Il conflitto papuano con la comparsa di un gruppo armato più violento e giovane e con la politica del bastone senza carota di Giacarta diventa sempre più difficile da risolvere pacificamente.
Le province papuane di Papua occidentale, il territorio indonesiano più ad oriente, è luogo di conflitto da decenni.
L’Indonesia le annesse con metodi controversi tra cui l’Accordo di New York del 1962 ed con la ironicamente definita Legge di Libera Scelta del 1969.
I paesi occidentali come gli USA facilitarono il subentro dell’Indonesia nella regione dalle mani dell’Olanda per considerazioni relative alla Guerra Fredda. Di conseguenza l’Indonesia essenzialmente sostituì l’Olanda come colonizzatrice senza riuscire ad integrare Papua Occidentale nel paese in modo olistico.

L’annessione accese una resistenza con alla guida un movimento in favore dell’indipendenza sotto la bandiera di OPM, Organizzazione di Papua Libera. Il conflitto papuano covava da decenni e gli ultimi sviluppi mostrano che gli spazi per la riconciliazione si stanno chiudendo.
Nei decenni successivi all’annessione, il governo indonesiano su Papua è stato segnato da accuse di abusi di diritti umani commessi dalle forze di sicurezza indonesiane, accuse che continuano anche ora e che sono state sempre documentate.
Alcuni punti di vista definiscono le azioni dell’Indonesia come genocide.
Ci sono elevati livelli di razzismo contro i Papuani verso i quali ci si riferisce spesso con i termini monyet o scimmie.
Questo razzismo non è solo a livello statale ma anche a livello di gente comune in larghe parti della società indonesiana.
Lo stato negli anni ha anche continuato ed accelerato il programma olandese delle transmigrazioni con il quale gli indonesiani in gran parte dalla popolosa isola di Giava erano spostati nel paese ed in particolare nelle province papuane.
L’identità papuana è del tutto differente dai vari gruppi etnici che costituiscono il resto dell’Indonesia. I papuani sono anche cristiani, mentre la maggioranza degli Indonesiani sono musulmani.
La transmigrazione ha diluito questa identità papuana ed ha contribuito a tensioni radicate e profonde.
Sotto tutte queste tensioni, come è quasi sempre il caso dei conflitti nel mondo, c’è il conflitto sulle risorse. Papua Occidentale è ricca di risorse, eppure resta tra le province meno sviluppate in Indonesia. C’è oro, argento, rame, gas naturale e legname tra le tante risorse, e l’Indonesia e le imprese occidentali, come l’americana Freeport McMoRan, raccolgono profitti enormi da Papua Occidentale.
Questo ha contribuito alle accuse di sfruttamento e appropriazione di risorse, mentre i papuani non vedono i benefici. Ufficialmente il governo nel 2018 ha avuto la maggioranza azionaria nella miniera di Grasberg, gestita da Freeport. I papuani domandano sempre la chiusura della miniera con varie proteste periodiche.
Nel frantempo l’OPM continua a tenere un’insorgenza di basso livello contro le forze indonesiane. Si sono avuti alcuni incidenti di un certo rilievo quale la crisi degli ostaggi di Mapenduma del 1996.
Comunque attacchi e scontri erano sporadici fatti di periodi di forte attività e periodi di assenza di violenza.
Negli ultimi anni è emerso il TPNPB, esercito di liberazione nazionale di Papua Occidentale, che ha portato il conflitto ad un livello più alto. I media indonesiani e non solo spesso si riferiscono al TPNPB e alle vecchie iterazioni dell’OPM come se fossero la stessa cosa, eppure questo non è il caso.
Il TPNPB è una nuova generazione di combattenti separatisti che hanno le più disparate intenzioni sotto la bandiera dell’indipendenza papuana.
Questo gruppo al pari della gente papuana non è una entità omogenea e centralizzata. E’ più giovane, più violenta ed una minaccia maggiore per l’Indonesia.
Sin dall’attacco a Nduga la violenza è cresciuta nelle province papuane.
TPNPB ha fatto minacce contro Freeport ed ha ucciso nel marzo 2020 un appaltatore in un attacco molto degno di nota.
Il teatro del conflitto papuano si è espanso mentre l’inquietudine avviene in differenti parti delle province papuane.
Il TPNPB ha lanciato molti avvisi contro i non papuani che vivono o lavorano a Papua Occidentale; ha di frequente preso di mira i lavoratori del progetto di bandiera del presidente Joko Widodo della Trans Papua Highway.
TPNPB fa più di frequente dell’OPM attacchi che sono anche più mortali. Le forze di sicurezza hanno ucciso importanti capi del TPNPB che sono stati però prontamente sostituiti permettendo così il prosieguo delle sue operazioni.
L’approccio del governo è di tolleranza zero e di frequente arresta militanti papuani che sono incriminati per tradimento con accuse che sono motivate politicamente. Le forze di sicurezza di solito reprimono con estrema durezze le proteste a Papua.
In seguito all’omicidio di un generale della agenzia di intelligence statale a Papua, la vittima indonesiana di maggior grado nel conflitto papuano, l’Indonesia ha designato il gruppo separatista come “terrorista”. E’ un approccio quello di Giacarta da tutto bastone senza carota.
Date queste dinamiche, data la presenza di un’organizzazione armata più violenta in azione, e la reticenza di Giacarta a portare la popolazione dalla sua parte, il conflitto cresce.
Le tensioni storiche, una mancanza di sviluppo, preoccupazioni ambientali e la soppressione dell’identità papuana hanno portato ad una maggiore polarizzazione tra Papua e Giacarta.
L’Indonesia non accetterà mai le richieste dei separatisti, mentre gli elementi a favore dell’indipendenza papuana radicalizzano le loro posizioni.
Le vie per il dialogo ed una potenziale risoluzione si restringono facendo sì che la possibilità della pace nelle province papuane nei prossimi decenni si fanno sempre più tenui.
Uday Bakhshi, TheDiplomat