Come è successo che la vicenda delle Spratley tra la Cina e le Filippinesi si è infiammata così velocemente?
Un anno fa, le relazioni tra i due paesi erano sgombre da nubi, e la controversia 2007-08 NBN-ZTE (sulle isole Spratley) fu l’unico motivo di frizione recente. Dopo le scuse del senatore Miriam Defensor-Santiago, per il suo intervento poco contenuto sulla corruzione cinese, Pechino mise da parte il problema come manifestazione della nostra forte politica democratica e lasciò andare.
Ora mezzi navali ed aerei filippini e cinesi hanno incrementato la loro presenza nelle aree in questione, entrambe le nazioni hanno reiterato le loro pretese territoriali e proclamato avvisi contro ogni violazione ed incursione. Quest’anno le Filippine hanno denunciato almeno sette incidenti che la Cina ha rigettato come chiacchiere infondate, inviando tre proteste diplomatiche per tre di quelle.
Quali sono le forze al lavoro dietro queste frizioni sempre più intense, e come possono le forze rivali e le altre potenze interessate gestire la situazione per allontanarsi dal conflitto? Per le Filippine, in particolare, il confronto nel Mare Cinese Meridionale farà avvicinare la nazione agli USA? E se noi corriamo da Washington, si ergerà in difesa delle nostre richieste territoriali contro Pechino?
Per fortuna lo scenario di guerra non è quello probabile ora: non ci si attende alcuna ostilità tra Cina e Filippine e ci sono alcune dichiarazioni distensive da entrambe le parti, tra le quali l’invito al dialogo da parte del Presidente Aquino e la dichiarazione congiunta dei ministri della difesa che invita alla moderazione.
Ancora, i rappresentanti ufficiali filippini stanno affrontando la questione come una minaccia alla sicurezza nazionale e alla pace nella regione, e si sono espressi in questo senso al Forum Regionale dell’ASEAN del 3 giugno a Singapore. Anche Hanoi ha criticato le mosse di Pechino. Infatti, le frizioni sino vietnamite e gli incidenti scoppiarono nel 2009, allorché Hanoi protestò con la Cina per la creazione di entità locali di governo per le contese isole Paracelso.
La scorsa settimana la Cina accusò il Vietnam e le Filippine di violare la sua sovranità e protestò per le ricerche sismiche sottomarine per la ricerca del petrolio, autorizzate da entrambe le nazioni nelle Zone di Interesse Economico Esclusivo (EEZ). Mentre Manila dava una risposta moderata, Hanoi ha annunciato, per questa settimana, delle esercitazioni navali con munizioni.
Forse anche più preoccupante per la Cina, era l’annuncio del Vietnam e degli USA, lo scorso agosto, di aver innalzato il livello degli ufficiali negli incontri che riguardavano la difesa.
Le stesse Filippine sembrano intente a giocare la carta USA. Il generale Oban ha intenzione di portare la questione del Mare Cinese Meridionale nei suoi colloqui con il Comando Americano del Pacifico ad Agosto nelle Hawaii. Il portavoce presidenziale Abigail Valte ammetteva di dover ancora leggere il trattato di mutua difesa tra USA e Filippine (MDT), ma era sicura che gli USA sarebbero venuti in soccorso della nazione in caso di guerra.
Secondo il MDT ogni attacco al territorio o alle forze armate delle Filippine o degli USA nel Pacifico provocherà l’intervento dell’altra nazione per “agire per affrontare i pericoli comuni in accordo con i processi costituzionali propri”. Questo vuol dire che il presidente Filippino o Americano e il comandante in capo decideranno se ordinare alle forze nazionali di aiutare la nazione attaccata. Inoltre il Congresso nella nazione che porge aiuto considererà se dichiarare guerra contro la potenza che attacca.
Ma gli USA vorranno andare in guerra contro una delle armate più potenti dell’Asia, con le testate nucleari puntate sul continente americano, per aiutare le Filippine nella loro pretesa su delle isolette e sulle acque circostanti nel “Mare Filippino Occidentale”, il nuovo nome coniato dal governo per il Mare Cinese Meridionale? Anche i Giapponesi hanno un loro MDT con gli USA: metteranno gli USA a rischio Los Angeles per rivalersi di un attacco su Tokyo?
Finora, nelle attuali tensioni Washington si è unita al coro dei governi che invitavano ad usare i metodi pacifici per risolvere le divergenze. Sabato scorso il portavoce dell’ambasciata americana diceva: “Gli Usa non prendono parte a dispute regionali”.
Al contempo, gli USA hanno chiesto una navigazione senza restrizioni nei mari cinesi meridionali, oltre ad aver spinto, lo scorso anno, alla creazione di una “architettura regionale” di istituzioni per affrontare le preoccupazioni e le discordie internazionali.
Darà seguito Zio Sam a quello che dice col rischio di fare arrabbiare Pechino? Più in là esamineremo il bilancio sino americano tra potenza e denaro e come questo possa limitare l’influenza di Washington nei Mari Cinesi Meridionali.
Non avendo le Filippine alcuna possibilità militare di contrastare la presenza cinese nelle Spratley, la presidenza, qualche giorno fa, si è lasciata andare a qualche affermazione speranzosa per cui gli USA giungerebbero in aiuto del paese in forza del MDT in caso di conflitto. L’ambasciatore USA Harry Thomas Jr, alle domande dei media, rispondeva con le affermazioni del dipartimento di stato USA per cui non avrebbero preso parte a dispute territoriali.
Ma proprio ieri lo stesso Thomas diceva, dopo aver ascoltato quello che Obama desiderava che Filippine e AEAN ascoltassero “Vogliamo assicurarvi che tutti noi negli USA siamo con le Filippine. Le Filippine e gli USA sono alleati di trattati strategici. Siamo dei partner. Continueremo a consultarci e a lavorare su tutte le questioni comprese i Mari Filippini Occidentali e le isole Spratley.” L’ambasciatore ha usato chiaramente il nuovo termine del governo filippino per i mari cinesi meridionali.
Gli alleati dell’amministrazione Aquino subito si sono detti d’accordo con le prime parole di Thomas. Il presidente del Senato Enrile, conoscendo benissimo il MDT da luminario della legge e già segretario della difesa, ha dichiarato che le Filippine non avrebbero potuto invocare il trattato nelle Spratlys, mentre altri come i senatori Drilon e Escudero ,che di solito sostengono la presidenza, hanno avuto qualche parola dura nei confronti del portavoce del presidente per aver parlato continuamente dell’appoggio americano.
Se il messaggio non fosse chiaro abbastanza, si ascolti Chito Romana, capo della ABC americana a Pechino dove era scappato insieme ad altri attivisti alla legge marziale filippina nel 1972. In un forum sosteneva che la Cina non sarebbe indietreggiata nei Mari Cinesi Meridionali e che Washington valutava con maggior attenzione i legami con Pechino piuttosto che Manila. A parte i centinaia di miliardi di dollari nel commercio e negli investimenti tra America e Cina, tra i quali mille miliardi di dollari nelle riserve cinesi di moneta estera, Washington ha bisogno della cooperazione di Pechino per affrontare una moltitudine di problemi globali e regionali.
Ma queste considerazioni non devono entrare in contraddizione con la nuova politica americana e mostrare ai vecchi amici che ora s possono fidarsi. In un mondo multi polare gli USA che vogliono continuare ad essere la forza più grande in Asia, devono provare alle Filippine e agli altri membri dell’ASEAN che è ancora più vantaggioso per loro essere “amici strategici degli USA del non esserlo”
Siamo perciò lasciati solo in queste acque sempre più turbolente dei cosiddetti Mari Filippini occidentali? Forse no dopotutto. Ma è complicato
Gli Usa ripetono con insistenza che vogliono la libertà di navigazione nei mari cinesi meridionali ed a farlo è stato il segretario di stato Hillary Clinton che, lo scorso anno, ha ripetuto che gli USA vogliono i passaggi di mare aperti. Una grande ragione: mantenere inalterati il flusso di petrolio del medio oriente verso i principali alleati, Giappone e Corea del Sud. Se quindi le navi cinesi cominciassero a fermare, abbordare o interferire con la navigazione sul mare aperto, la settima flotta di base alle Hawaii interverrebbe.
E delle Spratlys? Gli USA hanno richiesto autocontrollo nelle isolette e nelle acque della contesa, invitando a completare la Dichiarazione di Condotta delle Parti nei mari cinesi meridionali, DOC che afferma la libertà di navigazione e sorvolo e adotta misure per il mantenimento della pace e per evitare provocazioni. Queste misure includono la limitazione dello spiegamento di forze militari e infrastrutture nelle aree di disputa.
L’ASEAN e la Cina hanno tenuto vari colloqui in vista di un codice di condotta, ma Pechino si oppone ad ogni coinvolgimento americano in merito. Se si raggiungesse l’accordo, sarebbe un buon aiuto a stabilizzare l’area, benché rimangano le preoccupazioni che la Cina potrebbe ancora violare l’accordo, come forse già fatto con la costruzione di infrastrutture e dispiego di forze militari negli anni recenti nel mar cinese meridionale.
Se la Cina decidesse di non partecipare, l’ASEAN potrebbe adottare il codice come suo e tener conto dell’appoggio americano. Washington sostiene già l’attuale non vincolante DOC e quindi entra nella sua visione politica un accordo vincolante. Inoltre un codice di condotta che eviti il conflitto e che costruisca una fiducia reciproca sarebbe in linea con la spinta americana alla creazione di una “architettura regionale” di istituzioni e accordi per affrontare le dispute e i problemi in Asia.
Il grande punto di ostacolo, naturalmente, è l’opposizione cinese al coinvolgimento americano nei mari cinesi meridionali o in altre vicende tra essa stessa e l’ASEAN. Se Washington non sostiene l’ASEAN nel codice, porrebbe qualche dubbio non solo sull’iniziativa di architettura regionale, ma forse sulle alleanze di sicurezza con le nazioni del Sudest Asiatico e condurle a sottomettersi a Pechino e cadere sotto la sua egemonia. xxx
La stessa perdita di fiducia nell’America accadrebbe se le Filippine fossero lasciate da sole nel conflitto delle Spratlys, che potrebbe essere parte della strategia cinese nell’attuale battibecco con le Filippine. Infatti Pechino cominciò a testare il polso americano sulla questione dei Mari Cinesi Meridionali nel 2009 quando navi della marina militare cinese incrociarono in acque internazionali a largo dell’isola di Heinan una nave di ricerca civile USA.
La posizione più positiva cinese coincide con la nascita di fiducia da quando le Olimpiadi di Pechino hanno sancito la sua statura internazionale, e la crisi economica e la recessione globale dl 2009 hanno tagliato l’influenza occidentale. Nel punto più alto della caduta finanziaria americana, il segretario al tesoro americano Timothy Geithner dovette convincere Pechino a non perdere la fiducia nel dollaro e a non scaricare il prestito americano. Ci furono simili scene la scorsa settimana quando le agenzie di credito avvisarono che il debito USA potrebbe essere abbassato di grado se non ci fosse un progresso significativo nell’affrontare il suo gigantesco debito.
Eviteranno gli USA un confronto con la Cina nelle Spratlys per paura di rivincite economiche? Pechino starebbe attenta a non far così o a dire cose che potrebbero portare alla vendita massiccia di dollari. Non solo avrebbe come conseguenza una diminuzione delle proprie riserve internazionali, ma anche danneggerebbe la sua economia legata alle esportazioni, soprattutto se la sua moneta salisse notevolmente di valore col collasso della moneta verde, e se il mercato americano, il più vasto mercato di esportazione per la Cina, crollasse in un’altra recessione. E naturalmente ogni azione sgradevole avvelenerebbe le relazioni e degraderebbe gli scambi economici con gli USA e anche con molte nazioni asiatiche.
Ancora gli USA non possono attendersi una mano da Pechino su le questioni finanziarie mentre si rischia un confronto militare con le sue forze armate nei mari cinesi meridionali. Nel frattempo, l’Asia vedrebbe quanto gli USA siano affidabili come alleati durante il tempo del pranzo. Quindi gli USA, come qualunque altra parte nella contesa delle Spratlys, deve giocare le proprie carte con attenzione per evitare una scalata di tensioni non voluta e un indurimento delle posizioni.
Questo potrebbe incoraggiare la Cina ad affermare ancor di più la propria posizione aumentando il proprio vantaggio nell’area della disputa specialmente prima che il codice di condotta vincolante metta al bando, con fermezza, altre infrastrutture e forze militari nel mare cinese meridionale. Pechino potrebbe anche essere spinta a mosse aggressive dall’amministrazione Aquino che si è mostrata senza esperienza nei momenti di crisi e maldestra nelle sue azioni diplomatiche.
Osa dovrebbero fare allora le Filippine? Prima cosa, chiedere consiglio ai suoi stagionati esperti di sicurezza regionale e aiuto a gestire la situazione cangiante e potenzialmente esplosiva delle Spratlys, come il senatore Enrile, il deputato Roilo Golez già consigliere della Sicurezza Nazionale, e anche l’ex presidente, segretario della difesa Fidel Ramos. Anche meglio si potrebbe disegnare una strategia completa e affermarla nel Consiglio di Sicurezza Nazionale.
Parte di quella strategia dovrebbe essere un programma di medio termine per innalzare la difesa verso l’esterno, che dovrebbe essere fondata non solo per sffermare la prorpia sovranità, ma anche per proteggere il nostro patrimonio e diritti economici dentro la nostra zona di interesse economico esclusivo ora reclamata dalla Cina. I risparmi fino all’osso sulla difesa sarebbero annullati dalle perdite derivanti dall’incapacità di gestire le risorse sottomarine a causa delle intimidazioni cinesi contro i nostri vascelli di esplorazione. E nonostante non sia cosa accetta da molti, si dovrebbero prendere in considerazione delle cooperazioni militari più strette con gli USA compresi alcuni accordi sulle basi.
In ultimo, dobbiamo unirci con i nostri alleati nell’ASEAN e nell’Asia, più gli USA, per spingere la Cina a fare degli accordi sul codice di condotta e ad applicarlo. Consultiamoli anche nell’affrontare le questioni correnti nel mare aperto. I cinesi hanno sempre affermato di voler fare accordi con i pretendenti nelle Spratlys uno ad uno: non concediamo a Pechino questo vantaggio.
LE Spratley e le Filippine Come è successo che la vicenda delle Spratley tra la Cina e le Filippine si è presto infiammata? Un anno fa, le relazioni tra i due paesi erano sgombre da nubi, e la controversia 2007-08 NBN-ZTE (sulle isole Spratly) fu l’unico motivo di frizione recente. Dopo le scuse del senatore Miriam Defensor-Santiago, per il suo intervento poco contenuto sulla corruzione cinese, Pechino mise da parte il problema come manifestazione della nostra forte politica democratica e lasciò andare. Ora mezzi navali ed aerei filippini e cinesi hanno incrementato la loro presenza nelle aree in questione, entrambe le nazioni hanno reiterato le loro pretese territoriali e proclamato avvisi contro ogni violazione ed incursione. Quest’anno le Filippine hanno denunciato almeno sette incidenti che la Cina ha rigettato come chiacchiere infondate, inviando tre proteste diplomatiche per tre di quelle. Quali sono le forze al lavoro dietro queste frizioni sempre più intense, e come possono le forze rivali e le altre potenze interessate gestire la situazione per allontanarsi dal conflitto? Per le Filippine, in particolare, il confronto nel Mare Cinese Meridionale farà avvicinare la nazione agli USA? E se noi corriamo da Washington, si ergerà in difesa delle nostre richieste territoriali contro Pechino? Per fortuna lo scenario di guerra non è quello probabile ora: non ci si attende alcuna ostilità tra Cina e Filippine e ci sono alcune dichiarazioni distensive da entrambe le parti, tra le quali l’invito al dialogo da parte del Presidente Aquino e la dichiarazione congiunta dei ministri della difesa che invita alla moderazione. Ancora, i rappresentanti ufficiali filippini stanno affrontando la questione come una minaccia alla sicurezza nazionale e alla pace nella regione, e si sono espressi in questo senso al Forum Regionale dell’ASEAN del 3 giugno a Singapore. Anche Hanoi ha criticato le mosse di Pechino. Infatti, le frizioni sino vietnamite e gli incidenti scoppiarono nel 2009, allorché Hanoi protestò con la Cina per la creazione di entità locali di governo per le contese isole Paracelso. La scorsa settimana la Cina accusò il Vietnam e le Filippine di violare la sua sovranità e protestò per le ricerche sismiche sottomarine per la ricerca del petrolio, autorizzate da entrambe le nazioni nelle Zone di Interesse Economico Esclusivo (EEZ). Mentre Manila dava una risposta moderata, Hanoi ha annunciato, per questa settimana, delle esercitazioni navali con munizioni. Forse anche più preoccupante per la Cina, era l’annuncio del Vietnam e degli USA, lo scorso agosto, di aver innalzato il livello degli ufficiali negli incontri che riguardavano la difesa. Le stesse Filippine sembrano intente a giocare la carta USA. Il generale Oban ha intenzione di portare la questione del Mare Cinese Meridionale nei suoi colloqui con il Comando Americano del Pacifico ad Agosto nelle Hawaii. Il portavoce presidenziale Abigail Valte ammetteva di dover ancora leggere il trattato di mutua difesa tra USA e Filippine (MDT), ma era sicura che gli USA sarebbero venuti in soccorso della nazione in caso di guerra. Secondo il MDT ogni attacco al territorio o alle forze armate delle Filippine o degli USA nel Pacifico provocherà l’intervento dell’altra nazione per “agire per affrontare i pericoli comuni in accordo con i processi costituzionali propri”. Questo vuol dire che il presidente Filippino o Americano e il comandante in capo decideranno se ordinare alle forze nazionali di aiutare la nazione attaccata. Inoltre il Congresso nella nazione che porge aiuto considererà se dichiarare guerra contro la potenza che attacca. Ma gli USA vorranno andare in guerra contro una delle armate più potenti dell’Asia, con le testate nucleari puntate sul continente americano, per aiutare le Filippine nella loro pretesa su delle isolette e sulle acque circostanti nel “Mare Filippino Occidentale”, il nuovo nome coniato dal governo per il Mare Cinese Meridionale? Anche i Giapponesi hanno un loro MDT con gli USA: metteranno gli USA a rischio Los Angeles per rivalersi di un attacco su Tokyo? Finora, nelle attuali tensioni Washington si è unita al coro dei governi che invitavano ad usare i metodi pacifici per risolvere le divergenze. Sabato scorso il portavoce dell’ambasciata americana diceva: “Gli Usa non prendono parte a dispute regionali”. Al contempo, gli USA hanno chiesto una navigazione senza restrizioni nei mari cinesi meridionali, oltre ad aver spinto, lo scorso anno, alla creazione di una “architettura regionale” di istituzioni per affrontare le preoccupazioni e le discordie internazionali.
Darà seguito Zio Sam a quello che dice col rischio di fare arrabbiare Pechino? Più in là esamineremo il bilancio sino americano tra potenza e denaro e come questo possa limitare l’influenza di Washington nei Mari Cinesi Meridionali.
Non avendo le Filippine alcuna possibilità militare di contrastare la presenza cinese nelle Spratly, la presidenza, qualche giorno fa, si è lasciata andare a qualche affermazione speranzosa per cui gli USA giungerebbero in aiuto del paese in forza del MDT in caso di conflitto.
L’ambasciatore USA Harry Thomas Jr, alle domande dei media, rispondeva con le affermazioni del dipartimento di stato USA per cui non avrebbero preso parte a dispute territoriali. Ma proprio ieri lo stesso Thomas diceva, dopo aver ascoltato quello che Obama desiderava che Filippine e AEAN ascoltassero
“Vogliamo assicurarvi che tutti noi negli USA siamo con le Filippine. Le Filippine e gli USA sono alleati di trattati strategici. Siamo dei partner. Continueremo a consultarci e a lavorare su tutte le questioni comprese i Mari Filippini Occidentali e le isole Spratley.”
L’ambasciatore ha usato chiaramente il nuovo termine del governo filippino per i mari cinesi meridionali. Gli alleati dell’amministrazione Aquino subito si sono detti d’accordo con le prime parole di Thomas.
Il presidente del Senato Enrile, conoscendo benissimo il MDT da luminario della legge e già segretario della difesa, ha dichiarato che le Filippine non avrebbero potuto invocare il trattato nelle Spratlys, mentre altri come i senatori Drilon e Escudero ,che di solito sostengono la presidenza, hanno avuto qualche parola dura nei confronti del portavoce del presidente per aver parlato continuamente dell’appoggio americano.
Se il messaggio non fosse chiaro abbastanza, si ascolti Chito Romana, capo della ABC americana a Pechino dove era scappato insieme ad altri attivisti alla legge marziale filippina nel 1972. In un forum sosteneva che la Cina non sarebbe indietreggiata nei Mari Cinesi Meridionali e che Washington valutava con maggior attenzione i legami con Pechino piuttosto che Manila.
A parte i centinaia di miliardi di dollari nel commercio e negli investimenti tra America e Cina, tra i quali mille miliardi di dollari nelle riserve cinesi di moneta estera, Washington ha bisogno della cooperazione di Pechino per affrontare una moltitudine di problemi globali e regionali.
Ma queste considerazioni non devono entrare in contraddizione con la nuova politica americana e mostrare ai vecchi amici che ora s possono fidarsi. In un mondo multi polare gli USA che vogliono continuare ad essere la forza più grande in Asia, devono provare alle Filippine e agli altri membri dell’ASEAN che è ancora più vantaggioso per loro essere “amici strategici degli USA del non esserlo”
Siamo perciò lasciati soli in queste acque sempre più turbolente dei cosiddetti Mari Filippini occidentali? Forse no dopotutto. Ma è complicato.
Gli Usa ripetono con insistenza che vogliono la libertà di navigazione nei mari cinesi meridionali ed a farlo è stato il segretario di stato Hillary Clinton che, lo scorso anno, ha ripetuto che gli USA vogliono i passaggi di mare aperti.
Una grande ragione: mantenere inalterati il flusso di petrolio del medio oriente verso i principali alleati, Giappone e Corea del Sud. Se quindi le navi cinesi cominciassero a fermare, abbordare o interferire con la navigazione sul mare aperto, la settima flotta di base alle Hawaii interverrebbe.
E delle Spratlys? Gli USA hanno richiesto autocontrollo nelle isolette e nelle acque della contesa, invitando a completare la Dichiarazione di Condotta delle Parti nei mari cinesi meridionali, DOC che afferma la libertà di navigazione e sorvolo e adotta misure per il mantenimento della pace e per evitare provocazioni.
Queste misure includono la limitazione dello spiegamento di forze militari e infrastrutture nelle aree di disputa. L’ASEAN e la Cina hanno tenuto vari colloqui in vista di un codice di condotta, ma Pechino si oppone ad ogni coinvolgimento americano in merito.
Se si raggiungesse l’accordo, sarebbe un buon aiuto a stabilizzare l’area, benché rimangano le preoccupazioni che la Cina potrebbe ancora violare l’accordo, come forse già fatto con la costruzione di infrastrutture e dispiego di forze militari negli anni recenti nel mar cinese meridionale.
Se la Cina decidesse di non partecipare, l’ASEAN potrebbe adottare il codice come suo e tener conto dell’appoggio americano. Washington sostiene già l’attuale non vincolante DOC e quindi entra nella sua visione politica un accordo vincolante. Inoltre un codice di condotta che eviti il conflitto e che costruisca una fiducia reciproca sarebbe in linea con la spinta americana alla creazione di una “architettura regionale” di istituzioni e accordi per affrontare le dispute e i problemi in Asia.
Il grande punto di ostacolo, naturalmente, è l’opposizione cinese al coinvolgimento americano nei mari cinesi meridionali o in altre vicende tra essa stessa e l’ASEAN.
Se Washington non sostiene l’ASEAN nel codice, porrebbe qualche dubbio non solo sull’iniziativa di architettura regionale, ma forse sulle alleanze di sicurezza con le nazioni del Sudest Asiatico e condurle a sottomettersi a Pechino e cadere sotto la sua egemonia.
La stessa perdita di fiducia nell’America accadrebbe se le Filippine fossero lasciate da sole nel conflitto delle Spratlys, che potrebbe essere parte della strategia cinese nell’attuale battibecco con le Filippine. Infatti Pechino cominciò a testare il polso americano sulla questione del Mare Cinese Meridionale nel 2009 quando navi della marina militare cinese incrociarono in acque internazionali a largo dell’isola di Heinan una nave di ricerca civile USA.
La posizione più positiva cinese coincide con la nascita di fiducia da quando le Olimpiadi di Pechino hanno sancito la sua statura internazionale, e la crisi economica e la recessione globale dl 2009 hanno tagliato l’influenza occidentale. Nel punto più alto della caduta finanziaria americana, il segretario al tesoro americano Timothy Geithner dovette convincere Pechino a non perdere la fiducia nel dollaro e a non scaricare il prestito americano.
Ci furono simili scene la scorsa settimana quando le agenzie di credito avvisarono che il debito USA potrebbe essere abbassato di grado se non ci fosse un progresso significativo nell’affrontare il suo gigantesco debito.
Eviteranno gli USA un confronto con la Cina nelle Spratly per paura di rivincite economiche?
Pechino starebbe attenta a non far così o a dire cose che potrebbero portare alla vendita massiccia di dollari. Non solo avrebbe come conseguenza una diminuzione delle proprie riserve internazionali, ma anche danneggerebbe la sua economia legata alle esportazioni, soprattutto se la sua moneta salisse notevolmente di valore col collasso della moneta verde, e se il mercato americano, il più vasto mercato di esportazione per la Cina, crollasse in un’altra recessione.
E naturalmente ogni azione sgradevole avvelenerebbe le relazioni e degraderebbe gli scambi economici con gli USA e anche con molte nazioni asiatiche. Ancora gli USA non possono attendersi una mano da Pechino su le questioni finanziarie mentre si rischia un confronto militare con le sue forze armate nei mari cinesi meridionali.
Nel frattempo, l’Asia vedrebbe quanto gli USA siano affidabili come alleati durante il tempo del pranzo. Quindi gli USA, come qualunque altra parte nella contesa delle Spratlys, deve giocare le proprie carte con attenzione per evitare una scalata di tensioni non voluta e un indurimento delle posizioni.
Questo potrebbe incoraggiare la Cina ad affermare ancor di più la propria posizione aumentando il proprio vantaggio nell’area della disputa specialmente prima che il codice di condotta vincolante metta al bando, con fermezza, altre infrastrutture e forze militari nel mare cinese meridionale. Pechino potrebbe anche essere spinta a mosse aggressive dall’amministrazione Aquino che si è mostrata senza esperienza nei momenti di crisi e maldestra nelle sue azioni diplomatiche.
Osa dovrebbero fare allora le Filippine? Prima cosa, chiedere consiglio ai suoi stagionati esperti di sicurezza regionale e aiuto a gestire la situazione cangiante e potenzialmente esplosiva delle Spratlys, come il senatore Enrile, il deputato Roilo Golez già consigliere della Sicurezza Nazionale, e anche l’ex presidente, segretario della difesa Fidel Ramos.
Anche meglio si potrebbe disegnare una strategia completa e affermarla nel Consiglio di Sicurezza Nazionale. Parte di quella strategia dovrebbe essere un programma di medio termine per innalzare la difesa verso l’esterno, che dovrebbe essere fondata non solo per affermare la propria sovranità, ma anche per proteggere il nostro patrimonio e diritti economici dentro la nostra zona di interesse economico esclusivo ora reclamata dalla Cina.
I risparmi fino all’osso sulla difesa sarebbero annullati dalle perdite derivanti dall’incapacità di gestire le risorse sottomarine a causa delle intimidazioni cinesi contro i nostri vascelli di esplorazione.
E nonostante non sia cosa accetta da molti, si dovrebbero prendere in considerazione delle cooperazioni militari più strette con gli USA compresi alcuni accordi sulle basi. In ultimo, dobbiamo unirci con i nostri alleati nell’ASEAN e nell’Asia, più gli USA, per spingere la Cina a fare degli accordi sul codice di condotta e ad applicarlo.
Consultiamoli anche nell’affrontare le questioni correnti nel mare aperto. I cinesi hanno sempre affermato di voler fare accordi con i pretendenti nelle Spratlys uno ad uno: non concediamo a Pechino questo vantaggio.
Ricardo Saludo The Manila Times