Richiesto il divieto di importazione di rifiuti da Greenpeace Southeastasia e altre organizzazioni ambientaliste thailandesi, malesi e filippine per tutto ASEAN.
Gli impatti devastanti sulla salute, ambiente e benessere delle comunità thailandesi dello smaltimento di rifiuti di plastica e rifiuti elettronici sono denunciati in un rapporto di EARTH, Ecological Alert and Recovery Thailandia, dal titolo di Svendendo la salute e l’ambiente.
Si mette in luce che questi impatti devastanti si sviluppano all’interno dell’espansione degli affari transnazionali dei rifiuti di plastica e di rifiuti elettronici.
Il punto di inizio si ha dopo il 2017 quando la Cina vieta l’importazione di molte plastiche, metalli e prodotti a base di carta nei propri porti e allo stesso tempo la Thailandia vede la crescita esponenziale degli stessi prodotti.
I paesi esportatori principali sono Giappone, Hong Kong, Asutralia, Nuova Zelanda, Singapore, Cina, USA, UK e Canada.
A gestire questo traffico transnazionale di rifiuti sono gli stessi imprenditori cinesi che riescono a creare delle Joint Venture con imprese thailandesi del riciclo degli scarti nelle province che hanno diretto accesso a porti.
“I parchi industriali del Corridoio Economico Orientale potrebbero fornire una nuova zona focale per le imprese che cercano di creare industrie di trattamento dei rifiuti, dando loro privilegi di investimento per accelerare l’approvazione dell’uso del suolo, esenzioni fiscali e di importazioni, e permettere emendamenti degli standard ambientali, sanitari, di sicurezza e lavoro applicabili per assicurare la massima efficienza.”
http://www.earththailand.org/en/pollutions
Questo traffico transnazionale di rifiuti nasce anche perché i paesi esportatori hanno ridefinito i rifiuti in merci violando di fatto la Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transnazionali di rifiuti pericolosi e sul loro smaltimento.
Sebbene si sia proposta una revisione della Convenzione e si siano proposte restrizioni ai movimenti delle plastiche non riciclabili per giungere alla minimizzazione dei trasferimenti, in pochi credono che saranno efficaci per la pressione delle lobby industriali e finanziarie.
La Thailandia che ha firmato la convenzione di Basilea ha comunque lasciato aperti tutti i canali per lo sviluppo dell’importazione e trattamento di plastiche pericolose e pezzi elettronici usati, poiché le sue leggi per la gestione ambientale, acquisizione dei suoli e le protezioni sociali sono fatte male e sono aggirate dai regolamenti della giunta militare nel campo dei piani regolatori delle città.
Anche quando il governo si è impegnato a vietare le importazioni di tanti rifiuti pericolosi, sono molto aleatorie le misure di implementazione ed oscure le specifiche chimiche.
Resta per altro oscuro il destino dei rifiuti sequestrati lo scorso anno nelle tanto pubblicizzate perquisizioni, come è oscuro il quadro legale di riferimento per le popolazioni locali colpite da problematiche ambientali nel cercare una rivalsa o un risarcimento.
Secondo il rapporto di HEARTH, ci sono stati tre comunità colpite dallo smaltimento e/o dalle imprese di trattamento dei rifiuti. Le autorità sono sempre intervenute dopo le proteste dei cittadini a tutti i livelli, ma mai per una strategia dello stato per assicurare l’aderenza ai regolamenti di legge.
Si è manifestata una tendenza alla collusione tra autorità e imprese con le autorità che sospendevano temporaneamente le operazioni finché non fossero stati applicate le misure correttive e le imprese che se ne infischiavano di questi ordini. Le proteste delle popolazioni continuano con petizioni e proteste per avere giustizia con “risultati che devono ancora essere determinati”.
Di seguito traduciamo un articolo di Pravit Rojanaphruk sulla richiesta di divieto di importazione di rifiuti in Thailandia ed ASEAN da parte di Greenpeace SoutheastAsia
Mentre i rifiuti del mondo inondano la Thailandia si chiede al ASEAN un divieto di importazione dei rifiuti
La Thailandia ed i suoi vicini del Sudestasiatico diventano le principali discariche mondiali dei rifiuti in plastica e dei rifiuti elettronici.
I movimenti ambientalisti ora chiedono che sia imposto in tutto il gruppo ASEAN il divieto delle importazioni di rifiuti.
Greenpeace Thailandia, Malesia e Filippine hanno indetto una riunione al Club dei corrispondenti stranieri in Thailandia per discutere la crescita forte delle importazioni di rifiuti vissuta dai tre paesi dopo che la Cina nel 2017 vietò le importazioni di rifiuti di plastica ed elettronici.
Per quanto riguarda la Thailandia le importazioni di rifiuti in plastica sono salite da 152244 tonnellate del 2017 a 481381 del 2018 secondo dati di Greenpeace SEA.
Il principale esportatore del 2018 è il Giappone con oltre 173 mila tonnellate, seguito da Hong Kong con quasi 100 mila tonnellate ed USA con oltre 84 mila tonnellate.
Ma ponendo la Thailandia nel contesto regionale, essa importa solo un terzo dei rifiuti in plastica, dopo Vietnam e Malesia.
La Malesia lo scorso anno ha importato quasi 873 mila tonnellate di plastica, e nel 2017 le tonnellate erano quasi 550 mila, quando il totale delle importazioni è stato di 8,35 milioni di tonnellate.
Heng Kiah Chun di Greepeace Malaysia ha spiegato che il vero grande problema è che di tutto il rifiuto di plastiche solo una parte è riciclabile.
“Una parte finisce in costruzioni abbandonate” dice mettendo in rilievo che il governo malese ha cominciato a rispedire al mittente alcuni rifiuti, particolarmente USA e UK.
I militanti thai, malesi e filippini hanno proposto che gli stati membri del ASEAN impongano un divieto immediato di rifiuti di plastica in un momento in cui la regione è subissata di rifiuti di paesi ricchi che vanno dagli USA alla stessa Cina.
Penchom Saetang di EARTH, Ecological Alert and Recovery Thailand, ha posto la questione sul cosa pensa di fare la Thailandia con questo tipo di rifiuti. Una delle risposte è che la corruzione è profondamente coinvolta in questa domanda.
Penchom ha precisato che la Thailandia dà attualmente l’esenzione fiscale agli importatori legali di rifiuti, accelerando persino le procedure di ispezione doganali. Per chi li importa illegalmente, nel solo 2018 ci sono stati 2100 container di plastiche ed 85 di rifiuti elettronici confiscati.
Il punto di entrata principale dei rifiuti è il porto di Laem Chabang a Chonburi. La loro gestione nelle varie aree pone dei grandi rischi sia per la salute che per l’ambiente ed il turismo.
Penchom oltre a chiedere il divieto di importazione per ASEAN ha chiesto che sia riformato la legge delle industrie.
Si sentono notizie secondo cui il governo thailandese voglia vietare 422 tipi di rifiuti elettronici ma dando molte esenzioni. “Continueremo ad osservare” ha detto Penchom.
TaraBuakamsiri, direttore di Greenpeace Thailand, però è scettico sulla possibilità di ottenere il divieto nel ASEAN che terrà il suo summit a Bangkok a fine settimana, visto che è l’anno di presidenza del ASEAN della Thailandia. Poiché non è all’ordine del giorno la questione, non c’è da aspettarsi nulla.
Tara ha poi parlato di ciò che è successo ai container confiscati lo scorso anno.
“Vogliamo sapere dove sono finiti i rifiuti” ha detto Tara che ha espresso la preoccupazione di quanto spazio di espressione avranno le popolazioni colpite per lamentarsi sotto il governo appena nominato.
Nel 2018, Khaosodenglish indagò su un’impresa JW Metal Recovery Intergroup Co. Ltd. Di Pathum Thani dove furono scoperti 200 tonnellate di rifiuti elettronici e plastiche accatastate, mentre erano custoditi da personale straniero che provò a cacciare i giornalisti dopo averli fotografati.
Nello stesso mese la polizia fece 20 perquisizioni nelle industrie illegali di rifiuti elettronici e nelle discariche a Bangkok e dintorni.
Greenpeace Thailandia ha anche detto che nel 2016 fu approvato dalla giunta di Prayuth un ordine esecutivo con cui si escludevano dai regolamenti di pianificazione urbana le imprese di riciclaggio creando in questo modo una scappatoia per smaltimenti abusivi sul suolo.
Pravit Rojanaphruk, Khaosodenglish