Se i dati dei sondaggi elettorali dicono il vero, le elezioni filippine del 13 maggio prossimo saranno una continuazione della tendenza elettorale che portò Duterte al potere nel 2016.
I candidati della Hugpong ng Pagbabago non corrono per la loro posizione sulle questioni, per la loro forza o per quanto fatto nel sevizio pubblico.
La stessa figlia del Presidente Duterte, Sara Duterte, chiarì molto bene che a contare è la fedeltà all’amministrazione del padre, quando disse che l’onestà dei candidati non deve essere un fattore di queste elezioni filippine.
Quello che conta è la volontà a giurare cieca fedeltà assoluta al presidente. In apparenza se i sondaggi dicono il vero, la maggioranza dei filippini è d’accordo con Sara Duterte e vuole tapparsi il naso e soprassedere al fatto che un bel numero dei candidati dell’amministrazione sono dei furfanti totali, menzogneri o chiari lecca-culo, per portare al senato gente come Jinggoy Estrada, Bong Revilla, Imee Marcos, and Bong Go.
Il bisogno di credere
Nei momenti di crisi, c’è il bisogno disperato di credere in qualcosa e qualcuno. E dopo aver sopportato quello che consideravano corruzione, incompetenza ed ipocrisia delle amministrazioni precedenti, una gran parte dell’elettorato ha riposto la fiducia in Duterte che li porterà nella terra promessa.
Una classe media scontenta che aveva grandi speranze nella Repubblica del EDSA del dopo Marcos e che si è sentita tradita dall’incapacità di realizzare le sue promesse è la forza tirante di quello che è essenzialmente un’insorgenza contro la democrazia liberale, una forza che si sta portando dietro con sé il resto del paese.
Il fatto che varie migliaia di persone siano state uccise nella guerra alla droga del presidente è qualcosa che i sostenitori di Duterte considerano come un costo necessario sulla via del miglioramento della società. Che l’inflazione renda la vita difficile ai più è un dettaglio, qualcosa che non può essere attribuito al presidente.
Che la corruzione continui ad essere rampante ed è nei fatti sinonimo di qualcuno che core sotto la bandiera di Duterte è qualcosa da tollerare perché alla fine lui li rimetterà in riga. E quando ci sono articoli sulla ricchezza inspiegata del presidente Duterte, loro dicono che in fondo nessuno è perfetto.
Politica di massa dell’autoritarismo
Negli USA gli analisti politici hanno notato che qualunque cosa faccia Trump un 30% della popolazione lo approverà. C’è un fenomeno in corso qui analogo se non per il fatto che è il 70% ad approvare qualunque cosa faccia Duterte.
La ragione non è che il 30% degli americani ed il 70% dei filippini sono stupidi, come implicito nel termine Dutertards (una parola che contiene il termine tardo di comprendonio, NdT) che molti oppositori di Duterte usano contro la sua base elettorale. La realtà è che non ci troviamo più nelle acque della politica democratica di prima, dove fattori come denaro, interessi questioni e nome, benché ancora con una certa influenza, dicevano la differenza.
Molti analisti dicono di non aver vissuto un periodo così tumultuoso come gli ultimi tre anni. E’ come se ci fossimo lanciati nel 2016 in un nuovo ballo, dove il paese fu preso da una febbre collettiva che alcuni chiamano politica della fede, altri politica del carisma ed altri dicono che è una politica autoritaria.
Comunque la si chiami, si tratta essenzialmente della volontà della gente a sospendere le proprie facoltà critiche e permettersi di essere trasportati dalla speranza che un capo autoritario porterà il paese in un futuro di cui lui solo ha una vaga idea.
Opposizione intimidita
La mobilitazione autoritaria di massa dell’elettorato è quello che l’opposizione tradizionale ha contrastato, e che ha fatto l’errore di farsi intimidire.
Sin dagli inizi il gruppo dell’opposizione del Otso Diretso ha proiettato una forte mancanza di fiducia tanto che alcuni candidati hanno proclamato che sarebbe stata dura vincer contro Duterte.
Un portavoce del Partito Liberale ha detto che la campagna elettorale avrebbe dato l’opportunità di “consultare” la gente sul perché la precedente amministrazione ha perso la fiducia della gente rendendo così di fatto le elezioni un referendum più su quella amministrazione che sull’attuale.
E’ stato saggio evitare di fregiarsi del colore giallo della passata amministrazione, se si considera come la macchina propagandista di Duterte è riuscita ad usarlo come un simbolo di elitarismo, ipocrisia ed incompetenza. Ma il comportamento del candidato bandiera dell’opposizione Mar Roxas è stato demoralizzante. Roxas è stato riluttante a fare campagna con il resto del Otso Diretso nel tentativo di ammorbidire l’immagine di oppositore di Duterte e vendersi come economista.
Ovviamente in modo prevedibile Duterte si è divertito a usare Roxas come un “sacco da boxe”. I candidati come Chel Diokno, Florin Hilbay, Samira Gutoc, Gary Alejano, e Erin Tañada si sono comportati bene nei dibattiti in televisione, ma tutta l’opposizione complessivamente non è riuscita ad essere una sfida seria alla macchina amministrativa.
Se non riescono a raggiungere nessuna delle prime dodici posizioni nei sondaggi (Sono dodici i senatori da eleggere in queste elezioni filippine intermedie, oltre alle elezioni locali NdT), lo devono in parte anche a se stessi. Per quanto in tanti sostengono le questioni che loro dibattono, è difficile identificarsi con persone che credono di aver già perso.
L’opposizione avrebbe dovuto montare una campagna aggressiva sui diritti umani, sui pericoli della dittatura e sullo stato dell’economia. Mentre una posizione forte su queste questioni potrebbe non essere in sintonia con l’umore dell’elettorato in questa situazione particolare del paese, l’opposizione dovrebbe aver capito che diritti umani, processo regolare opposizione al governo del dittatore sono valori durevoli, valori che forse sono stati eclissati da una crisi collettiva come quella che ha preso il paese ma a cui alla fine il paese ritornerà, anche dopo una generazione, dopo aver ripreso i propri sensi.
Avrebbero dovuto definire la propria campagna elettorale non solo come una battaglia per vincere le prossime elezioni filippine, ma un punto di svolta nella lotta per preservare la democrazia, portando uno spirito appassionato ed aggressivo.
Raggi di speranza
C’è tuttavia un raggio di luce in queste elezioni filippine, sebbene non provenga da Otso Diretso, ma da una coalizione di rappresentanti delle federazioni sindacali, Labor Win.
Non era una cosa pianificata ma è comparsa nel mezzo della campagna elettorale, quando differenti candidati del lavoro hanno capito che invece di correre da soli avrebbero fatto meglio a mettersi insieme per proiettare le richieste del lavoro e delle masse all’elettorato.
Labor Win sebbene non comprenda tutto il mondo del lavoro, è giù una cosa notevole se si considera la divisione del mondo sindacale filippino.
I candidati sono attivisti veterani, un’aria di sanità nel mezzo dell’oblio collettivo. Nessuno potrebbe dare un contrasto maggiore alla coalizione di Duterte che Leody de Guzman di BMP, Ernie Arellano di National Confederation of Labor, avvocato del lavoro Alan Montano, Sonny Matula del Federation of Free Workers, e Neri Colmenares del Bayan Muna.
Labor Win è significativo per due ragioni. Potrebbe essere il precedente per chi viene dal mondo popolare e del lavoro di unirsi per future coalizioni elettorali.
Poi, considerata la grande copertura mediatica degli sfavoriti nella corsa al Senato, hanno portato in evidenza le questioni della sopravvivenza che sono preoccupazioni giornaliere come inflazione, crisi dell’acqua, contrattualizzazione e disoccupazione
Ed hanno affrontato queste questioni con una credibilità che pochi delle altre liste potrebbe gestire.
I candidati del Labor Win sono riusciti a proiettare in modo convincente la rabbia e la frustrazione della gente senza acqua potabile per le necessità fondamentali grazie all’incompetenza della burocrazia legata alle risorse idriche.
Labor Win potrebbe rivelarsi la sorpresa non perché finirà tra i primi dodici, ma per un risultato inatteso, a dimostrare che una campagna elettorale sulle questioni cocenti e sui risultati dell’amministrazione è ancora possibile nelle Filippine.
Le elezioni filippine del 13 maggio nelle Filippine non saranno solo elezioni intermedie. Saranno una delle elezioni più conseguenti nella storia del paese il cui risultato potrebbe portarci vicino ad un sistema autoritario completo.
Paradossalmente tale risultato potrebbe essere lo scatto necessario a farci capire finalmente che non siamo più nel campo della solita politica e spingere le forze democratiche ancora disorganizzate a forgiare seriamente un movimento politico di massa efficace per scongiurare la Soluzione Finale.
Walden Bello, The Rappler