Il politologo thailandese in esilio, Pavin Chachavalpongpun, critico della giunta thailandese e della sua monarchia ha lasciato momentaneamente il Giappone dove lavora e vive, in seguito ad un attacco misterioso di notte a casa sua.

Dagli inizi di luglio Pavin Chachavalpongpun, di cui spesso qui traduciamo analisi e considerazioni, non appariva sui media sociali dove ha un notevole seguito facendo sorgere congetture e paure varie.
Chiunque infatti segua le vicende thailandese sarà a conoscenza della terribile condizione dei tanti militanti thailandesi, critici e studiosi che sono fuggiti all’estero.
Molti critici e militanti in Laos, come raccontato su questo blog, sono spariti ed alcuni ritrovati nel fiume Mekong dopo essere stati riempiti di cemento, come Chatcharn Buppawan e Kraidej Luelert. Surachai Danwattanusorn non è ancora ricomparso né vivo né morto.
Altri tre sono stati arrestati o fatti scomparire dopo essere apparsi per brevissimo tempo nell’aeroporto di Hanoi. Si ha ragione di credere che si trovino nelle mani della sicurezza thailandese.
Solo la banda thailandese Fai Yen, gli ultimi esuli thailandesi in Laos, è riuscita ad avere asilo politico in Francia dove si trova attualmente da pochi giorni.
Benché non si possa dire che Pavin Chachavalpongpun sia fuggito dalla Thailandia in quanto ha lavorato fino al 2012 a Singapore ed ora insegna a Kyoto in Giappone, non è più tornato in Thailandia dopo il golpe del 2014. In Giappone ha ricevuto lo status di rifugiato politico raramente dato dalle autorità giapponesi.
A causa del suo impegno della battaglia contro la lesa maestà ed essendo nel mirino dei generali thailandesi come tanti critici, non accettò di presentarsi alla polizia per l’accusa di lesa maestà secondo l’articolo 112 che gli fu fatta subendo il ritiro del passaporto thailandese e quindi della cittadinanza, mentre la sua famiglia riceve regolarmente la visita non ricercata dei militari thailandesi.
Si deve ricordare che la accusa di lesa maestà porta ad una condanna lunga fino a 15 anni di carcere per ogni singola accusa e che il periodo della giunta militare ha visto un incremento netto di denunce e condanne date da tribunali militari.
Nel racconto di Pavin Chachavalpongpun a John Reed del FT, egli dice che la notte dell’otto luglio un uomo mascherato, vestito di nero, è penetrato nella sua stanza da letto dove stava col suo compagno. L’uomo mascherato ha sollevato le lenzuola ed ha spruzzato una sostanza chimica urticante per la pelle.
La reazione pronta dei due ha costretto l’uomo alla fuga e l’arrivo della polizia giapponese alla casa che ha quindi iniziato le indagini, mentre Pavin Chachavalpongpun ed il suo compagno sono stati ricoverati all’ospedale per accertamenti.
“Non era nulla di letale ma è stata una brutta esperienza. L’impatto dello spray è restato su di noi per due giorni” ha detto Pavin a FT dicendo di credere che l’assalitore sia un giapponese e che ha usato un martello per penetrare nel suo appartamento.
La polizia ha confermato l’inizio di indagini e secondo Pavin è coinvolta anche una unità della polizia giapponese antiterroristica.

“Hanno capito che sono un rifugiato e non considerano questo caso come un semplice caso di furto in casa” ha detto Pavin a FT.
Il periodo di silenzio sembra sia dovuto alla richiesta della polizia giapponese di non parlarne, ma poi dopo che sono state manifestate le prime perplessità sul suo stato, Pavin ha deciso di far sapere che stava bene.
Questo attentato è la dimostrazione lampante della lunga mano dei militari e che nessuno si può sentire al sicuro a cominciare da chi è rimasto nel Sudestasiatico Continentale dove gli accordi tra regimi autoritari mette sempre più in pericolo se non la vita la libertà dei critici.
“Il messaggio si fa sempre più chiaro e lampante per i Thailandesi che sono contro la monarchia: nessuno e da nessuna parte si è al sicuro” dice Sunai Phasuk di Human Rigts Watch a Bangkok. “La violenza contro chi critica la monarchia sembra essersi allargata al di là dei paesi vicini della Thailandia raggiungendo il Giappone che è considerato uno dei posti più sicuri al mondo. I dissidenti, particolarmente chi vive in esilio, vivono un nuovo livello di minaccia alla propria vita” FT