La retorica del presidente filippino Duterte ha vacillato nelle ultime settimane, passando da un rigetto immediato, ad una conciliazione tiepida e ad all’affetto dopo l’elezione di Trump.
In questo zigzag Duterte ha anche flirtato con la modifica dei pilastri centrali del governo della legge nel suo paese: l’Habeas Corpus e la legge marziale.
La violenza mortale è cresciuta da quando Duterte è diventato presidente il 30 giugno scorso, quando lanciò la repressione sulla droga ed i suo commercio come promesso nella sua campagna elettorale.
Le cifre ufficiali dei morti dicono di 2500 morti durante le operazioni, mentre altri stimano che il totale superi oltre i 4000.
Agli inizi di agosto, dopo essere stato criticato per la sua guerra alla droga dal presidente della Corte Suprema Maria Lourdes Sereno, Duterte chiese se non avesse preferito che dichiarasse la legge marziale.
A settembre Duterte pose il paese nello “stato di ingovernabilità” dopo una bomba di notte in un mercato della città natale di Davao. Il presidente disse che la dichiarazione avrebbe accresciuto la presenza militare e della polizia nel paese per risolvere le minacce terroristiche oltre che a sostenere la sua campagna contro la droga e combattere gli omicidi exragiudiziali.
Il giorno successivo un rappresentante dell’amministrazione aveva pensato alla dichiarazione di legge marziale immediatamente dopo le bombe, decidendo però che non era necessaria. A differenza della legge marziale la dichiarazione di ingovernabilità non ha una data finale e resta efficace sempre.
Due settimane dopo quella dichiarazione, Duterte disse che pensava che il commercio della droga era penetrata tra la burocrazia del governo e i capi locali dell’amministrazione, capitani dei Barangay, erano coinvolti nella droga, non voleva dichiarare la legge marziale in relazione alla guerra alla droga.
Ad ottobre apparve titubante.
In un discorso in cui chiedeva scusa alla comunità ebrea per essersi paragonato ad Hitler, il presidente disse. “Ci sono 6000 capitani di Barangay che fanno una cosa per sé, si fanno lo shabu. Cosa devo fare, talvolta sono tentato davvero di dichiarare la legge marziale”.
Duterte disse che gli era stato detto che la legge marziale non era fattibile e che aveva dichiarato perciò uno stato di ingovernabilità.
Di nuovo questo mese ha toccato il tema di misure legali straordinarie. Il 12 novembre disse che potrebbe sospendere l’ingiunzione di Habeas Corpus, che dà all’arrestato il diritto di contestare la propria detenzione davanti ad un tribunale, nella provincia meridionale di Mindanao dove l’ingovernabilità non si ferma.
Continuò a dire che il paese era affetto da “narcopolitica” e che il suo potere era limitato al portare tutti i coinvolti a rispondere, ma disse che potrebbe “dichiarare una sospensione del Ingiunzione di Habeas Corpus” per prendere i responsabili dell’ingovernabilità.
Un senatore che incontrò Duterte dopo quel discorso disse che non credeva che il presidente considerasse seriamente di sospendere l’habeas corpus, ma che era solo un pensiero passeggero.
Ma mercoledì il presidente si riferì alla possibile dichiarazione della legge marziale come opzione per la sua campagna contro la droga.
In risposta alle preoccupazioni che la sospensione potenziale del Habeas Corpus potrebbe portare alla legge marziale, Duterte disse: “Non sono un fan della legge marziale … semmai, è una contingenza per risolvere la violenza diffusa”. Fu il giorno prima in cui disse che, nel caso ISIS divenisse attivo nel paese, la considerazione dei diritti umani se ne andrebbe dalla finestra nelle Filippine.
Duterte ha mandato segnali confusi sulla sua volontà verso la legge marziale ed il governo della legge in generale da un po’ di tempo.
A marzo, quando l’allora presidente Aquino disse che le promesse di Duterte lo avrebbero messo ad un passo dall’essere dittatore, Duterte si difese invocando sua madre, che era una militante che si batté contro la legge marziale dichiarata dal dittatore Marcos.
“Il presidente dimentica che mia madre era una dei pochi che manifestava nelle strade di Davao durante la legge marziale.” rispose Duterte. “Disonorerei la memoria di mia madre seguendo la persona che lei aiutò ad abbattere? Il presidente esagera”.
Ma Duterte disse nella sua campagna che avrebbe governato “come” un dittatore nel fatto che avrebbe lavorato a portare disciplina e ordine nel paese. La sua elezione e le politiche sembrano adattarsi alla tendenza regionale nel governo definita come “democrazia contro disordine”.
“Quello che contraddistingue la democrazia contro il disordine è che mette in risalto l’ordine sulla legge, eppure i suoi proponenti cercano la legittimazione attraverso le elezioni piuttosto che attraverso metodi alternativi per raggiungere il potere politico” scrive Thomas Pepinsky della Cornel University.
Sebbene, scrive Pepinsky, la democrazia contro il disordine non cerchi necessariamente di abrogare le procedure democratiche, come le elezioni, “minaccia la libertà, i diritti civili e la rappresentanza popolare”.
Più volte Duterte ha detto che avrebbe evitato di dichiarare la legge marziale. Ma i suoi ripetuti riferimenti alla crisi legata alla droga sembra aver gettato la base retorica a tal dichiarazione. Ha già detto che voleva “una piccola estensione di forse altri sei mesi” per perseguire la sua repressione delle droghe.
Duterte ha accumulato critiche conto gli USA fino all’elezione di Trump che ha causato un cambio di tono. Ci potrebbero essere sviluppi che portino la fine anche al suo evitare la legge marziale.