FILIPPINE e gli ostacoli ad un Codice di Condotta in mare

Nonostante la recente decisione cinese di accettare una rinegoziazione del codice di condotta (CoC) per risolvere pacificamente le dispute territoriali nel Mare Cinese Meridionale, le Filippine hanno innalzato la posta sostenendo gli sforzi per internazionalizzare il conflitto cercando l’arbitrato di terze parti e impegni militari più adeguati sia con gli USA che col Giappone.

Alla fine di giugno l’ASEAN e la Cina si sono accordati per ritornare al tavolo dei negoziati facendo rinascere speranze di stabilire misure concrete per imbrigliare le tensioni territoriali che hanno messo in pericolo la sicurezza regionale e la coesione interna dell’organismo regionale. Le parti hanno riprogrammato di incontrarsi a Pechino a settembre per discutere un CoC.

In assenza di una sospensioni delle operazioni intense cinesi nei territori in disputa, compreso il regolare invio di flottiglie paramilitari alle isole Paracelso e Spratly, i paesi più piccoli come le Filippine hanno accelerato la propria strategia rischiosa. I ministri dell’ASEAN hanno detto dopo un incontro preparatorio in Thailandia di questo mese che avrebbero parlato nel loro prossimo incontro con la Cina con una “sola voce”. Sebbene i paesi dell’ASEAN che hanno dei reclami sui territori concordano tutti della necessità di una risoluzione pacifica delle questioni territoriali, c’è stata una marcata divergenza in termini di approccio strategico del singolo paese.

codice di condotta

Il Vietnam si è aggirato con molta circospezione nel suo complesso di relazioni a tre con Cina ed USA mentre il suo presidente Truong Tan Sang con molta intelligenza intraprendeva una visita di alto profilo e delicata a Pechino e Washington nei mesi scorsi, per alleviare le tensioni con la Cina e approfondire al contempo le relazioni con gli USA.

D’altro canto le Filippine hanno optato per un percorso di pressione che includono un negoziato per una maggiore presenza di personale militare americano permanente, il ricollocamento della Marina e dell’Aviazione Filippine nel suo settore occidentale a Subic, e una sfida aperta legale alla famosa dottrina cinese delle nove linee che conferisce alla sovranità cinese quasi tutto il mare cinese meridionale.

Un ostacolo grosso allo sviluppo di un CoC è l’assenza di una relazione bilaterale funzionante tra Filippine e Cina. Mentre Manila accusa Pechino di fare il “Bullo” e di espansionismo territoriale, la Cina tratta le Filippine come un guastafeste che ha presumibilmente infiammato dispute di secoli immettendo nel conflitto potenze esterne

I critici hanno accusato la Cina di tirare per le lunghe nello stabilire un concreto CoC mentre le sue forze paramilitari hanno espanso le loro fortificazioni nelle aree disputate. “La Cina crede che non ci dovrebbe essere fretta. Alcuni paesi sperano che ci si possa accordare sul CoC nel giro di una notte.

Questi paesi hanno delle aspettative irrealistiche.” dice il ministro degli esteri cinesi, Wang Yi, facendo cadere le speranze di una veloce risoluzione delle dispute attuali nel futuro incontro di Pechino. “Il CoC tratta degli interessi di varie parti e la sua formulazione domanda un carico pesante di lavoro di coordinazione. Nessun paese singolo dovrebbe imporre la volontà agli altri”.
In un affondo indiretto agli USA e al suo alleato filippino, Wang attribuiva il precedente fallimento del CoC al “disturbo di certe parti” mentre chiedeva alle parti di “fare sforzi che conducano al processo per creare le condizioni e l’atmosfera del negoziato”.

I moderati filippini, frustrati della pretesa mancanza di sinceri sforzi diplomatici, si sono anche uniti al coro delle critiche contro il proprio governo accusandolo di abbandonare la trattativa con la Cina. Sin dall’inizio del 2013 i rappresentanti ufficiali filippini superiori, compreso il ministro Del Rosario, hanno affermato che hanno esaurito tutti i mezzi diplomatici senza alcun risultato, una dichiarazione usata anche a pretesto per rafforzare i legami militari esteri e le battaglie legali con la Cina.

Per tanti analisti queste affermazioni sono provocatorie e in fin dei conti controproducenti. Chito Sta Romana, esperto filippino di Cina, ha discusso che la risoluzione delle dispute richiede una combinazione di impegno e rischio. Come vari esperti sostengono, la risoluzione delle dispute territoriali è alla fine raggiunta da trattati bilaterali con sforzi paralleli multilaterali che fanno da percorso di sostegno.

Eppure la differenza di percezione e i legami diplomatici deteriorati hanno indebolito la posizione dei moderati di ambo le parti, compreso Wang nuovo ministro degli esteri cinese e diplomatico navigato, che fu strumentale nello sviluppo di una dichiarazione di condotta delle parti non vincolante nel 2002. Ci sono indicazioni che presto Del Rosario lascerà la propria posizione, ma non è affatto chiara se il successore rinvigorirà il proprio rapporto con la Cina.

Ci sono vaste dicerie che a fare da ministro degli esteri potrebbe essere proprio Manuel Roxas II, l’attuale ministro degli interni, un futuro contendente alle elezioni presidenziali del 2016. Se dovesse assumere la posizione, ci sono ragioni di ottimismo che i legami con la Cina possano migliorare.

Da ex capitalista intraprendente che sa prendere decisioni economiche importanti nel governo filippino, è conosciuto per il suo acume da imprenditore e la sua visione strategica, fattori che potrebbero aiutare una spinta diplomatica per salvare il commercio e l’investimento tra Filippine e Cina. Eppure ci sono anche paure che le sue ambizioni presidenziali potrebbero avere un impatto sulla sua condotta in politica estera, dal momento che i calcoli politici inevitabilmente competono alla sua attenzione.

Nel frattempo, le Filippine si affidano ad una aggressiva campagna legale presso il Tibunale della Legge sul Mare (ITLOS) a L’Aia per attaccare le richieste cinesi verso le caratteristiche del mare cinese meridionale. Sebbene le autorità filippine sperino che l’arbitrato fornirà una piattaforma per le dispute da sistemare nella legge internazionale, alcuni esperti hanno espresso i propri dubbi sulla efficacia dell’ITLOS nella risoluzione delle dispute.

Sin dal 2006 la Cina lo ha detto con chiarezza che non si farà assoggettare ad ogni arbitrato obbligatorio sulle questioni che coinvolgono “delimitazioni marittime, territorio e attività militari”. Inoltre la dottrina cinese delle nove linee è deliberatamente vaga dal momento che mancano di ogni coordinata specifica soggetta a scrutinio legale. E’ quindi difficile immaginare che ITLOS potrà arrivare ad una qualunque opinione conclusiva sul conflitto.

Uno sguardo più attento sulle intenzioni filippine comunque rivela che la mossa legale è radicata in un calcolo politico cioè fare pressione sulla Cina e sollevare simpatie internazionali per la sua causa. Dopo le prime affermazioni di sostegno da parte del Parlamento Europeo e del segretario di stato John Kerry in favore della ricerca dell’arbitrato internazionale, il senato USA ha fatto seguito approvando la risoluzione di giugno che tra l’altro “condanna l’uso della coercizione, delle minacce o della forza con la sicurezza marittima e navale, o con flottiglie di pesca e aerei militari o civili nel mare cinese meridionale e orientale per affermare le proprie richieste territoriali o marittime o per cambiare lo status quo”.

La risoluzione era una riaffermazione esplicita di falchi e moderati a sostegno dentro la legislatura USA per “la libertà di navigazione” nel pacifico occidentale come pure un’espressione di solidarietà con alleati strategici come le Filippine. Il fatto ha trovato un forte rimprovero da parte cinese che ha definito la risoluzione “una provocazione destabilizzante”.

Per rafforzare la propria difesa dei territori contesi, di avvantaggiarsi della logistica più avanzata e delle infrastrutture militari e accrescere la interoperabilità con l’espansione prospettata delle forze giapponesi e americane nel Paese, le Filippine hanno anche deciso di muovere le sue forze aeree e navali a Subic che era una ex base americana e si affaccia strategicamente sul Mare cinese meridionale.

“La posizione è molto strategica ed ha le caratteristiche intrinseche per farne un’area perfetta per la Marina e l’Aviazione” dice il ministro della difesa Gazmin spiegando la decisione come una risposta ad una “serie di eventi” piuttosto che citare direttamente le dispute territoriali come causa dello spostamento. “Stiamo vedendo a come applicarlo. Non abbiamo ancora un sequenza temporale”.

Secondo alcuni esperti il ricollocamento e il miglioramento delle strutture a Subic per l’Aviazione costerà anche 5 miliardi di peso, circa 100 milioni di euro. Manila ora cerca i fondi mentre USA e Giappone potrebbero essere fonti di finanziamento possibile.
In aggiunta le Filippine stanno negoziando un nuovo patto che permetterà una presenza americana espansa a rotazione, e Del Rosario afferma che le Filippine “sono pronte a trovare le risorse, a fare ogni alleanza per difendere le sue pretese territoriali.
In parallelo Manila considera maggiori acquisizioni militari come la nave di pattuglia francese per La Guardia Costiera come parte di una strategia più vasta di migliorare la sua capacità minima di deterrenza nel confronto con la Cina.
Nonostante gli sforzi multilaterali attuali sotto gli auspici dell’ASEAN di portare le parti indisputa sul tavolo al negoziato, l’assenza di un incontro costruttivo tra Cina e Filippine resta uno dei maggiori ostacoli per la risoluzione pacifica delle dispute e di un CoC in tempi brevi per il Mare cinese meridionale.
Dual track trouble in the South China Sea di Richard Javad Heydarian

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