Nel 2020 si è dichiarata e si combatte in tutto il mondo la “guerra” al COVID-19, ma le popolazioni degli stati birmani del Rakhine e Chin soffrono da anni delle conseguenze del conflitto tra Arakan Army e Tatmadaw, le forze armate birmane.

Da quando iniziò il conflitto nel dicembre 2018, sono quasi 157 mila le persone cacciate dalle case e centinaia le morti di civili. Mentre il mondo si accorgeva della serietà della pandemia ad Aprile, si intensificavano anche gli scontri: in due giorni furono sradicati dalle loro case a Minbya 4000 persone mentre in altre cittadine continuavano movimenti di popolazioni in scala minore.
Il tasso di dislocamento negli stati Kachine e Chin è cresciuto di oltre il 50% da gennaio. Chi è stato colpito è già sulla linea di battaglia di una guerra attuale mentre ancora una “altra guerra” contro il COVID-19 sta per colpirli.
Le persone e le donne nelle zone di conflitto sono doppiamente in pericolo quando la minaccia del COVID-19 si scontra con la guerra.
Mentre il mondo segue gli aggiornamenti sul come prevenire e stare al sicuro dalla diffusione del virus, le persone nei conflitti delle aree colpite del Rakhine sono all’oscuro delle informazioni salva vita per i blocchi di internet e dell’energia elettrica. La mancanza di informazioni li rende meno preoccupati del virus che ai loro occhi sembra essere meno mortale di un conflitto e meno terrorizzante della malnutrizione.
Vivono in isolamento dal resto del mondo e vivono una forma differente del distanziamento sociale.
La vita delle persone dislocate internamente, PDI, nei campi improvvisati che sono fatti di tende sovraffollate e rifugi ad-hoc sono lontanissimi dal discorso del distanziamento sociale e dal lavaggio delle mani.
In luoghi come Pannagyun, la fonte di acqua si trova a due chilometri. E per paura dei colpi di artiglieria la gente è riluttante ad andare a prendere l’acqua. Si dibattono per sopravvivere con le riserve di acqua potabile, si fanno il bagno quando possono e non possono permettersi frequenti lavaggi delle mani.
Una donna di Myebon era così disperata a causa dell’acqua che disse ad una organizzazione locale delle donne “Noi tutti moriremo di sete prima che il virus ci ucciderà”
Quando fu confermato il primo caso di COVID-19 il 23 marzo in Myanmar, la gente del Rakhine fuggiva agli scontri intensi mentre le loro case erano bruciate. Sebbene il mantra del mondo sia “stai a casa e salva delle vite”, restare a casa non è l’opzione per la gente che vive nelle aree del conflitto. Molti sono diventati senza casa, senza sicurezza e protezione.
Se le persone nelle aree di conflitto non sono nella posizione di seguire le precauzioni sanitarie, come fa il governo birmano a controllare la diffusione del virus nel Rakhine?
L’evidenza globale mostra che il COVID-19 colpisce donne e uomini differentemente. Mentre sono gli uomini più proni a morire di più per il virus, le donne sono ad essere colpite dal virus perché esse costituiscono la maggioranza di chi presta cure sanitarie sul fronte, degli infermieri non pagati e del settore informale e dei lavoratori dei servizi.
Esse soffrono in modo spropositato dalla ricaduta indiretta del virus come la violenza di genere crescente e la mancanza di cibo e medicinali . Questi impatti si intensificano nei contesti del conflitto e dell’emergenza dove si indebolisce la coesione sociale ed è limitata la capacità istituzionale.
Mentre il governo di Myamar ha annunciato varie politiche di risposta alla pandemia sotto il piano CERP, ha bisogno di allocare specifiche risorse e misure per affrontare rischi, vulnerabilità particolari vissute dalle ragazze e donne nelle zone di conflitto.
Donne nelle zone di conflitto
L’esperienza del solo conflitto è devastante per le donne nel Rakhine che spesso sono infermiere le cui vite erano prima confinate alle loro case e alle faccende domestiche. Avere una casa è centrale alla capacità di queste donne di esercitare potere nella vita quotidiana.
La loro autorità è associata al loro status o ruolo che sia di casalinga, di infermiere, di creatrici di attività sociali e di generatrici di entrate (dai piccoli commerci nelle loro case). Attraverso le decisioni sugli alimenti e la cura e all’allocazione del loro tempo e risorse, influenzano e contribuiscono alla sanità, alla sicurezza e al benessere familiare e comunitario.
Perdere la casa significa che perdono un senso di controllo sulla routine normale quotidiana, e quindi la fiducia, l’autostima e abilità di integrarsi nella società. Molte sono vinte dal dolore della perdita e non sanno gestire il loro dolore.

In alcune situazioni le donne hanno perso i maschi della famiglia che garantivano la loro sicurezza fisica e mobilità. Madri singole, vedove e giovani ragazze devono prendere rifugio insieme a uomini e giovani non legati, in monasteri o tende senza chiusure sicure sempre a rischio di violenza sessuale e di genere. Vivere con estranei li fa sentire insicure. Sono terrorizzate quando devono defecare all’aperto in alcune situazioni.
“Evitiamo di farci il bagno e di andare alla toilette di notte” dicono le donne del campo di Minbya.
La situazione è peggiore per le donne anziane e donne disabili perché le strutture dei bagni sono spesso lontane e raramente adatte a gente con i loro bisogni. Spazi affollati limitano la loro mobilità. L’impatto sulle donne incinta è anche severo.
“Allattare al seno il mio bimbo di fronte a tanta gente nel campo è duro per me e sto malissimo quando ha fame e piange” dice una giovane mamma di Mrauk U. Continuano senza assistenza medica mentre fuggono dal conflitto e manca da mangiare e acqua pulita.
Mentre la presenza di soldati dovrebbe agire idealmente come forza stabilizzante, la sicurizzazione del Rakhine ha ancora di più esacerbato la vita delle donne. La “guerra” al virus ha significato chiusura dei confini nel mondo e accresciuta sicurezza per le strade nei villaggi birmani. Ma la contemporanea situazione di conflitto significa maggiori misure di confinamento nel Rakhine. Le normali misure di controllo sul comportamento tendono ad indebolirsi e la violenza prevale. L’aiuto umanitario è stato ristretto in nome della sicurezza e ai lavoratori dell’aiuto è impedito di dare alimenti salvavita e rifornimenti medici.
L’applicazione aggressiva di misure di sicurezza senza alcuna responsabilità deteriora la già precaria fiducia nelle autorità accrescendo il senso di insicurezza. Le donne hanno paura di cercare da mangiare e di andare a prendere l’acqua per la paura di subire violenze sessuali o arresti arbitrari ai posti di blocco militari, o di trovarsi in mezzo a scontri armati inattesi.
C’è il racconto di alcune donne che erano rimaste terrorizzate dopo aver sentito di una giovane docente di scuola di Rathedaung che perse una gamba per una bomba lanciata da un soldato dopo aver rifiutato le sue richieste sessuali.
Portare le questioni di genere nella risposta di Myanmar alla pandemia
Sebbene al 10 maggio non ci siano casi di COVID-19 nello stato Rakhine, la diffusione rapida del virus è una bomba ad orologeria. La gente birmana soffre già dall’impatto socio-economico immenso della pandemia e spera che il programma economico del governo CERP risolverà qualche preoccupazione. Il CERP copre un vasto campo di politiche di stimolo economico, di azioni per rafforzare il sistema sanitario e misure di protezione sociale come aiuti alimentari, trasferimento di cassa e progetti infrastrutturali di comunità ad alta intensità di lavoro che aiutino le famiglie vulnerabili, come migranti che tornano, contadini piccoli e persone dislocate internamente.
Mentre alcune di queste politiche sono da lodare, la guerra civile in corso è il grande ostacolo alla lotta al COVID-19 nello stato Rakhine particolarmente per quanto concerne le donne.
In una regione con forte presenza delle forze di sicurezza, l’autonomia delle donne sulla propria salute e sui propri corpi è minata dalle norme culturali e sociali in Myanmar che sostengono gli ideali di educazione e gentilezza femminili. I contesti del conflitto rafforzano le norme discriminatorie che valorizzano la superiorità degli uomini e presentano le donne come prive di sicurezza ed inferiori. Se una donna ha bisogno di vedere un dottore, forse non potrà andare ad un centro sanitario sia per le considerazioni di modestia o della impossibilità di viaggiare senza accompagnamento, specie se deve passare posti di blocco militari. Poiché sono gli uomini a gestire i rifugi, le donne trovano difficile farsi sentire per l’igiene e le questioni sanitarie.
Fermare un conflitto aperto è fondamentale per assicurare condizioni sicure ed umane per tutti e per affrontare i bisogni particolari e le vulnerabilità delle donne. Dovrebbe essere di massima priorità proclamare un cessate il fuoco immediato per il governo birmano per poter incanalare tutti gli sforzi verso la lotta alla pandemia e facilitare una lotta congiunta contro il virus.
Mentre i negoziatori di pace del governo hanno invitato la AA ad unirsi ad un fronte unitario di lotta al COVID19, le aree controllate dal AA compreso il Rakhine sono state escluse da un cessate il fuoco unilaterale dichiarato dai militari a maggio per permettere al paese di concentrarsi sul controllo della pandemia.
Arakan Army è stata esclusa perché il governo birmano la dichiarò organizzazione terroristica il giorno in cui Myanmar riportò il primo caso di COVID19. I tre gruppi armati etnici, AA compresa, emisero un comunicato congiunto il 10 maggio per chiedere al governo di non escludere il Rakhine dal cessate il fuoco unilaterale.
La seconda priorità del governo deve essere di assicurare che l’applicazione delle azioni del CERP raggiunga la gente , comprese le donne nelle zone di conflitto del Rakhine.
Le risposte al COVID19 nel Rakhine devono dare alle dinamiche del conflitto locale l’attenzione dovuta e disegnare le condizioni dove prevale la sfiducia tra governo, cittadini e gruppi armati. Coinvolgere gruppi della società civile ed organizzazioni delle donne è fondamentale per migliorare l’applicazione delle politiche, disegnare interventi e promuovere coordinamento ed inclusione.
Mentre il governo rassicura che il CERP non lascerà indietro nessuno, ha bisogno di allocare misure di politica specifiche e risorse per affrontare rischi particolari, vulnerabilità e sfide che vivono le ragazze e le donne nelle zone di conflitto.
Se ben disegnate la risposta al VOVID19 del governo può andare al di là di offrire protezioni al virus, può contribuire alla pace nella regione e rafforzare la resilienza delle donne che vivono da anni il conflitto.
Khin Khin MRA, New Mandala