, e se le mure del manicomio servono a tenere noi dentro o a tenere il mondo fuori.

Questo è il alto oscuro della capacità della nostra gente a formare velocemente movimenti collettivi; 30 anni fa l’appassionante euforia colpì con successo un dittatore e fu chiamata “Potere Popolare”. E’ la stessa capacità di convincere noi stessi e gli altri che ha dato ad un candidato, che ha vinto con meno del 40% dei voti, il mandato di una fiducia del 91% in un sondaggio fatto poco dipo la sua proclamazione.

Persino secondo lo standard del nuovo presidente sono cifre grosse. Il gruppo della comunicazione del presidente non ha avuto esitazioni nello sbandierare questi numeri né nel definire i critici come Nemici del Cambiamento.

Da allora Duterte ha fatto fruttare il suo capitale politico nell’accettazione pubblica della sua guerra alla droga; ha superato la resistenza formidabile nel governo e nella popolazione per permettere la sepoltura di Marcos nel Cimitero Nazionale degli Eroi; ed ha iniziato un processo di cambiamento costituzionale che romperà le Filippine in stati di autogoverno, federalismo, e cambiare il governo in sistema parlamentare, sebbene uno con un presidente eletto. Ha anche provocato i militari a provare a lanciare contro di lui un colpo di stato, ha minacciato di imporre la legge marziale in risposta ad una ribattuta della corte costituzionale ed ha chiamato un ambasciatore americano figlio di puttana sulla televisione pubblica.

Sempre meno persone di quanto si potrebbe pensare sono sconvolte da ciò. Ad una manifestazione contro la sepoltura di Marcos solo qualche migliaio di persone si è presentato, una cosa che ha imbarazzato la sempre più debole opposizione. Ad un certo punto tutto quanto si è scritto scompare, perché i nostri polsi sono stanchi; tutti i guerrieri delle tastiere smettono di battere sulla tastiera perché le dita sono indolenzite; tute le voci del dissenso smettono di gridare perché nessuno grida con loro.

Questa lenta accettazione dello status quo è un lento cadere sul fondo. Solo gli automi possono continuare senza interruzioni; i veri zeloti non smettono di domandarsi. Cominciamo a chiederci se la saggezza popolare è in buone condizioni. Forse questa realtà è ciò di cui il paese ha bisogno. I diritti umani sono per le femminucce e gli schizzinosi, ed una epurazione è un sacrificio necessario per liberare il paese dei vizi gemelli, la droga e la corruzione. Siamo stati ciechi, da sempre, sul fatto che la Cina e le amministrazioni precedenti trasformavano il paese in un narcostato. E’ probabilmente che le bande rivali lottano tra loro, così anche se sanguinosa saranno i bravi ragazzi a restare in piedi. Gli USA e gli altri paesi del primo mondo dall’indice puritano non sanno nulla delle realtà della nostra povertà dura e della dura realtà dell’uso della droga che hanno rovinato famiglie e trasformato delle brave persone in assassini.
Quando la frustrazione e la futilità diventano indifferenza, comincia ad insediarsi l’autogiustificazione. Guarda, il cadavere di Marcos non è neanche un cadavere, è una figura di cera, ed è solo simbolica, dopo tutto. Lasciamola andare e torniamo alle nostre vite. Concedi la sua ossessione personale al presidente se riesce a mantenere le sue promesse di instillare la paura di Dio nella burocrazia predatoria del governo che ci rende la vita un inferno. Forse avrà persino successo, e i cieli sanno, che non c’è nulla per cui amare la metamfetamina. Questo è un camviamento che vale la pena di perseguire.

Quanto è bello, quanto è delizioso arrendersi, smettere di lottare, accettare l’inizio della Dutertopia. Ironicamente è come sentire la morfina fare il suo corso nel corpo: niente più rabbia, frustrazione, lasciare che babbo si penda cura delle cose. E’ dalla parte tua e terrà lontano la gente cattiva.

In un modo distorto, strambo, questa è finalmente la politica delle idee che è mancata alle Filippine. Non abbiamo di fatto una divisione tra repubblicani e democratici, tra liberali e conservatori, tra estrema destra e socialisti. I nostri partiti hanno sì delle piattaforme, superficiali, ma la nostra politica elettorale è per lo più basata sulle personalità. Ma la principale linea di faglia della nostra democrazia è la polarizzazione tra persone che credono nelle istituzioni del governo che operano all’interno di un sistema di controlli, e quelli che credono in un sistema più autoritario efficiente, autocratico di governo. E il fallimento delle istituzioni durante le precedenti amministrazioni ha fatto voltare il pendolo verso l’autoritarismo.

Comprendo i sostenitori di Duterte fino ad un certo punto. Vogliono le stesse cose che io voglio: strade sicure, treni che vanno in orario ed un senso di sovranità. Credono nel Modello di Singapore della disciplina, ordine e comando gerarchico. Potrei pure accettare alcuni punti se solo l’amministrazione Duterte non fosse una di insostenibile stupidità, e la sua tattica così sfrontata, ed i suoi più accesi sostenitori così vili. Non riescono a comprendere che l’opposizione è parte integrale di come funziona un paese, e chi non è d’accordo è ugualmente un patriota come loro, ma vedono semplicemente un percorso differente per uscire dalla boscaglia.

Il disaccordo e il dissenso sono trattati, invece che col dibattito e il dialogo, con le tattiche dei bulli di scuola: minacce, talvolta portate avanti, di aggressione, stupro, assassinio. Su internet danno luogo al peggiore comportamento possibile, inondando gli account dei chi dissente con attacchi specifici; usano menzogne e mezze verità per alimentare i loro argomenti e sono impermeabili al considerare punti di vista differenti. “Allora che vuoi fare? Metterti a piangere? Continua, va alla commissione dei diritti umani, all’ONU e nasconditi dietro le loro gonne”.

Ma perché dovrebbero agire in modo differente, quando il loro stesso eroe usa queste tattiche e porta avanti egli stesso con sarcastica millanteria e si finge Hugo Chavez nel suo modo di trattare con i diplomatici, quando colpisce i suoi critici richiamando le loro vite personali. In modo inquietante si è alienato l’alleato strategico maggiore delle Filippine, gli USA, non solo perché ha insultato il presidente, ma perché ha sacrificato importanti colloqui bilaterali per un broncio infantile. Ha anche attaccato l’ONU e l’Europa per aver osato criticare l’efficacia e i metodi della sua guerra alla droga.

In ogni conflitto vale la pena ricercare l’umanità nel proprio avversario, e mi piacerebbe pensare che la maggioranza dei sostenitori di Duterte siano persone che hanno a cuore i miglior interessi della nazione, ma vedo una forma differente, più oscura, più dura di governo di quanto voglio. Ad una estremità dello spettro ci sono gli estremisti ed i provocatori, che si dice siano pagati per usare i media sociali allo scopo di attaccare, ma forse, ed onestamente non so cosa sia peggio, non pagati, persone che odiano che sbavano vetriolo e vogliono abbassarsi al più basso livello di inganno e linguaggio scurrile per tenere a bada chi dissente.

Al momento semplicemente non esiste comunicazione che va tra le due fazioni di chi sostiene presidente ed amministrazione e chi li critica. Il semplice sollevare obiezioni fa ottenere la qualifica di “nemico del cambiamento” e si è puniti con i rimbrotti online e gli attacchi, e non è che facciano meno male per il fatto che sono online.

A chi sostiene il presidente ed i suoi metodi devo chiedere: Dove punta la vostra bussola morale? Dove sta il senso fondamentale della decenza e dell’umanità? Credete davvero che il fine giustifica i mezzi? Perché se è così devo dirvi una cosa nuova: Questo non è l’arco narrativo di uno show della televisione. Non ci sono fini in politica: va avanti fino a diventare storia. I vari metodi a disposizione per fare le cose: il modo per costruire la nostra società, il modo di non essere d’accordo, il modo di risolvere i problemi; è tutto ciò che abbiamo.

Chi di noi crede che il governo deve governare come un insieme di istituzioni che collidono perché devono, ed imporre un sistema di controlli reciproci possono anche vedere i meriti del punto di vista opposto che un singolo capo forte con un governo complice potrebbe lavorare in certe circostanze con la giusta persona.

Duterte però non è quella persona. Anche mentre raggiunge i 100 giorni è davvero ovvio. E’ un bullo ed un narciso; non ha considerazione per la vita umana e la moralità fondamentale; la sua ossessione con la guerra alla droga preclude il suo coinvolgimento in altre questioni interne ed esterne pressanti che lo stancano e che saranno delegate ad incompetenti o corrotti; e lui porta fuori il peggio tra i suoi sostenitori e i suoi oppositori. E’ solo l’uomo sbagliato per quel compito, e persino il più fanatico dei suoi devoti deve fermarsi un momento e controllare la propria umanità al livello più fondamentale.

In modo preoccupante, mentre la classe media è indaffarata con la propria rabbia per l’inciviltà di tutto, e lotta con battaglie ideologiche sulla sepoltura di Marcos, in silenzio sta ammassando poteri per sé. Il suo primo Ordine Esecutivo è una riorganizzazione del Dipartimento dell’esecutivo che crea una gerarchia stretta che ha uno dei suoi più fedeli aiutanti in capo. Ha proposto un aumento di 10 volte del budget dell’Ufficio del Presidente. Ha anche chiesto al Congresso di autorizzare una legge di riorganizzazione più completa dei vari uffici e dipartimenti del governo, cosa allarmante per le sue alleanze ed intenti. E’ accaduto solo quattro volte nel passato: 1935, 1946, 1972 e 1987. Se si pensa a queste date da vicino si capisce il tipo di cambiamenti abissali che si avvicinano. Non ultimo, ad aleggiare su tutto questo, c’è il suo piano di andare ad una forma di federalismo e sistema parlamentare; ancora sono aperto all’idea ma sotto circostanze differenti: non è il momento giusto e la persona giusta.

La popolarità del residente e la volontà dei suoi sostenitori ad abbandonare il buon senso e l’apertura al dibattito e al dissenso sono diventati dei magneti per un gioco di potere tra l’elite politica che cambierà il panorama della politica filippina per generazioni. Il più ovvio è la spinta verso una dittatura; non troverà opposizione nella maggioranza dei politici finché si possono sedere ad un tavolo. La cacciata di Leila De Lima da presidente del comitato di giustizia al Senato prova che Duterte e la coalizione oligarchica dietro di lui hanno i numeri per farlo.

Più importante ha se non il sostegno almeno il consenso della gente. Attraverso un uso attento della propaganda, di notizie false, appelli alle emozioni, distorsione dei fatti e semplicemente attraverso la confusione delle cose perché la gente non capisca e segua, c’è un sostegno popolare al governo autoritario.

E’ incredibile la velocità con cui sono andate avanti le cose: ci avviciniamo ai primi cento giorni del presidente e la Dutertopia è già qui. Era così debole la nostra democrazia da essere stata messa fuori uso con un colpo veloce? Il nostro risentimento verso l’elite era così forte e facilmente incanalabile? Siamo così ciechi, da essere dissuasi dalla retorica della violenza, da essere così facilmente piegati e messi in linea velocemente per obbedire?

Fino a quando dobbiamo continuare ad essere indignati? Fino a quando prima di agire? Possiamo prenderla distesi o sulle nostre ginocchia; comunque saremo fottuti, solo in modo differente. Il solo modo per non esserlo è di essere in piedi e lottare; ma l’opposizione è scarsa e trasandata, non abbiamo i numeri, e non abbiamo un capo dietro cui poterci raccogliere. La risorsa più sicura è attendere e fare proteste flebili, come quelle che facciamo quando qualcun altro si offre di pagare il conto.

La l’opzione più sicura potrebbe non essere la migliore, e persino quando un despota mostra i suoi veri colori è sempre meno facilmente cacciato. Cresceremo meno sicuri, il nostro governo meno democratico, il paese meno civile.

CLINTON PALANCA, ESQUIREMAG.PH

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