In un recente incontro alla televisione filippina sul futuro dell’industria estrattiva nelle Filippine, due rappresentanti illustri delle famiglie più ricche del paese si sono lasciati andare lanciandosi vicendevolmente delle pesanti affermazioni.
Si tratta di Manny Pangililan, il cui vasto impero di affari lo ha reso una delle persone più influenti del paese, e di Regina Lopez, della vecchia e ricca famiglia immersa nel campo dei media e delle proprietà. Benché sedute allo stesso tavolo, hanno due visioni diametralmente opposte, come il nord ed il sud, almeno rispetto al futuro dell’industria mineraria nelle Filippine.
Lopez, la cui militanza contro l’industria mineraria le ha alienato alcuni della sua classe elitaria, ha affermato che le Filippine si troverebbero in una situazione migliore sviluppando la propria agricoltura e le industrie turistiche piuttosto che distruggere foreste e legname pregiato in nome dell’industria mineraria. Pangilinan ha risposto che il paese non potrebbe uscire dalla sua economia arretrata senza usare il proprio potenziale di ricchezze minerarie persino emettendo i componenti di metalli preziosi di un indispensabile telefonino.
Pangililan è il proprietario di Smart Communication, il più grande fornitore di accesso per telefonini con oltre 60 milioni di sottoscrittori, compresi quelli acquisiti recentemente dalla Sun Cellular, e partecipa anche nell’industria televisiva dove la famiglia della Lopez comanda e sono i capi dell’industria della conoscenza. Pangilinan è anche presidente della Philex Mining, una delle maggiori industrie minerarie operanti. Al di là della loro differenti personalità e della loro retorica, rappresentano due campi opposti nel problema dell’industria mineraria nel paese.
Pangilinan ha difeso a spada tratta l’industria mineraria, che ha tradizionalmente ricevuto sostegno dalla camera di commercio del paese, e ha offerto un terreno di mediazione dove sia il governo che l’industria potrebbero risolvere il problema della condivisione delle entrate e dello stretto monitoraggio dell’ambiente.
In precedenza il ministro dell’ambiente e delle risorse, Ramon Paje, aveva detto che il governo voleva aumentare le tasse di Royalies sull’industria mineraria dal 2 al 5% oltre il 2% delle accise. Per la camera di commercio c’è la paura che il governo si stia muovendo verso una politica di confisca che avrebbe scoraggiato gli investitori esteri.
Per Leo Jasareno dell’ufficio Miniere e Geoscienze, che ha dato il tono alla conferenza a cui hanno partecipato 600 delegati, la questione è tra “un’industria mineraria che contribuisce in modo significativo alla crescita economica in modo da mitigare l’impatto sull’ambiente e migliorare la vita della gente oppure non c’è industria mineraria”.
Nel 2011 il settore metallico dell’industria estrattiva ha segnato una produzione del valore grezzo di 122 miliardi di peso (oltre 2 miliardi di euro) con un incremento del 9% rispetto al 2010, ma il settore nonostante questo salto non ha aumentato la sua quota nel PIL restando al 1,5% degli anni passati, ha detto Jasareno. Inoltre il governo, secondo Paje, ha perso quasi 5 miliardi di peso l’anno per l’incapacità di esigere le royalties e sta valutando altre opzioni e modelli e potrebbe decidere di adottare una possibile imposizione di noleggio di risorse minerarie come pure di una carbon tax.
Alla fine Jasareno ha detto: “Il governo non era contro l’industria estrattiva ma l’industria estrattiva deve dare più denaro specialmente a causa della sua cattiva fama nel paese e del bisogno del paese di maggiori entrate”.
Lo stesso Pangilinan ha invitato il settore privato ad essere più disponibili verso progetti di condivisione del profitto dando la loro parte equa di entrate alle unità del governo locale che li ospita.
Un presidente della Commissione Elettorale, Christian Monsod, ha detto che l’industria estrattiva è divenuta ed è un’istanza sociale considerata la sua cattiva reputazione delle grandi industrie estrattive nel paese. Un problema sollevato è se le compagnie minerarie dovrebbero essere ritenute per sempre responsabili sul mantenimento dei siti minerari chiusi e di ogni altro danno che nascerà dai rischi lasciatisi dietro da queste miniere, suggerendo che le industrie minerarie potrebbero istituire in anticipo un fondo per assicurarsi che questi rischi saranno coperti per il futuro.
Clive Wicks, che ha scritto un libro sull’industria mineraria nelle Filippine, ha lanciato la preoccupazione sul più grande progetto minerario del paese, Tampakan Copper and Gold, che si pone un rischio molto alto come disastro ambientale.
Il progetto giace su le linee di faglia attive a South Cotabato (Mindano meridonale) e si trova a meno di 20 chilometri da un vulcano attivo di Matutum. Ha detto che le due dighe di bacino minerario, contenenti milioni di metri cubi di residui minerari esausti potrebbero crollare nel caso di un forte terremoto, sia naturale che indotto, o quando la Sagittarius Mines Inc (SMI) comincerà a detonare l’area. Un simile disastro significherebbe uno scempio inimmaginabile alla vita e alle proprietà a valle. A tale progetto si è già dichiarata fortemente contraria la chiesa cattolica di tre province meridionali di Mindanao. La provincia di South Cotabato ha persino approvato un’ordinanza di divieto di operazioni minerarie a cielo aperto nella propria zona creando una forte incongruenza tra ordinanze nazionali e locali nel campo dell’industria estrattiva. La SMI dal canto suo ha dato garanzie che lo scenario evocato da Wicks non accadrà in quanto le dighe sono state disegnate per essere virtualmente indistruttibili.
L’associazione mineraria filippina, per voce del suo presidente Romualdez, ha, dal canto suo, invitato il presidente Aquino ad esaminare le piccole aziende estrattive distribuite nel paese che sono ritenute le più impossibili da regolare da parte del governo e che hanno lasciato un impatto negativo sull’industria mineraria stessa. Ma strano a dirsi in questo incontro non era rappresentata la piccola industria estrattiva che secondo Romualdez sfuggono al pagamento delle Royalties governative e portano l’oro fuori del paese, facendo così diminuire l’oro acquistato dalla Banca Centrale Filippina.
Secondo Jasareno, la Banca Centrale Filippina ha comprato 30 tonnellate di oro lo scorso anno il cui 68% proviene dalla piccola industria estrattiva. Esistono comunque problemi sulle leggi in conflitto sull’industria piccola estrattiva, che hanno impedito l’applicazione della legge stessa, oltre alla cronica mancanza di personale e di geologi del governo. Si sta comunque guardando la situazione e si faranno delle correzioni in Parlamento.
Dal canto suo l’Ufficio del Presidente è determinato nel rilasciare un decreto esecutivo che affronti i problemi dell’industria estrattiva, dopo un ritardo di alcuni mesi e che di sicuro terrà conto delle royalties e dell’incremento possibile delle accise. Inoltre questo decreto dovrebbe rivedere tutti i progetti di sviluppo minerario e i contratti in essere sollevando parecchie rimostranze nella comunità mineraria. La Camera di Commercio ha già mostrato di opporsi a questo decreto di cui conosce il testo ovviamente a causa di una mancanza di consultazione. Secondo Il suo presidente questo decreto controverso potrebbe decidere il futuro dell’industria estrattiva.
Jasareno crede che “il paese possiede una forte base di risorse minerarie che giustificano l’estrazione come una opzione di sviluppo perché finché si parla di estrazione mineraria responsabile i benefici di gran lunga superano i costi. Se li lasciamo lì, i minerali non possono generare ricchezza”
Ma Regina Lopez direttrice della Fondazione ABS-CBN non è convinta. “Di quale ricchezza si parla? I filippini possono guadagnare di più se si sviluppano le aree minerarie in aree turistiche”
Nonostante le differenze forti tra i gruppi vicini alla lobby mineraria e i difensori ambientalisti, tutti si sono dichiarati concordi nell’affermare che le Filippine non possono vivere senza industria estrattiva”.
C’è da chiedersi cosa ne sarebbe uscito da questa riunione se gli organizzatori avessero invitato anche i contadini, i lavoratori e le popolazioni indigene che sono i primi ad essere colpiti dalle operazioni di queste compagnie minerarie. Forse tutti questi gruppi marginalizzati avrebbero preferito che ad essere biasimati non siano ancora i poveri quando i ricchi si scontrano.
Edwin Espejo, Mindanews