Diritti di genere nel Sudestasiatico tra leggi e religioni

Vari paesi del Sud Est Asiatico hanno fatto significativi sforzi nel colmare la lacuna di diritti di genere e nell’affrontare la lotta contro la discriminazione di genere.

Tuttavia persistono le disparità nel campo legale, particolarmente per quanto riguarda i diritti della comunità LGBTQ+ e del loro accesso alle fondamentali libertà civili e alla sanità pubblica.

A dare forma a queste disparità sono in gran parte le influenze religiose che hanno un peso considerevole sull’applicazione delle leggi nel Sud Est Asiatico. Questo vale per tutte le importanti religioni nella regione come Islam per Indonesia, Malesia e Brunei, come il Cattolicesimo nelle Filippine, Timor Est e fino ad un certo punto Singapore, e come il Buddismo in Thailandia e Myanmar.

diritti di genere LGBTQ+

Un’analisi complessiva di questi paesi può dare una visione della comunità LGBTQ+ nella regione dell’Indo-Pacifico e dare un contributo a delucidare le questioni vitali che il movimento deve affrontare.

Nonostante alcune protezioni legali, il panorama dei diritti LGBTQ+ nei paesi del Sud Est Asiatico è influenzato da fattori politici, culturali e religiosi che portano a variazioni pratiche della norma.

Diritti di genere nei paesi islamici: Indonesia, Malesia e Brunei Darussalam.

Indonesia, Malesia e Brunei Darussalam hanno disposizioni di legge specifiche sui diritti delle coppie dello stesso sesso.

In Indonesia, le relazioni tra persone dello stesso sesso non sono criminalizzate, con l’eccezione di Banda Aceh che dal 2005 è governata dalla sharia e dove il regolamento n. 6/2014 impone pene severe per le relazioni tra persone dello stesso sesso.

L’Indonesia non ha leggi specifiche che prendono di mira gli omosessuali e persino il nuovo controverso nuovo codice penale, KUHP, non delinea con chiarezza ciò che è permesso o proibito all’interno delle relazioni tra persone dello stesso sesso.

Eppure gli individui LGBTQ+ vivono criticità per i loro diritti civili e sono vulnerabili alla discriminazioni.

Gli apparati di polizia sono usati normalmente contro la comunità LGBTQ+ in base all’articolo 281 del codice penale del 1999 il quale stipula che chiunque commetta un’reato contro la decenza possa essere condannati a due anni di carcere. Il codice penale indonesiano comunque o altre leggi speciali specificano esplicitamente né regolano sanzioni contro la Comunità LGBTQ+.

Un altro regolamento importante in Indonesia è la legge 44 sulla pornografia che definisce devianti le relazioni dello stesso sesso.

I rapporti di Human Rights Watch indicano che questa legge fu utilizzata tra il 2016 e 2020 per giustificare l’arresto di individui legati in atti associati alla persone della LGBTQ+.

Persino in paesi a sistema democratico come Indonesia e Malesia, il contesto politico religioso rallenta i processi di inclusione degli LGBTQ+

Una delle criticità in Indonesia è che la dicitura di alcune delle sue leggi può essere interpretata per giustificare la discriminazione di persone LGBTQ+ che , insieme alla crescente influenza dell’Islam Politico nel paese dal 2016, complica la relazione tra la popolazione in generale e i gruppi di minoranza di genere.

Per esempio in risposta al caso di Reynhard Sinaga in UK, la propaganda islamica in Indonesia prende di mira specificamente individui LGBTQ+ sottomettendoli talvolta ad attacchi politici. Un altro esempio è la promessa del sindaco di Depok Mohammad Idris di creare centri di riabilitazione dei gay nella città. Mentre non si definiscono esplicitamente illegali le relazioni gay e lesbiche, il clima politico prevalente nel paese contribuisce alla loro categorizzazione di devianti.

La situazione è differente in Malesia che rende penale le relazioni dello stesso sesso. La legge 28 della legge del 1997 dei Reati Penali della Sharia nei territori federali stabilisce una condanna a due anni di carcere per qualunque uomo che si traveste da donna.

In modo simile sono in vigore nel Brunei Darassalam regolamenti rigorosi che governano i diritti della comunità LGBTQ+. Le relazioni dello stesso sesso sono proibite secondo l’articolo 337 del codice penale del 1951che le classifica come “rapporti carnali contro l’ordine della natura”,

Il codice penale della Sharia del 2013 rende penali atti considerati omosessuali con gli articoli 82 e 92. Di recente Brunei Darussalam ha visto una critica significativa per l’intenzione di introdurre la pena della lapidazione per le relazioni omosessuali.

La situazione degli individui transgender è anche restrittiva con l’articolo 198 che prescrive pene per “uomini che si travestono da donne in posti pubblici per scopi immorali”.

Diritti di genere e Chiesa Cattolica: Filippine, Timor Est e Singapore

Al contrario, le Filippine e Timor Est, dove la Chiesa cattolica ha un’influenza significativa nella società, sono all’avanguardia nell’avanzamento dei diritti LGBTQ+ nella regione. Timor Est si distingue come una delle nazioni più progressiste per quanto riguarda le persone LGBTQ+.

Il codice penale del paese contiene vari articoli che salvaguardano i diritti delle minorità di genere e criminalizza la discriminazione basata sugli orientamenti sessuali. Comunque nonostante queste protezioni legali gli individui LGBTQ+ ancora si trovano davanti a criticità sulla loro accettazione sociale.

Ciò nasce dai fattori religiosi e dalla forte enfasi sulla mascolinità eterosessuale. Da notare che su questa questione di genere sono stati fatti passi positivi nella campagna delle elezioni presidenziali del 2022, e l’attuale presidente Ramos Horta sostiene un maggior rispetto della comunità LGBTQ+.

A differenza di Timor Est, le Filippine sono state di recente teatro di repressioni e violazioni dei diritti umani nell’ambito della “guerra alla droga” dell’ex presidente Rodrigo Duterte. Sebbene le persone LGBTQ+ non siano criminalizzate, continuano a subire discriminazioni, in particolare quelle che vivono con l’HIV. Per questo motivo, si battono per ottenere maggiori diritti civili, come il diritto di sposarsi e di adottare.

A Singapore, il cristianesimo esercita un’influenza significativa anche sulle questioni relative alla rappresentanza di genere, in particolare attraverso la Chiesa cattolica. In effetti, la posizione conservatrice di Singapore in materia di diritti e legislazione LGBTQ+ può essere in parte attribuita all’influenza esercitata dalle principali chiese cristiane, che rappresentano la seconda religione del Paese.

Nel novembre 2022, tuttavia, Singapore ha depenalizzato le relazioni omosessuali tra uomini, precedentemente illegali ai sensi dell’articolo 377A. Tuttavia, la città-stato non ha ancora compiuto passi verso la legalizzazione dei matrimoni gay.

Diritti di genere nei Paesi buddisti: Thailandia e Myanmar

Thailandia e Myanmar, paesi confinanti che hanno una storia di ricorrenti colpi di stato, abbracciano il buddismo come religione prevalente. Comunque nonostante le somiglianze geografiche, politiche e religiose, il riconoscimento dei diritti LGBTQ+ non è lo stesso nei due paesi.

In Thailandia non esiste una legge che penalizza le relazioni dello stesso sesso la cui depenalizzazione si ebbe nel 1956 e dal 2022 l’omosessualità non è più classificata come malattia. Eppure gay e lesbiche vivono la discriminazione e la costituzione thai non riconosce attualmente i matrimoni dello stesso sesso.

Nel 2013, il governo thailandese ha avviato gli sforzi per istituire una legge che garantisca l’uguaglianza matrimoniale. Tuttavia, questi sforzi sono stati ostacolati dal colpo di Stato militare del 2014 guidato dal generale Prayuth Chan-o-cha. Solo dopo le elezioni del 2019, il partito di opposizione Move Forward riuscì a proporre la legge sull’uguaglianza matrimoniale al Congresso nel 2020.

Tuttavia, a causa della situazione politica instabile, la proposta è passata solo in prima lettura al Congresso. Sebbene il partito Move Forward si sia schierato a favore dei diritti LGBTQ+ durante la campagna elettorale del 2023, la proposta di uguaglianza matrimoniale è stata rinviata più volte senza una conferma definitiva.

La marcia inaugurale LGBTQ+ in Thailandia nel 2022 ha segnato un progresso dopo 16 anni di tensioni politiche e colpi di Stato.

Quest’anno la manifestazione Bangkok Pride a cui hanno partecipato 50 mila persone della comunità LGBTQ+ ha sostenuto i diritti uguali includendo il riconoscimento di genere, l’uguaglianza dei matrimoni e la migliore sanità.

Le organizzazioni dei diritti delle donne in Thailandia lavorano attivamente verso l’uguaglianza e mirano a legalizzare i matrimoni dello stesso sesso entro il 2028. A maggio 2023 la vittoria elettorale del MFP e del suo leader Pita ha dato slancio per il progresso dei diritti civili in parlamento e ha fissato un esempio potenziale per gli altri paesi della regione.

La situazione in Myanmar è notevolmente diversa. Un rapporto di Human Rights Watch su LGBTQIA in Myanmar mette in evidenza le modifiche legali attuate dopo il colpo di Stato del febbraio 2021 che riguardano il diritto internazionale.

Il quadro giuridico del Myanmar comprende solo due leggi che proteggono le persone appartenenti alla comunità LGBTQ+. La prima è la legge sui diritti dei giovani del 2018, che impone al governo di promuovere l’accesso alle opportunità economiche e alle attività politiche per i giovani, comprese le persone LGBTQ+. Questa enfasi sull’inclusività è ulteriormente sottolineata dalla legge sui diritti dei bambini del 2019, che vieta la discriminazione basata su razza, genere e orientamento sessuale.

Il colpo di Stato militare del 2021 a Nay Pyi Daw ha creato una discrepanza significativa tra il quadro giuridico stabilito dal Myanmar e i suoi meccanismi giudiziari operativi.

Le relazioni omosessuali rimangono illegali ai sensi del Codice penale coloniale del 1860 (sezione 377), che comporta una pena massima di 10 anni di reclusione. Inoltre, le disposizioni della legge sul vizio del 1945 e della legge sul vizio di Rangoon del 1899 contribuiscono a normalizzare i maltrattamenti e la discriminazione nei confronti della comunità LGBTQ+.

L’articolo 35(c) della legge sulla moralità prende spesso di mira le persone transgender, classificando l’uso del trucco come una forma di travestimento. Allo stesso modo, l’articolo 30 della legge morale di Rangoon è stato invocato per arrestare estetiste omosessuali e transessuali trovate in possesso di forbici.

Altre disposizioni come “propagazione negligente di malattie sessuali”, “disturbo pubblico” e “proibizione di attività che influenzano la morale” sono state utilizzate per colpire e perseguire le persone LGBTQ+. Dopo il colpo di Stato, la repressione, la violenza sessuale e la tortura contro la comunità LGBTQ+ da parte delle forze militari e di sicurezza sono aumentate in modo allarmante.

Stabilità delle leggi adeguata?

In paesi come Indonesia, Malesia e Singapore gioca un ruolo importante la matrice religiosa nella rappresentazione e riconoscimento degli omosessuali. In altre parti come Timor Est, Thailandia e Myanmar, le comunità LGBTQ+ sono diventate vittime di tensioni politiche nello stato che rallentano il processo di acquisizione di diritti civili o lo bloccano del tutto come in Myanmar.

In Indonesia, Timor Est e Filippine sono presenti restrizioni dovute a circostanze politiche, che portano le persone LGBTQ+ ad affrontare scontri ideologici. Al contrario, il Brunei privilegia le considerazioni religiose rispetto ai diritti universali. La Thailandia riconosce le comunità LGBTQ+ ma manca di diritti civili fondamentali come l’uguaglianza matrimoniale, mentre il Myanmar, sotto la giunta, è lontano dal pensare alla comunità LGBTQ+ a causa di altre priorità.

In effetti, i governi di questi Paesi non hanno ancora raggiunto un’adeguata stabilità normativa in difesa dei diritti della comunità LGBTQ+. Anche nei Paesi a sistema democratico, come Indonesia e Malesia, il contesto politico-religioso rallenta il processo di inclusione delle persone LGBTQ+.

In tutti questi Paesi si possono ottenere progressi significativi rispondendo in modo più sensibile alle questioni relative ai diritti di genere a livello sociale, politico e religioso. Inoltre, l’attuazione di norme che affrontino la violenza verbale e fisica può svolgere un ruolo fondamentale nella salvaguardia delle comunità LGBTQ+ e nel sostegno dei loro diritti civili nei Paesi considerati.

Aniello Iannone, lettore del Dipartimento di Studi governativi dell’Università di Diponegoro, Laure Siegel, fondatrice di Visual Rebellion Myanmar e corrispondente di Mediapart, Gabriel Facal Antropoloogo e vice direttore di IRASEC, Ida Fagervold, Ricercatrice del dipartimento di sociologia e Geografia Umana, università di Oslo, Nicha Wachpanich, giornalista di Visual Rebellion Myanmar e HardStories,

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