Elargire Thailandesità, o meglio la crudeltà dell’essere thai

Il dibattito sul significato di Thailandesità mi riempie di patriottismo e dolori di stomaco. Dopo le bombe della settimana scorsa il capo dell’esercito ci mise in guardia sulla ricerca di persone che indossavano cappelli, occhiali e portavano zainetti.

I Thai non lo fanno. Il generale aveva buone intenzioni, dobbiamo essere attenti ai sospetti agenti del terrore, ma il modo come l’ha messo era un modo militaresco e crasso di monopolizzare la definizione di qualcosa che è cangiante, malleabile, al limite dell’indefinibile.

Cosa fa di una persona un thai? I libri di testi dicono che è la lealtà ai tre fondamenti della nazione, religione e monarchia.

Ora devo aggiungere la cucina thailandese. Il signore mi salva dall’intossicazione alimentare perché nei cinema di oggi, il film che ha generato un ridicolo enorme, fonte di dolori di stomaco nazionale è Prig Kaeng, o Sensi del Siam, uno pseudo scivolone e una vecchia propaganda della Thailandesità, attraverso il tentativo il tentativo di promuovere l’autentica cucina thai. Prig Kaeng, che è una pasta di curry, è a man bassa il peggiore film dell’anno se non di molti anni.

Il punto caldo è l’attitudine antiquata, falsamente arrogante su cosa costituisce “la Cucina Thai” e l’affermazione sfacciata secondo cui vari piatti sarebbero originariamente thailandesi, tanto incurante del traffico culinario di ingredienti e di ricette che costituiscono i nostri piatti, come qualunque piatto.

La grandezza della cucina thai, o della cucina aristocratica thai glorificata come un oggetto sacro nel film, annullerà tutte le altre cucine nel mondo. Ma caro chef, il pad thai non è persino granché thai.

Di nuovo dopo l’attacco del 12 agosto il primo ministro Prayuth ha detto che i colpevoli erano thai ma il loro cuore non lo era. Quando saranno presi e lo spero che siano presi, strappate loro il cuore e vedremo. Se sono ancora vivi daremo loro i piatti delicati del film così che imparino il vero sapore dell’essere thai.

Questo ricordare costante la Thailandesità è divertente, poi frustrante, poi deprimente. Una volta ogni tanto ascoltiamo la storia della genesi da tempo demistificata delle Montagne di Altai; Solo alcuni tipi intelligenti credono ancora che noi nel nostro paese discendiamo dalle montagne innevate mongole, popolate da capre di montagna e dervisci danzanti (Ovviamente dimenticano il meridione malay e il nordest infestato dai Lao, per iniziare).

Una volta ogni tanto, sebbene più frequente ultimamente, sentiamo ancora la risposta severa “Andate a vivere in un altro paese” contro quelli che pensano in modo differente, come se la sovranità della geografia appartenga solo a quelli che non alzano mai la propria voce.

In un mondo in cui comanda la diversità, questo mantra della Thailandesità è l’insistenza dei conservatori a mantenersi legati alla loro roccaforte culturale, il dominio dell’omogeneità, dell’obbedienza e della norma, rafforzati attraverso gli attributi immaginati e il simbolismo. L’affermazione che i Thai non fanno questo o quello potrebbe sembrare insignificante, ma quando viene dal capo delle forze armate dice tantissimo: mostra il modo ristretto, gerarchico di pensare patriarcale che sembra essere il sistema di pensare al governo degli scorsi anni; la psicologia rivolta all’interno come meccanismo di difesa contro il mondo esterno più vasto. Ed è importante notare che la Thailandesità in questione non è neanche legata alla razza o all’origine: è su chi è pronto a sottoscrivere la prescrizione ufficiale e ingoiare la pillola dell’oblio in cambio della “stabilità”. In questo caso, la classe media cinese thai nelle ricche zone di Bangkok sono più thai diciamo dei musulmani del profondo meridione, o del nordest delle campagne che entrambi parlano un dialetto veloce, melodie amare per l’orecchio standard, e che forse nascondono i sogni impossibili che Bangkok non soddisferà mai.

Inondato di teorie e speculazioni, gli scoppi del giorno della madre sono ancora legati nell’oscurità. Ma l’opinione degli esperti punta nella direzione dell’insorgenza meridionale e quindi i colpi del primo ministro dei “ loro cuori non sono thai”: se è davvero il movimento separatista a farlo, naturalmente i loro cuori non sono thai e non lo vogliono mai essere per ragioni valide e ciniche. Tuttavia il regime alimentato dalla forza della Thailandesità è di sicuro e cinicamente parte del problema in primo luogo.

Cosa fa di una persona un thai? Quando si è nel dubbio o quando non sai cucinare in modo aristocratico come nel film Sense of Siam, o quando porti cappelli e occhiali in pubblico, o quando parli in uno dei dialetti, allora lancia un sorriso e professa la tua gentilezza. Si suppone che loro siano i veri thai. Bene, almeno che quelle parole thai rinomate al mondo non funzionino più, sorriso e gentilezza, nel nostro fuoco della partigianeria del la va o la spacca, dove le persone possono sorridere alla miseria di uno sciopero della fame, come il caso dello studente militante Jaeupat Bunpattararaksa, o dove la gente ride contro qualcuno buttato in galera perché ha distribuito manifestini, o dove si contano i corpi morti solo della propria parte ed ignori il resto. Un sorriso o una smorfia?

O meglio, la crudeltà dell’essere thai.

Kong Rithdee, Bangkok Post.

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