Lunedì 26 luglio, è stata emessa la prima condanna nei confronti di Kaing Guek Eav, soprannominato Duch di 65 anni del regime dei Khmer Rossi dal Tribunale Straordinario della Corte Cambogiana (ECCC) creato nel 2003 dall’ONU per perseguire i crimini commessi durante il regime di Pol Pot e composto di giudici cambogiani e internazionali, ha emesso la sua prima condanna nei confronti di Kaing Guek Eav, soprannominato Duch di 65 anni.
Duch negli anni più cruenti del regime diresse la prigione S21, Tuol Sleng, dove almeno 14000 persone furono uccise, torturate, violentate tra il 1975 e il 1979.
A 30 anni dal genocidio che uccise almeno un quarto della popolazione cambogiana, la prima condanna a 35 anni di carcere, una condanna giudicata dai cambogiani alquanto mite, se si considerano gli anni già scontati in carcere ed una riduzione di pena in relazione al pentimento espresso e al fatto di essere stato detenuto illegalmente per alcuni anni.
Se dovesse scontare tutta la pena Duch dovrebbe uscire all’età di 86 anni. Per molti che hanno subito le torture del regime o hanno visto i loro parenti e amici uccisi, l’idea stessa che Duch un giorno potrebbe uscire con le proprie gambe sembra un’assurdità.
Per molti sembra di essere stati condannati per la seconda volta.
“Certo è duro per le vittime e per gli osservatori riconciliare quello che è stato scoperto con la condanna somministrata” afferma Ou Virak, presidente della Commissione sui diritti umani in Cambogia, e vittima anche del regime di Pol Pot, “Comunque persistono in Cambogia i problemi con le pratiche di detenzione, e questa riduzione di pena nella sentenza per la detenzione illegale di Duch offre un buon esempio alle nostri corti nazionali”. Come dire che i diritti umani devono essere garantiti a tutti e comunque.
Rimane comunque il problema dell’assicurare la giustizia, di chiudere una volta per tutti con questo passato truce. “Ci vorrà molto di più del verdetto di oggi per ottenere la giustizia vera pe la gente cambogiana che ha sofferto sotto il regime dei Khmer Rossi”, sostiene Sara Colm dell’associazione Human Rights Watch
Infatti il più grande problema che ora si pone è portare avanti al giudice i veri responsabili, tutti quelli che si sono macchiati dei crimini di guerra e contro l’umanità che non possono essere i soli cinque incarcerati, vale a dire l’ex capo di stato Khieu Sampahn, il ministro Ieng Sary, il ministro degli affari sociali Ieng Thirith e Nuon Chea, membro del partito comunista cambogiano conosciuto come Fratello numero 2.
Già negli anni scorsi il primo ministro Hu Sen aveva messo in guardia contro il rischio di allargare troppo la cerchia dei responsabili e rischiare una “guerra civile”, considerato che negli attuali ranghi dello stato sono di fatto rimasti moltissimi che prima erano nei ranghi dei Khmer Rossi. Lo stesso primo ministro ebbe un ruolo nel regime di Pol Pot e con l’invasione vietnamita che pose fine al regime di Pol Pot è divenuto il nuovo capo di stato della nuova era.
“Ma identificare solo cinque o dieci persone come possibili responsabili delle atrocità di massa non è abbastanza per soddisfare la richiesta di giustizia che il popolo cambogiano merita e a cui spetta sotto la legge internazionale.” sostiene Amnesty International.
Altre agenzie dei diritti umani spingono l’ONU e la corte ad andare oltre i lacci e le preoccupazioni politiche poiché non si possono ritenere colpevoli solo 5 persone per il genocidio di due milioni di persone. Si tratta quindi di spingere le agenzie dell’ONU che sostengono gli aiuti in Cambogia a fare pressione per non minare la credibilità della corte allo stesso modo in cui si è proceduto con i processi internazionali in Sierra Leone e Serbia.
Un modo per dare giustizia a chi ha sofferto e chiudere una fase che ha interessato una generazione di cambogiani. E’ la speranza di molti che vedono anche il rischio che Duch, come egli stesso ha dichiarato durante il processo, sia soltanto l’agnello sacrificale.