Sin da quando Prayuth Chanocha prese il potere sette anni fa, ha impiegato una parte considerevole di tempo come premier ad inquadrare la disinformazione come un aspetto della sicurezza.
NCPO, consiglio nazionale per la Pace e l’Ordine, che già aveva il pieno controllo della gente con divieti forti sulle adunanze pubbliche e gli aggiustamenti di attitudine, si mosse immediatamente nella pratica della repressione digitale compreso la manipolazione dell’informazione online.
Persino dopo le elezioni del marzo 2019, che diedero a Prayuth una patina di legittimità, la sua paranoia lo porta a considerare il dissenso pubblico come una minaccia sia per le istituzioni che rafforzano il suo potere politico, che per la sicurezza nazionale della Thailandia.
Ora dopo un periodo di tentativi, il decreto di fine giugno di Prayuth ha pressoché consolidato una versione ufficiale della verità come un metodo per cementare la sua presa del potere.
Lo scorso anno di turbolenza ha affrettato i tentativi delle autorità thai sia di contenere la disinformazione, o quello che si definisce come fakenews, sia di inquadrare la diffusione di quella informazione in una legittima minaccia alla sicurezza nazionale.
Attraverso una serie di decreti di emergenza e relative leggi draconiane, il governo si è dichiarato il solo arbitro della verità e il solo distributore di pene per coloro che li violano.
Fu il vicepremier Prawit Wongsuwan ad annunciare nel 2019 che il regime avrebbe perseguito un’azione legale contro coloro che disseminavano “notizie ed informazioni distorte con l’intento di provocare violenza nella società e di generare odio.”
Al momento il governo thai pose nel regno della sicurezza nazionale ogni genere di discorso che colpiva la sua reputazione, creando quello stesso anno un centro contro le fakenews con il compito di ricercare su internet i possibili trasgressori.
Tradizionalmente il dominio della sicurezza ruotava attorno alla protezione delle istituzioni e i simboli del potere, vale a dire la monarchia thailandese, in cui si osservano e difendono la sua immagine e la narrazione associata della verità .
Lo scorso anno, quando la società thai ha apertamente posto in discussione il ruolo della monarchia, 103 persone delle manifestazioni antigovernative sono state accusate di lesa maestà che è punibile con pene fino a 15 anni di carcere.
Nell’inseguimento ai propri nemici o diffusori di quello che si considera fakenews, il governo ha impiegato sia istituzioni che armi. A giugno attraverso il ministero dell’economia e della società digitale, MDES, il regime ordinò ai fornitori di accesso ad internet di chiudere i profili di manifestanti democratici accusati di aver diffuso fakenews su siti web e reti sociali, tra i quali Royalist Marketplace, un gruppo Facebook con oltre 1 milione di membri.
La repressione di giugno sulle fakenews ha spinto la Polizia Reale Thailandese comandata dal generale Suwat Jangyodsuk a promettere una maggiore collaborazione con il MDES “per monitorare le Fakenews, identificare e rintracciare ed arrestare i colpevoli.”
In solo poche settimane il regime ha messo una rete più vasta e, più in particolare, minacciando il rapper diciottenne Danupa Milli Kanaterrakul con accuse di diffamazione il quale aveva criticato Prayuth sui Media Sociali per la sua gestione della pandemia del COVID-19.
Le minacce a Danupa hanno confermato una sequela di metodi draconiani come mostrati dall’arresto di Danai Ussama, un artista che è stato accusato di violazione della legge del crimine informatico a marzo 2020 per alcuni post di Facebook. In questi post si affermava che all’aeroporto di Suvarnabhumi di Bangkok non si conduceva lo screening del COVID-19 e il MDES affermò che i post di Danai “creavano panico nella gente e minavano la fiducia nelle autorità aeroportuali”
La stessa pandemia da Coronavirus si è spostata da argomento di discussione pubblica a materia di sicurezza nazionale perché il governo mira a contenere le descrizioni negative delle sue operazioni e silenziare i mezzi che diffondono la critica legittima.
L’ultimo ordine del governo sulle fakenews mirava a vietare l’intenzionale distorsione della informazione che “causa una incomprensione sulla situazione di emergenza, che potrebbe eventualmente afferire la sicurezza e l’ordine dello stato o la buona moralità della gente.
L’editto più recente ordinava alle istituzioni ed i ministeri di “intraprendere azioni contro individui che diffondono notizie false sul COVID-19 che potrebbero causare confusione durante la pandemia”
Mentre il governo affermava che il nuovo ordine rispondeva alle dicerie dei media sociali sulla chiusura del centro vaccinale di Bang Sue, l’obiettivo probabile non è tanto la gente quanto la stampa libera.
E’ ben documentato lo sdegno di Prayuth verso la stampa nazionale ed internazionale come lo è la repressione sulle organizzazioni dei media che distribuiscono contenuti in violazione dello stato di emergenza del governo. Varie organizzazioni dei media si sono espresse fortemente sul nuovo decreto portandolo in tribunale.
Ed è a livello giuridico che il regime ha incontrato la resistenza della Corte civile thailandese che ha affermato che l’editto del 30 luglio era una “privazione superflua e non necessaria” di diritti e libertà individuali.
E’ uno dei rari controlli sul potere esecutivo, che è avvezzo a controlli molto limitati, con il quale si mira ad ordinare ai fornitori di accesso ad internet di bloccare l’accesso ad indirizzi IP individuali se essi diffondessero fake news.
Eppure l’informazione in Thailandia è posta nel reame della sicurezza con metodi che sono per lo meno imprecisi.
I parametri della sicurezza nazionale dello stato sono mal definiti ed invitano all’abuso di politici e autorità che hanno piattaforme politiche, come dimostrato dalle continue pressioni vissute dall’ex capo di partito Thanathorn Juangroongruangkit.
A giudicare dalla diffusione di aspetti della società thai poste sotto il grande ombrello della sicurezza thai, il controllo dell’informazione continuerà a stringersi come un cappio attorno al collo del corpo politico mentre regna la paranoia ai livelli più alti del governo.
Marc S Cogan, Geopolitical Monitor