Frate Fausto Tentorio, parroco della diocesi di Arakan Valley, ad Arakan, e capo dell’apostolato filippino tribale della diocesi di Kidapawan, è stato ucciso da un uomo col casco il 17 di ottobre 2011, mentre alle 8,30 del mattino si accingeva con la sua auto a recarsi a Kidapawan per un convegno religioso.
E’ stato colpito da vari proiettili alla testa, al petto e sul lato sinistro del corpo. L’uomo, che ha fatto l’esecuzione, lo ha atteso insieme ad un complice col quale poi è fuggito in motocicletta. Il frate, conosciuto dalla popolazione locale come Fra Pops, è arrivato all’ospedale praticamente morto. Secondo varie fonti, alcuni personaggi che si definivano come appartenenti a Baganis lo avrebbero cercato all’interno della sua missione agli inizi del mese.
Frate Tentorio, che faceva parte del PIME la Missione estera dell’istituto pontificio, era arrivato nelle Filippine dal 1978; per due anni fu assegnato ad una diocesi a Zamboanga, poi alla diocesi di Kidapawan ed era nella provincia di North Cotabato, della regione di Mindanao. Fino al 1985 quando fu trasferito nella missione di Arakan, è stato nella missione di Sultan Kudarat dove convivono sia popolazione musulmana che cristiana che Lumad, popolazioni aborigene di Mindanao.
Fra Pops è il terzo frate del PIME che è stato ucciso a Mindanao ed il secondo nella diocesi di Kidapawan. Nel 1985 fu la volta di Frate Favali ucciso dalle squadre paramilitari di Norberto Manero, mentre nel marzo 1992 fu la volta del frate Salvador Carzedda a essere giustiziato.
Nel 2003, il 6 di ottobre, Fra Pops subì un attentato che per poco non gli costò la vita durante una delle sue visite alle popolazioni aborigene della sua diocesi della zona di Bukidnon, dove aveva organizzato un gruppo locale TIKULPA, Tinananon-Kulamanon Lumadnong Panaghiusa.
Aveva 59 anni ed era nato a Santa Maria di Rovagnate, Lecco. In una dichiarazione dei Rural Missionaries of Philippines, di cui Fra Pops, era membro attivo si legge: “E’ molto chiaro che l’omicidio del prete è stato premeditato dal momento che c’è già stata una minaccia alla sua vita da parte del gruppo paramilitare Bagani sotto la giurisdizione della 73 brigata di fanteria otto anni fa, per il suo amore verso i Lumad e specialmente per averli organizzati e fatto sentire la loro voce…
Come membro de RMP era molto attivo nel suo sostegno e nel portare avanti iniziative per la promozione dei diritti umani dei contadini poveri e le popolazioni indigene di Arakan Valley. Ha assunto la difesa dei poveri e degli oppressi contro ogni forma di ingiustizia sociale. Quello che è accaduto a lui è la chiara manifestazione di vari tentativi di spegnere la sua voce profetica nella difesa dei diritti dei poveri nelle campagne. Denunciamo gli omicidi extragiudiziali che accadono ancora e domandiamo giustizia per Frate Fausto Tentorio. Crediamo che possiamo avere una pace autentica e duratura solo se abbiamo rispetto per la dignità umana, la giustizia e la libertà”.
Sul SIR (Servizio Informazione religiosa) si legge:
MISSIONARIO ASSASSINATO: CARD. SCOLA, “PER LA TERRA IN CUI HA OPERATO HA DATO LA VITA”
“Di fronte a un delitto così orribile e inaccettabile possiamo solo partecipare con la preghiera e l’affetto nei confronti della famiglia e dei missionari, fratelli di quest’uomo che per la terra in cui ha operato ha dato la vita”. Così l’arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola, ha voluto esprimere il suo sconcerto per la morte cruenta di p. Fausto Tentorio, originario di Santa Maria di Rovagnate in provincia di Lecco, ucciso oggi nelle Filippine. “Ho parlato con la famiglia di Tentorio questa mattina e ho voluto esprimere loro la mia più forte vicinanza”, ha aggiunto Scola. Per l’arcivescovo di Milano “delitti di questo genere, che sono sempre accaduti, oggi più che mai assumono la dimensione espressiva del grande travaglio in cui siamo immersi e richiamano i cristiani all’edificazione della vita buona attraverso le pratiche virtuose”.
Questa sera, nel paese d’origine del missionario, verrà recitato il Rosario e celebrata una Messa, mentre i religiosi del Pime stanno organizzando un momento di preghiera a Milano.
11:35 – MISSIONARIO ASSASSINATO: FILIPPINE, È STATO UCCISO QUESTA MATTINA P. FAUSTO TENTORIO
È stato colpito a morte questa mattina nella parrocchia di Arakan, nell’isola del Sud delle Filippine, padre Fausto Tentorio, missionario del Pime (Pontificio Istituto missioni estere) che era già scampato in passato ad un altro agguato. Padre Tentorio era nato il 7 gennaio 1952 a Santa Maria di Rovagnate e cresciuto in Santa Maria Hoe’ (Lc). Il religioso è stato assassinato da un uomo armato di pistola. Sul blog dei missionari del Pime delle Filippine, si legge che “padre Fausto è stato assassinato davanti alla sua parrocchia di Arakan, North Cotabato, Mindanao”: “Verso le 8 del mattino stava salendo sulla sua auto per recarsi a Kidapawan, 60 km dalla missione, per un incontro diocesano, quando un killer con casco in motocicletta si è avvicinato e gli sparato diversi colpi. Da oltre 32 anni Fausto lavorava a stretto contatto con gli indigeni del luogo, i Manobos, nella formazione e organizzazione delle loro piccole comunità montane. Cercava così di rispondere alle loro necessità e speranze quotidiane, lavoro e scuola, ma ‘rispondere’ voleva anche dire affrontare forze molto potenti interessate più ai beni materiali e interessi personali che a quelli di fratellanza locale e universale”. Ordinato nel 1977, padre Tentorio era partito per le Filippine l’anno seguente e prima della missione in Arakan aveva lavorato in quella di Columbio.
“Come la morte di padre Favali, quella di padre Tentorio non è legata al fondamentalismo islamico, ma alla difesa delle popolazioni indigene di Mindanao. L’isola del Sud delle Filippine è infatti un microcosmo dei drammi che attraversano il pianeta. Padre Fausto – racconta padre Luciano Benedetti, anche lui missionario del Pime nelle Filippine da poco rientrato in Italia – era minacciato da tempo per il lavoro che svolgeva da tempo nella difesa delle terre dei Manobo. Terre che fanno gola in una zona ricca di risorse minerarie. Già otto anni fa, protetto dalle popolazione locali, si era salvato solo stando nascosto mezza giornata in un armadio. E ancora due anni fa era stato fatto oggetto di nuove minacce”
Ecco l’intervista a p. Fausto Tentorio, missionario del PIME, che vive tra i Manobo dal 1985…
Fino a cinquant’anni fa i Manobo regnavano incontrastati su una vasta zona dell’isola di Mindanao, senza alcun contatto con l’esterno, se non quello di rari commercianti musulmani. Ad un certo punto l’intera isola, e quindi anche l’Arakan Valley, hanno iniziato ad essere meta di coloni provenienti dalle isole delle Filippine centrali interessati prima al taglio della foresta e poi alla messa a coltura delle terre. Un enorme problema per i Manobo, una popolazione tribale di poche migliaia di persone su un territorio di centomila ettari, interamente coperto di foresta vergine, che non coltivavano la terra, raccoglievano frutta e si dedicavano alla pesca o alla caccia per procurarsi il cibo. Le comunità Manobo, più inclini al compromesso che alla lotta, hanno progressivamente abbandonato il fondovalle e le rive dei fiumi e si sono rifugiati sui monti, rischiando così di perdere la loro identità culturale, tradizioni, conoscenze mediche, modi di vivere. Nessuno si è interessato del loro destino fino a quando alcuni missionari del Pime sono arrivati da queste parti. Tra loro c’era anche p. Fausto Tentorio, classe 1952.
PIME
Fausto, quando hai iniziato questa avventura tra i Manobo dell’Arakan?
Nel 1985 ho cominciato a dare una mano in Arakan, insieme a p. Bruno Vanin. In quegli anni c’era ancora la dittatura di Marcos e l’azione della Chiesa tra i tribali era vista con sospetto. Il governo pensava che agissimo in collusione con i ribelli comunisti, che si annidavano nei villaggi e nelle aree più remote. Nel 1990 ho iniziato la mia attività tra i Manobo d’Arakan con lo stesso stile: ascoltare e capire. Del resto questo per me è lo stile del Vangelo.
Vivendo insieme ai Manobo hai capito di cosa avevano bisogno?
Nell’ascoltarli, nel capire il loro punto di vista ho individuato le priorità per agire a favore della tutela di questa etnia. Il primo impegno è stato quello di conservare la terra. Per risolvere problemi immediati i Manobo vendevano la terra ai coloni per comprare animali, riparare offese ad altri membri della comunità, far fronte alle cure mediche … Era il modo più facile. Abbiamo calcolato che dei 75 mila ettari di terra dell’Arakan Valley, ai tribali ne sono rimasti solo 15 mila. Ancora pochi anni e di terra non ne sarebbe rimasto nemmeno un metro quadrato, e, ovviamente, dei Manobo non avremmo saputo più nulla o quasi. Diciamo che la prima iniziativa è stata quella di fermare questa emorragia, salvare il salvabile, interrompendo le vendite e spingendo le autorità pubbliche ad emanare leggi che tutelassero le terre dei tribali.
La seconda priorità è stata quella di creare gruppo, rimettere in comunicazione i capi tribali che da tempo si erano divisi. Una spaccatura che indeboliva la loro posizione. Allora abbiamo organizzato riunioni nelle quali poter discutere dei problemi. Poco alla volta la comunità manobo è diventata più compatta e forte. Dal 1992 esiste la Malupa, Manobo Lumandong Panaghiusa, cioè l’associazione dei tribali Manobo, composta da un buon numero di loro leader e di persone coinvolte nel recupero degli spazi e dei valori tradizionali.
E i risultati quali sono stati?
Ora i tribali hanno la loro terra riconosciuta e tutelata dallo stato, non è cosa da poco conto, visto che avere un luogo preciso dove abitare è per tutti di vitale importanza, ma soprattutto per una popolazione come i Manobo. Poi una volta risolto questo aspetto, ci siamo dedicati anche ad altri: la valorizzazione della terra attraverso l’agricoltura e la riforestazione, l’educazione sanitaria e il recupero della medicina tradizionale perché le medicine “moderne” sono troppo costose e gli ospedali troppo lontani, l’educazione scolastica perché molti dei Manobo sono ancora analfabeti.
Senza il tuo intervento i Manobo sarebbero scomparsi. Hai aiutato un popolo a non scomparire.
(tratto da IM n. 8/2005)
FILIPPINE: L’omicidio di padre Fausto Tentorio: le prime indagini ed un commento
Mentre a livello ufficiale si brancola ancora nel buio, con le varie autorità che dichiarano di seguire tutte le piste dalla guerriglia maoista de NPA, ai fanatici musulmani ma non le forze di protezione delle industrie minerarie, la situazione come delineata da quanti amavano e seguivano Fra Pops, padre Fausto Tentorio, ucciso il 17 ottobre 2011 ad Arakan a Mindano, è alquanto più chiara.
Fra Pops è stato sin dagli inizi della sua missione nei remoti villaggi delle comunità indigene sotto la minaccia costante di morte. Per molti se si guarda bene quanto successo nelle settimane precedenti, ci sono stati vari segni che portano al suo assassinio.
Esaminiamoli. Nelle settimane precedenti un uomo di circa 30 anni era andato, per varie volte, nella missione chiedendo in giro, a quanti lavoravano, di Fra Pops e di cosa facesse. Nei mesi da agosto e settembre, vari ambulanti con i loro carrelli si erano stabiliti attorno alla chiesa ed attorno agli altri edifici della missione. Qualcuno di questi era stato sorpreso attorno agli edifici nella missione e a chi gli domandava cosa volesse aveva risposto che volevano sapere cosa ci fosse lì e di provenire da un’altra città. Qualcuno di loro dormiva all’interno del recinto della chiesa su delle amache e qualcuno anche all’interno della chiesa, ma sono tutti scomparsi con i loro carrelli del pesce il giorno che Fra Pops è stato ucciso. Il giorno 14 i soldati del 57° battaglione di fanteria hanno chiesto inutilmente di avere il numero di telefonino del frate.
Il giorno seguente, mentre il frate celebrava la messa in un villaggio vicino Barangay Dalag, la polizia ha fermato un civile che portava in un sacco varie armi da guerra, in un alto villaggio sulla strada per Barangay Dalad. Alla polizia che ha confiscato le armi giunge la telefonata di un capitano che reclamava la proprietà delle armi all’esercito. Alla fine risultano confiscati due sole armi, al contrario della testimonianza di tutti gli abitanti che asseriscono che le armi erano molto di più. Come mai un civile può trasportare così tante armi dell’esercito?
La notte di sabato l’esercito ha pattugliato il villaggio dove si trova la chiesa di Fra Fausto Tentorio spiegandolo come una normale routine ai chi chiedeva loro la ragione, cosa che fa pensare che probabilmente nel villaggio non si vede molta attività militare. La mattina seguente avviene l’esecuzione di Fra Tentorio, mentre nella scuola di fronte si svolge la cerimonia della bandiera a cui partecipano anche dei militari che al rumore dei colpi d’arma da fuoco, una decina in tutto, non si muovono proprio.
Ma il direttore dell’Ufficio Centrale delle Indagini di Mindanao centrale, Angelito Magno, afferma che, dalle loro prime interviste, non sembravano esserci delle minacce immediate nei confronti del frate e che furono sorpresi dell’omicidio, secondo quanto detto da Leoncio Lubiano della diocesi di Arakan. “C’erano minacce vecchie, .. ma nessuna recente.”
Secondo chi lavorava nella chiesa, ci sono state moltissime minacce dai militari nei confronti del Frate e di chi lavorava con lui nella lotta per i diritti delle terre ancestrali. Nel 2009 c’è stato persino un raid di soldati armati nel recinto della missione con un mezzo blindato. Si sono diretti verso due alberi grandi senza chiedere permesso e senza dare risposte al frate che chiedeva spiegazioni.
Al sindaco del paese, nel 2009 col governo Arroyo, i militari avevano chiesto di non invitare Fra Tentorio alle riunioni del Consiglio Cittadino per la pace e l’ordine a causa delle sue proteste per l’intensificazione delle operazioni militari contro le popolazioni indigene. Nel luglio di quell’anno, i militari erano arrivati nel paese ed avevano posto le tende nel centro, vicino al Comune, alle scuole, alle chiese, all’ospedale locale rimanendoci per 16 giorni. Un’occupazione militare a tutti gli effetti. I membri del gruppo lumad Tikulpa, fondato da Fra Tentorio, erano etichettati come membri de NPA durante le operazioni di censimento che conducevano.
Padre Geremia, un altro prete italiano, dice che accusare NPA, la guerriglia maoista, dell’omicidio come qualcuno va facendo sarebbe prematuro: “Il gallo che canta ha fatto l’uovo, dice un proverbio italiano. E’ accaduto con padre Favali che fecero la stessa dichiarazione, ma poi si è scoperto il contrario. L’omicidio non è stato solo brutale ma anche preciso, fatto da un professionista che sembrava prendersi tutto il tempo che voleva, non sembrava andare di fretta. Si è assicurato anche di aver fatto bene il proprio compito…”. Sembra che i tempi di Favali siano tornati. Ma allora apertamente l’autore di quel crimine confessò con una lettera.(Inquirer.net)
Padre Fausto Tentorio, padre Pops per i parrocchiani di By: Michael L. Tan Philippine Daily Inquirer
C’è una perversa ironia nei tempi dell’esecuzione di Frate Fausto Tentorio, Tatay Pops per i suoi parrocchiani. E’ stato abbattuto lunedì 17 mattina scorsa, proprio nel giorno seguente il World Food Day, ed ottobre è anche il mese delle popolazioni indigene nelle Filippine. Tatay Pops è un missionario italiano, un membro del PIME, l’istituto Pontificio per le Missioni estere. I residenti della sua diocesi nella Valle di Arakan, Cotabato Settentrionale, sono per lo più lumad, indigeni. Un articolo di internet del governo locale la definisce una zona ricca di risorse, una riserva di alimenti e naturali, un sito potenziale per miniere di oro e di altri minerali. Fra Pops aveva molti progetti di comunità che andavano avanti, compreso una scuola e un programma di agricoltura biologica sostenibile per aiutare i lumad ad attingere a queste risorse. I lumad della zona conoscono da secoli la ricchezza della loro terra. Il nome della valle, Arakan, deriva da “ara” che nella lingua manobo significa ricca di risorse naturali e Kan che vuol dire eroismo.
I missionari del PIME mettono la loro vita a rischio scegliendo di servire aree come la Valle di Arakan. Due missionari sono stati rapiti, Fr. Luciano Benedetti a giugno 1998 a Zamboanga del Nord e Padre Giancarlo Bossi a giugno 2007 a Zamboanga Sibugay. Altri hanno perso la vita. Padre Pops era il terzo missionario del PIME ad essere assassinato nelle Filippine. Il primo martire fu Frate Favali ucciso nel 1985 da Norberto Manero Jr e altri membri di un gruppo paramilitare conosciuto collettivamente come Ilaga (Topi), usati dai militari contro chiunque fosse sospetto antigovernativo. Il secondo martire fu Salvatore Carcedda, ucciso a Zamboanga nel 1992 da una persona che, come per Padre Pops, stava su una motocicletta.
Le squadre della morte
La motocicletta, il marchio che contraddistingueva le squadre paramilitari della morte nel periodo della Presidenza Arroyo. Assistiamo al ritorno di questi omicidi? Di questa opinione è il gruppo dei lumad, Kalumarang, che accusa la politica presidenziale dell’ Oplan Bayanihan per l’assassinio di padre Pops. Questa politica sarebbe una campagna di “pacificazione”che ha nel proprio mirino le popolazioni indigene sempre più scontente in differenti parti di Mindanao a causa della sempre più forte usurpazione dei diritti da parte dell’agroindustria e delle industrie minerarie sulle terre ancestrali. Questa “pacificazione” ha comportato l’omicidio di vari leader coraggiosi dei Lumad in varie città di Mindanao da Agusa del Sur, a Bukidnon.
Non dobbiamo anche dimenticare che il presidente Aquino di recente abbia sostenuto l’uso di organizzazioni paramilitari a protezione delle compagnie minerarie, cosa che potrebbe imbaldanzire le squadre della morte a Mindano. Se davvero il governo attiva i gruppi paramilitari, stanno facendo un gioco pericoloso. Marcos usò gli Ilaga contro i musulmani, cosa che comportò la formazione di fanatici comandanti ribelli alcuni dei quali ancora si aggirano per Mindanao.
Il termine fanatico è persino troppo blando e per capire cosa avvenne è necessario rivedere il caso dell’omicidio del padre Favalli. Il suo assassino fu arrestato e portato in prigione, ma fu rilasciato nel 2008. Andò ad inginocchiarsi sulla tomba del frate per chiedere perdono e, nelle interviste rese alla stampa al suo rilascio, si dichiarò un uomo nuovo, convertito dai gruppi religiosi carismatici in prigione. Ma ripetè la sua vecchia affermazione di averlo ucciso poiché era stato accusato, sbagliando, di aver incendiato la motocicletta di padre Favali e di non sapere che fosse un prete (come se uccidere una persona laica sarebbe stato accettabile).
Se si vuole capire cosa è l’impunità si legga la sentenza della Corte Suprema che confermò la condanna del gruppo dei Maneros. Nella decisione della Corte c’erano dei dettagli spaventosi su quello che accadde e che tradiscono le intenzioni della presunta “rinascita” Manero. I testimoni affermarono che Manero ed il suo gruppo cospiraravano per assassinare un altro padre missionario del PIME, padre Pietro Geremia. Il giorno dell’assassinio Manero ed il suo gruppo bruciarono la motocicletta di padre Favali e quando il frate li affrontò, lo schernirono chiedendo cosa avesse intenzione di fare per poi spararlo. Ma non finì lì. Lo calpestarono e profanarono il corpo ( con un colpo gli spappolarono il capo, NdT) danzando e cantando. Si parlò anche di alcuni atti di cannibalismo però non confermati. (Se si cercano i resoconti di cannibalismo questo caso continua a ritornare in quanto fu vastamente denunciato in Europa)
Tadtad
Non deve sorprendere il loro fervore patologico. Il gruppo di Manero era conosciuto come Tadtad, (taglia taglia), che vuol dire tagliare, di solito con l’intenzione di uccidere. Si è molto parlato del fanatismo musulmano, ma ci sono equivalenti tra i gruppi cristiani e i lumad, che combinano vecchi credi e pratiche animisti con una nozione da guerra santa contro i sospetti comunisti.
Perciò quando il presidente Noynoy dichiara la propria approvazione per le difese paramilitari da parte delle compagnie minerarie, manda un messaggio, anche se inavvertitamente, secondo cui i gruppi come Tadtad hanno un posto nella nostra società. Il governo può negare che essi sono non centrano con questi assassinii ma i gruppi fanatici fanno di certo una lettura differente. Ogni rapimento, assassinio, è un segnale che li rende baldanzosi.
Con la Oplan Bayanihan sono reclutati gli stessi uomini lumad e vengono indottrinati fino a far credere loro di essere stati mobilitati per difendere la loro terra. Di nuovo, si dovrebbe ricordare all’amministrazione Aquino che il movimento secessionista musulmano, ora estremamente complicato, fu in parte una creazione del governo, del regime di Marcos in particolare, che usò i musulmani per combattere i musulmani. Alla fine, accadde che molti di questi gruppi finirono per diventare antigovernativi essi stessi, armati fino ai denti grazie alle nostre forze armate.
Questo succederà con i lumad mentre il governo nutre gli ego di tanti leader particolari, ognuno dei quali vuole un proprio principato e alla fine lottare contro il governo se non ottengono quello che credono sia loro dovuto.
La chiesa cattolica istituzionale anche deve andare oltre alle condanne rituali degli omicidi. Padre Pops apparteneva ad una nuova generazione di missionari cristiani che credono nel riportare in vita il primo spirito della cristianità, di comunità che si aiutano l’un l’altra e crescono insieme. Ho visto, negli anni 70, i movimenti chiamati Comunità Cristiane di Base, contadini che acquistano coscienza e alzano la propria voce. Sfortunatamente la chiesa cattolica diede le spalle a queste comunità etichettando anche loro “troppo di sinistra”.
Il mese della popolazione indigena è essenzialmente usato come una esibizione dell’espressione artistica dei vari gruppi indigeni. Ma quello che si fa finisce spesso per esorcizzarli. Sarebbe meglio avere il Mese dei Diritti delle Popolazioni Indigene, un momento per prendere la sfida che Padre Pops e altri missionari stranieri ci pongono: possiamo avere la stessa loro dedizione nel servire gli interessi dei Filippini?
FILIPPINE: In migliaia per l’ultimo saluto a padre Fausto Tentorio
Come accadde 26 anni fa ai funerali di padre Favali, anche oggi migliaia di persone sono accorse in bus, in moto, a piedi, nelle jeepney per accompagnare la salma di Padre Fausto Tentorio dalla chiesa di Notre Dame di Doloruman in Arakan fino alla Cattedrale a KIDAPAWAN CITY dove è stato sepolto.
«Cerchiamo giustizia, una giustizia che speriamo ci sia data alle autorità costituite. Una giustizia che non venga con la violenza e risultato di violenza perché non è quanto insegnato da Cristo. La giustizia deve essere sempre unita al perdono.» dice il vescovo dela Cruz nella sua omelia.
«Chiediamo giustizia, preghiamo il Signore che perdoni quelli che commettono la violenza, che fanno le ingiustizie affinché possano convertirsi.»
Padre Fausto Tentorio, ha detto il vescovo dela Cruz, era contento di lavorare in una relativa oscurità, ricevendo centinaia di riconoscimenti sui media delle cose per cui si batteva: il prete ambientalista, il difensore dei diritti umani, l’attivista anti miniera, il protettore delle minoranze culturali: e lui era tutto questo.
«Non dobbiamo ingigantire la vita di padre Tentorio per rendere il senso della sua tragica morte: dovremmo ricordarlo semplicemente come un prete buono e fedele che amava la sua gente e cercava di servirli come meglio poteva anche di fronte al rischio di perdere la propria vita»
Erano in chiesa anche i familiari accorsi da Lecco per dare l’ultimo saluto, il fratello Felice con la sua famiglia che sarebbero dovuti andare a dicembre a trovarlo. La posta elettronica regolare del venerdì era il modo in cui si tenevano in contatto. Nessuna minaccia di morte, ma notizie sull’agricoltura e sui progetti che il Padre Fausto Tentorio curava.
«Pensiamo di metter su una fondazione per aiutare a sostenere il lavoro che fausto ha iniziato ad Arakan» ha detto Felice nella speranza che il PIME mandi immediatamente un altro missionario che continuerà il lavoro di suo fratello ed aiutare così Frate Giovanni Ventoretto che lavorava con Padre Tentorio nella Missione.
Presente anche l’ambasciatore italiano a Manila, Luca Fornari, che ha espresso «la rabbia e lo sdegno per un atto così ripugnante” e che quello che fa davvero indignare è l’ingiustizia, l’impunità di chi ha commesso l’atto”. Ha aggiunto l’ambasciatore italiano di aver ricevuto ampie rassicurazioni da parte del governo filippino che sarà fatto di tutto per assicurare i colpevoli alla giustizia.
Sul piano delle indagini, invece, esiste un problema con la mancanza di testimoni. Finora è stato tracciato un identikit di una persona che si era recata nei giorni prima a chiedere di padre Tentorio, ma non è l’assassino. Il problema è che al momento sembra che non ci siano testimoni e che le indagini si svolgano in tutte le direzioni.