Le Filippine cominciano a pagare il prezzo del dietrofront politico di Rodrigo Duterte rispetto al Mare Cinese Meridionale sotto forma di ripetuti affronti alla sovranità del paese da parte di Pechino che vede questa via d’acqua come proprio.
Di certo Pechino farà di tutto per controllare ogni isola naturale o artificiale e le risorse lì intorno presenti.
Ne sono prova la presenza di una flottiglia di centinaia di pescherecci cinesi, sin dall’inizio dell’anno, vicino all’isola di Thitu dove esiste una amministrazione filippina, isola che è anche reclamata dalla Cina con la sua mappa delle nove linee.
Questo ha mandato in fibrillazione i militari filippini il cui capo di stato maggiore generale Madrigal ha auspicato che si formi un gruppo di lavoro tra i due paesi che affronti questa presenza cinese corposa in mare.
“E’ una preoccupazione non solo per i militari ma anche per altre agenzie tra cui la guardia costiera” ha detto il generale che ha poi annunciato le annuali esercitazioni militari congiunte con gli USA.
Il ministro della difesa Delfin Lorenzana ha protestato contro questa intrusione cinese, definita molto preoccupante, in una zona economica esclusiva delle Filippine, dove lo sfruttamento delle risorse è garantito dalla legge internazionale del mare alle sole Filippine:
“Costruiscono isole a partire da barre coralline sin dal 2011 o 2012” ha detto Lorenzana. “Ci preoccupa anche perché sfruttano la nostra zona economica esclusiva”
Mentre l’ambasciatore cinese a Manila ha provato a minimizzare dicendo di non preoccuparsi perché non ci sarà alcun conflitto lì e che c’è spazio anche per pescherecci filippini, bisogna rammentare come spesso i pescatori filippini sono spesso cacciati dalle isole contese e talvolta derubati di quello che hanno raccolto in mare. Il peso di questa presenza la sentono molto le comunità rivierasche di pescatori lungo la costa della regione di Zambales e dell’isola di Palawan.
Mentre il governo filippino e Duterte sembrano indecisi, incerti sulla risposta da dare, anche in ragione di una campagna elettorale importante per Duterte in cui la sua politica di sudditanza alla Cina è molto attaccata, l’informazione filippina comincia a dimostrare i costi anche ambientali di questa sudditanza.
Si legge sul ABSCBN
“La raccolta di conchiglie giganti da parte della Cina a Scarborough Shoal (altra isola che Pechino contende) ha portato alla distruzione totale dell’ambiente naturale, ha dichiarato un esperto di legge di mare, Jay Batongbacal.
“Quello che fanno, nonostante la politica di amicizia del governo, è di farci fare la parte degli scemi perché continuano con le loro attività. Quello che ci fa infuriare è che la loro guardia costiera è parte di questa attività. E’ ovvio che sanno cosa accade e lo lasciano accadere. C’è possibile connivenza perché c’è tanto denaro che è coinvolto”
Jay Batongbacal sostiene che le conchiglie giganti, dopo essere state scolpite, sono usate come sostituto dell’avorio e vendute a prezzi esorbitanti. Per essere estratte dal fondale marino, devono distruggere i coralli, polverizzarli distruggendo oltre alle conchiglie giganti anche l’ambiente dove vivono tanti pesci.
Il traffico di conchiglie giganti sarebbe tanto fruttuoso da sostenere fino a centomila persone che lavorano nel campo e spinge i pescatori ad entrare sempre di più in aree contese. Secondo alcuni questo traffico è in piedi da alcuni anni e nel 2016 i pescatori cinesi “caricavano grandi cargo pieni di conchiglie giganti”.
Il danno all’ambiente marino è enorme per varie ragioni concomitanti. Queste conchiglie giganti vivono fino ad 80 anni, hanno un ciclo di vita lento e richiedono quindi molto tempo per formarsi. Appartengono ad un ciclo biologico legato a stelle marine, gamberi, microalghe. Per raccoglierle bisogna polverizzare i coralli dove vivono distruggendo appunto tutto un habitat particolare.
Le conchiglie giganti bianche traslucide chiamate la giada del mare è emersa come un’alternativa all’avorio delle zanne di elefante, messo al bando in Cina. C’è una immensa domanda di incisioni su conchiglie da spingere in alto il prezzo fino a valori tra 3000 e 12 mila dollari a seconda della grandezza della conchiglia. In altre parti della Cina il frutto di mare delle conchiglie giganti è anche venduto come afrodisiaco.
Secondo Jay Batongbacal, “Prima di tutto siamo noi il problema. Abbiamo forse vinto l’arbitrato del 2016 ma non abbiamo affermato il nostro diritto sul mare. Lasciamo fare alla Cina quello che vuole, la lasciamo andare dove vuole e distruggere tutto quello che vuole. Dobbiamo prendere una posizione e a partire da questa essere decisi quando si parla con la Cina.”
Il ministero degli esteri filippino, in uno forse dei tanti dietrofront dell’amministrazione Duterte, ha detto che intraprenderà azioni legali contro la Cina per quanto accaduto a Scarborough Shoal e ha denunciato la presenza di imbarcazioni cinesi, sia militari che di guardia costiera che di decine pescherecci a Thitu come una violazione della sovranità e giurisdizione filippina.
Nel frattempo pescatori di Zambales e Palawan insieme alla Integrated Bar of Philippines hanno chiesto alla Corte Suprema Filippina di costringere il governo filippino attraverso una ingiunzione, Decreto di Kalikasan, a difendere e preservare l’ambiente nel Mare Filippino Occidentale, che è la parte del Mare Cinese Meridionale che cade nella Zona Economica Esclusiva Filippina.
Scrive su Forbes Panos Mourdoukoutas:
“Il guaio è che Manila non ha una politica chiara e consistente per trattare con l’aggressione cinese, come evidenziato da molti dietrofront della amministrazione Duterte. Perché? Forse per paura della guerra o del fascino dei soldi cinesi che dovrebbero finanziare i suoi ambiziosi progetti infrastrutturali.
Al aprile 2018, Duterte ritirò la decisione precedente di issare la bandiera filippina nelle isole contese, per seguire un amichevole invito cinese.
Questo dietrofront del 2018 venne due anni dopo il dietrofront politico del 2016 quando le Filippine vinsero un arbitrato internazionale secondo cui la Cina non ha titoli storici da vantare nelle acque del are Cinese Meridionale. Cosa fece Duterte? Piuttosto che fare squadra con gli USA per applicare la decisione, se ne andò dall’altra parte. Prese le parti di Pechino e cercò un divorzio dagli USA.”
Ed i dietrofront di Duterte forse non si fermeranno qui. Va notato che a meno di un mese ci saranno le elezioni suppletive per il Senato e per le amministrazioni locali. E Duterte vuol fare il pieno dei senatori e togliersi qualunque voce di opposizione.
Queste intrusioni cinesi non sono ben viste nel paese e danno forza e voce all’opposizione, tanto da spingere Duterte a fare dichiarazioni continue che raggiungono livelli sempre più infimo.
Oltre alle invettive contro i vescovi filippini, il presidente parla dei suoi attributi fisici sessuali ed accusa candidati dell’opposizione di essere gay o di essere incompetenti. Tutto è meglio che parlare della Cina e dei futuri mancati sogni di opulenza, per i filippini ovvio.