FILIPPINE: Come sopravvivere nella depressione che giunge?

Le notizie economiche dalle Filippine della settimana scorsa erano buone. Il tasso di crescita del PIL del paese per il primo semestre erano di un impressionante 6,1% che sistema il paese al gradino più alto in Asia, mentre la sua competitività è salita al 65° posto dal 75° su 144 paesi esaminati dal World Economic Forum. La maggioranza degli altri indicatori sembrano puntare verso una direzione positiva.

Secondo l’opinione di molti commentatori economici, la cosa che principalmente è responsabile per il clima economico positivo è la spesa per le infrastrutture che fu rallentata nei primi due anni per fare posto ad una politica di pulizia del Ministero dei Lavori Pubblici e delle Autostrade, e al programma contro la corruzione dell’amministrazione Aquino. Per molti è stato anche importante il programma di Trasferimento di Cassa Condizionato del Ministero degli Affari Sociali e dello Sviluppo che ha innalzato il potere di spesa di milioni di famiglie.

I risultati del paese erano in netto contrasto con quello delle economie centrali. La ripresa USA si è fermata, mentre la maggioranza dei paesi europei sta scendendo nella recessione a causa di programmi di austerità richiesti dalla Germania e dalle istituzioni europee dai paesi ad alto debito. Con due motori virtualmente spenti, l’economia globale va avanti su un motore solo negli ultimi tre anni e ci sono le cosiddette economie emergenti. Ora quel motore comincia a dare problemi e ciò avrà un impatto sulle Filippine.

I Paesi del BRIC nei guai. Nel 2010 e agli inizi del 2011, l’Asia Orientale e le grosse nuove economie emergenti conosciute come “BRIC” (Cina, Russia, India, Sudafrica, Brasile) erano considerate come punti di luce nell’economia globale, mostranti una resilienza ed una crescita anche con il Nord che stagnava. Anche per economisti come Michael Spence, premio Nobel, “ Con laa crescita che ritorna a livelli pre 2008, i risultati importanti della Cina, India e Basile sono motori importanti dell’espansione per la economia globale di oggi.” La sua predizione era che in un decennio il PIL delle economie emergenti avrebbe superato il segno del 50%. Parte grossa di questa crescita emergeva da “vari fattori di endogeni di crescita nazionale nelle economie emergenti, ancorate dalla classe media in espansione”. Inoltre, con la crescita del commercio tra i paesi del BRIC, il futuro delle economie emergenti è di una ridotta dipendenza dalla domanda industriale del paese”.

Era una riflessione piena di speranze. Il 2012 sembra essere l’anno in cui le economie emergenti cederanno di fronte alle ondate di turbolenza che vengono fuori dalle economie in recessione del Nord. Le economie rallentano con la crescita indiana del 2011 che scende di 5 punti rispetto a quella del 2010. La crescita del PIL del Brasile era meno del 3%, più bassa della ammalato Giappone, come notava l’Economist. La crescita del 1 quadrimestre del 2012 cinese è caduta a 8,1%, il punto più lento in tre anni. La ragione principale sembra essere la continuata forte dipendenza di queste economie dai mercati del Nord e la loro incapacità ad istituzionalizzare la domanda nazionale come un fattore chiave dell’economia.

La discesa della Cina

Visto che è la seconda economia mondiale, la discesa della Cina è stata particolarmente allarmante. Come molte altre economie del Pacifico Occidentale, le Filippine sono state assorbite in un’economia dell’est asiatico centrata sulla Cina. Nel 2008 in risposta alla crisi, la Cina lanciava un programma di stimolo da 585 miliardi di dollari per abilitare il mercato domestico a compensare la perdita della domanda di esportazioni. Grazie alla domanda cinese, le Filippine e gli altri paesi del Sudest Asiatico potettero emergere dalla depressione provocata dalla crisi finanziaria globale nel 2010.

Dopo qualche successo iniziale la Cina comunque è ritornata alla crescita legata alle esportazioni verso gli USA e i mercati europei. La ragione di questo passaggio fu spiegata da un tecnocrate di valore cinese Yu Yong Ding: “Sfortunatamente, con un settore vasto dell’esportazione, che da lavoro a milioni di lavoratori, questa dipendenza è diventata strutturale. Questo vuol dire che ridurre la dipendenza dal commercio della Cina e il surplus del commercio è molto più di un fatto di mettere apposto la politica macroeconomica.”

In altre parole, il ritorno alla crescita condotta dalle esportazioni piuttosto che essere meramente un casodi dipendenza strutturale, rifletteva una serie di interessi dal periodo della riforma, come Yu la spiega, che “si sono trasformati in interessi vasti, che lottano on forza per proteggere quello che hanno” la lobby dell’esportazione, che mette insieme imprenditori privati, manager delle imprese di stato, investitori stranieri e tecnocrati del governo, resta la lobby più forte a Pechino. Grazie all’incapacità di liberarsi della dipendenza del paese dalla crescita legata all’esportazione, “il disegno di crescita cinese ha quasi del tutto esaurito il suo potenziale”.

Crisi ed opportunità per le Filippine

Gli USA, Europa, Giappone e Cina detengono quasi il 55% delle esportazioni filippine, il che significa che non c’è modo di sfuggire agli effetti della decrescita globale, che la maggioranza degli economisti pensano durerà parecchio. Il Premio Nobel Paul Krugman infatti definisce la situazione economica in Europa e negli USA una depressione. Possiamo comunque mitigarla ravvivando il dinamismo della nostra economia nazionale. La crescita nel PIL pr il secondo semestre è infatti causata principalmente dalla domanda locale causata da una spesa ritardata sulle infrastrutture e sul trasferimento di cassa condizionato, che bilanciava il declino nelle esportazioni nello scorso anno.

Con la globalizzazione in regresso, comunque, non possiamo più guardare allo stimolo della domanda nazionale come una strategia che entra solo quando le esportazioni calano. Col commercio internazionale che tendenzialmente rimarrà fiacco per un bel po’ nel futuro, è imperativo ora ripensare una strategia economica. La strategia dell’orientamento alle esportazioni della crescita che il nostro paese, come la Cina, ha essenzialmente permesso nei quattro decenni scorsi è obsoleta.

Questo significa tra l’altro pianificare, o fare una scelta cosciente secondo cui alcuni settori serviranno come punte dell’economia con una crescita radicale degli investimenti come percentuale del PIL, ed un programma di redistribuzione di entrate compresa il completamento della riforma agraria. Dal momento che l’ineguaglianza tiene molte persone lontano dal mercato con piccolo peso sulla domanda è un freno alla crescita. La crescita legata all’esportazione, nel passato, era un modo per evitare la stagnazione senza dover seriamente affrontare il profondo abisso tra ricchi e poveri. Con una economia internazionale stagnante che ci rimanda al mercato domestico come fonte della crescita, questo non sarà più possibile. E con i vincoli ambientali come il crescente cambiamento climatico, una distribuzione più egualitaria delle entrate sarà necessaria per la società per vivere con tassi di crescita minori.

Lo sfascio globale ironicamente fornisce le condizioni necessarie per una profonda ristrutturazione di cui la nostra economia ha bisogno da tanto tempo, ma dobbiamo afferrare l’opportunità.

Walden Bello, Inquirer.netPubblicità

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