Maguindanao 23 novembre 2009 e la fine dell’impunità?

Il 23 novembre di due anni fa, a Maguindanao, una delle province più povere delle Filippine, un convoglio con 32 giornalisti e uomini dei media e familiari del clan di Magundadatu si recava a presentare la candidatura a governatore della Provincia di Maguindnao, quando fu fermato sulla strada da un gruppo di civili e poliziotti armati di tutto punto guidati dal sindaco di una cittadina, Andal Ampatuan il Giovane.

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Furono tutti portati in un villaggio a due chilometri e mezzo dalla strada e uccisi senza pietà. Tra di loro c’erano la moglie di Magundadatu, le figlie e vari familiari e vari cittadini che occasionalmente si trovavano a passare di là. I loro corpi seppelliti insieme a molte auto.

Oggi a distanza di due anni i giornalisti ed i lavoratori nei media celebreranno in tutte le Filippine e anche all’estero questo giorno, visiteranno a Maguindanao i luoghi del massacro e faranno dei dibatitti in tutto il paese.

Sono stati arrestati, dopo alcuni giorni dal massacro di Maguindanao, Ampatuan il giovane, indicato da alcuni testimoni come colui che ha pensato l’azione, suo padre Andal il vecchio, i fratelli Zaldy e Bahnarin ed altri 20 membri della famiglia Ampatuan. Inoltre 160 altre persone presero parte all’azione tra i quali poliziotti, uomini delle milizie private e altri guardiaspalle degli Ampatuan: di queste 103 sono ancora latitanti, mentre solo Andal il giovane è stato accusato nella corte.

Come lo scorso anno, una folla di cittadini e giornalisti si recherà su quella stessa collina a Maguindanao da cui Andal il giovane vide lo svolgersi dell’odiosa strage.

E dopo due anni, la strage diventa ancora più odiosa nel vedere che un governo Aquino, eletto con una valanga di voti e che ha promesso di trovare i responsabili degli omicidi extragiudiziali e di portare giustizia, sta ancora facendo molto poco: il processo langue e non se ne intravede una fine, mentre continuano gli omicidi e le violenze contro i democratici, gli attivisti, gli uomini di chiesa come Padre Tentorio, i giornalisti di piccole testate e radio morire assassinati senza che trovino giustizia.

Dopo 500 giorni di governo non si riescono a intravedere decisioni forti che incrinino la cultura dell’impunità che regna dietro questi omicidi. E’ stato solo aumentato il fondo per il programma di protezione dei testimoni, ma nessun passo di coordinamento con le associazioni dei media e dei giornalisti, nessun accordo col dipartimento della giustizia per trovare un modo per fermare questi omicidi. Neanche un accordo per accelerare le indagini o per formare un gruppo di lavoro sugli omicidi extra giudiziali.

Per molte organizzazioni democratiche è ancora peggiore il silenzio dell’amministrazione sugli omicidi accaduti durante questa presidenza, passati senza la minima dichiarazione da parte del presidente, senza la spinta ed incoraggiamento a fare delle indagini veloci, ad aumentare l’efficienza della polizia nelle indagini. Poi la scelta nefasta del presidente di non smantellare le armate private che giocarono un ruolo nefasto proprio il 23 novembre del 2009.

Dal 1986 sono dieci casi su 124 casi di giornalisti assassinati sono stati risolti, un record così basso che fa capire che se non si affrontano questi casi, non ci sarà modo per rompere la cultura dell’impunità che cresce sempre con la debolezza del sistema giustizia.

Per il giorno 23 novembre la stampa internazionale ha dichiarato una “giornata internazionale per porre fine all’impunità” per enfatizzare quello che è accaduto nelle Filippine quel fatidico 23 novembre 2009 e renderlo parte di quello che comunque accade nel mondo dove finora sono morti 500 giornalisti in dieci anni.

Per le Filippine, è necessario che il governo Aquino dia seguito a quelle promesse, che sostenga le famiglie di chi è stato colpito e che favorisca tutte le trasformazioni utili nei corpi dello stato affinché si cominci a far pagare ai responsabili di questi crimini odiosi, tra i quali ricordiamo Padre Fausto Tentorio, e dare a tutti i filippini una speranza più concreta.

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