Mentre il ministro della sicurezza indonesiana Wiranto ammette che ci sono almeno 2000 militari e poliziotti a Papua occidentale (per non contare le forze paramilitari legate al NU pronte ad intervenire), emergono altre prove di esecuzioni di manifestanti papuani da parte della sicurezza indonesiana.
L’epicentro di un video in questione è Daiyai dove la sicurezza indonesiana ha aperto il fuoco su manifestanti papuani che avevano le mani sul capo.
I dettagli sono emersi alcuni giorni dopo a causa del blocco di internet su Papua, ordinato dal governo, che impedisce la circolazione di materiale video e foto.
Secondo il media australiano SBS.com.au, i fatti sono accaduti dopo una protesta pacifica e sarebbero sei i cadaveri recuperati di fronte al palazzo del governatore.
Altri due corpi sarebbero stati scoperti nella giungla vicina mentre sarebbero una quindicina le persone ferite.
Un militante locale Vctor Yeimo ha detto alla SBS News che la violenza è stata immediata ed ingiustificata.
“Se ne volevano andare pacificamente quando la polizia ha improvvisamente aperto il fuoco sulla dimostrazione di massa, ed è stato allora che la gente ha risposto con il lancio di lance e frecce”
Le autorità australiane hanno detto che mercoledì scorso un soldato sarebbe stato ucciso nelle proteste violente di quei giorni in seguito al lancio di varie frecce nel corpo. In precedenza però la l’unità di indagine locale della polizia aveva detto che la morte del militare sarebbe stata dovuta allo scontro a fuoco che era scoppiato dopo che dei manifestanti erano riusciti a prendere le armi dai militari.
Ma questa versione della polizia era stata messa in dubbio da un testimone oculare che ha voluto restare anonimo.
“Non è da ora ma da decenni che vivono questa specie di scontri diretti e violenti con le forze militari indonesiane, per cui non è affatto una sorpresa che questa gente sia stata sparata dalla polizia in quel modo” ha detto a SBS News l’antropologo papuano Yamin Kogoya.
Sono giorni molto caldi e di sconvolgimento che rappresentano uno dei momenti più forti per l’indipendenza.
A Jayapura sono emersi video in cui la gente ha distrutto la bandiera indonesiana nei pubblici uffici issando la loro bandiera della Stella del Mattino, un reato per cui moltissimi giovani sono stati condannati a molti anni di carcere dopo manifestazioni pacifiche.
Per molti Papuani sembra vivere sotto assedio e tanti amici sembrano essere scomparsi dopo queste manifestazioni.
“Oggi i Papuani non possono recarsi nei luoghi pubblici o in chiesa per la messa per la paura di questa situazione” ha detto a SBSNews, mentre sembra che finora agli arresti per tradimento ci siano sette studenti papuani ed un indonesiano.
Le forti manifestazioni di protesta sono nate sotto la parola d’ordine del No al Razzismo ma si stanno sempre più colorando intensamente di separatismo, o di ricerca di autodeterminazione.
La avvocatessa dei diritti umani Veronica Koman dice a FT:
“Se parlavano la scorsa settimana di no al razzismo, ora si sono unificati in tutte le aree per domandare un referendum di indipendenza, dopo aver dovuto sopportare tutta la discriminazione da parte del governo indonesiano”
L’ironia della storia è che queste forti manifestazioni di massa scoppiano al secondo mandato del presidente Jokowi che proprio a Papua ha molte simpatie e ha preso molti voti, dopo aver fatto valere la sua presenza come nessuno prima di lui. Si ricorderà la liberazione di alcuni militanti papuani di alcuni anni fa in carcere per reati di opinione.
Jokowi ha messo in campo progetti di sviluppo infrastrutturali importanti, quali la autostrada transpapuana da 1,4 miliardi di dollari ed un progetto complessivo di spesa di 412 miliardi per strade, aeroporti in una regione distrutta dalla povertà.
Basta questo approccio allo sviluppo per risolvere la questione del separatismo o dell’autodeterminazione?
Secondo l’analista Sidney Jones di IPAC l’approccio di Jokowi è unidimensionale secondo il principio che se si pone fine all’isolamento e si accelera lo sviluppo il conflitto sparirà, ma “non mostra di comprendere la complessità delle questioni politiche sottostanti”.
Non basta qualche ponte fatto bene, oppure aver danzato con la gente del posto per risolvere la questione papuana.
“C’è bisogno di una dimostrazione genuina di impegno a riconoscere e rettificare gli errori che lo stato ed i militari indonesiani hanno fatto contro i papuani dagli anni 60” ha detto a FT Achmad Sukarsono di Control Risks.
Uno dei grandi problemi qui a Papua, come nel meridione thailandese come nelle Filippine meridionali, è l’impunità che hanno le forze di sicurezza.
Nonostante le promesse di sistemare la questione degli abusi dei diritti e di aprire Papua ai giornalisti stranieri, si è fatto poco. Andreas Harsono di HRW Giacarta ricorda quattro giovani papuani disarmati uccisi nei giorni prima di Natale 2014 a Enarotali, per i quali non si è perseguito nessuno ancora.
“Prova ma non dà giustizia. Promise di trovare i colpevoli ma finora nessuno è stato portato davanti ad un giudice e tanti lo ricordano”