Le Filippine sono in pericolo di riprendersi la vecchia definizione di Malato dell’Asia dopo oltre un decennio di crescita vertiginosa perché la gestione draconiana del COVID19 di Rodrigo Duterte ha il suo peso.
Secondo le ultime statistiche pubblicate dall’ente statistico nazionale PSA ed altre fonti il PIL del terzo trimestre si è contratto del 11,5% dopo una contrazione del 16,5% del secondo trimestre.
Il PIL del terzo trimestre ha fatto peggio di tutti i vicini della regione compreso la Cina che è cresciuta del 4,9% oltre Taiwan, Vietnam, Indonesia e Singapore, paesi che ad eccezione dell’Indonesia, hanno fatto passi significativi nel controllare il virus.
Secondo la Banca Mondiale la crescita economica reale è stata incrinata dalla gestione draconiana della epidemia di COVID-19 e dalle ferme misure di quarantena imposte sulle Filippine.
“La crescita è prevista contrarsi nel 2020 a causa dei significativi declini nel consumo e nella crescita degli investimenti, ed è esacerbata dal netto rallentamento delle esportazioni, del turismo e delle rimesse”
Al pari della sua sanguinosa guerra alla droga, che ha fatto 6000 vittime stimate a causa degli omicidi da parte di polizia e gang di vigilanti contro i presunti tossicomani, Duterte decise di risolvere la crisi del COVID-19 del paese con la forza bruta. Sebbene il primo caso si fosse presentato a gennaio con l’arrivo di turisti cinesi, la risposta delle Filippine non iniziò se non a marzo con la conferma della prima trasmissione locale del virus.
La risposta è gestita essenzialmente da generali e burocrati piuttosto che da professionisti sanitari, dicono i critici. Il ministro della sanità Francisco Duque III è molto criticato come incompetente ed amico di Duterte sebbene il presidente continui a difenderlo.
Eppure il vecchio Duterte resta molto popolare e risuona molto la sua immagine di uomo duro nella popolazione più povera. La repressione che continua sotto varie forme è stata descritta come il regime più duro di quarantena in Asia e quasi certamente al mondo prima di essere ridotta dopo 88 giorni all’inizio dell’anno. I manifestanti contro la perdita di lavoro e scarsezza di alimenti, ed occasionalmente persino bevitori illegali di birra, sono stati arrestati. Duterte ha detto notoriamente alla polizia di sparare chi violava la quarantena.
I capitani dei Barangay, che sono coloro che dirigono la più piccola divisione amministrativa del paese, hanno ricevuto poteri straordinari di chiudere le loro comunità ed i cittadini non potevano attraversare i confini del barangay. Si sono fermati tutti i trasporti. Scuole ed istituti pubblici restano ancora chiusi oggi. Il caotico traffico del paese improvvisamente è diventato gestibile perché c’erano così pochi veicoli per strada.
Inoltre il presidente è stato accusato di usare la pandemia per espandere i propri poteri in aree che non centrano col virus, creando una misura contro il terrorismo dalla portata enorme che è stata approvata da un parlamento supino con la quale si dà potere alle autorità di fare arresti senza mandato e detenzione indefinita.
Questa legge permette, tra i tanti abusi, di condurre una diffusa sorveglianza, espande la definizione di terrorismo e mira i critici che attaccano il governo online.
Duterte è riuscito a togliere la licenza di trasmissione alla rete dei media ABS-CBN, la maggiore e più popolare del paese, perché lo avrebbe offeso.
Nonostante le sue misure draconiane i rappresentanti della sanità non sono riusciti ad applicare ciò che si considera l’arma più efficace contro il virus, test diffusi e tracciamento.
Di conseguenza il virus ha circolato liberamente nonostante gli sforzi delle autorità per circoscriverlo. Con i suoi 402mila casi ed oltre 7700 morti le Filippine sono il secondo paese per numero di infezioni nel Sudestasiatico dopo l’Indonesia che è il doppio delle Filippine.
Ad agosto, le autorità filippine facevano appena 14736 test per milione di abitanti quando il minimo sarebbe stato 250mila. Anche oggi le Filippine fanno 46 mila test per milioni di abitanti.
Il presidente dell’Associazione dei Medici Filippini, Jose Santiago disse ad una conferenza su web ad agosto che il paese deve ridefinire urgentemente le strategie di controllo della pandemia affrontando l’efficienza dei lavoratori della sanità, la crisi del rintraccio dei casi e dell’isolamento, il fallimento del tracciamento e della quarantena.
Il risultato è che la repressione ha devastato l’economia mentre non è stata ottimale contro il virus.
Dopo aver avuto una crescita media del 6.4% nel decennio 2010-2019 secondo la Banca Mondiale, il consenso sulle proiezioni del 2020 è di una contrazione del 7,5%. Sebbene alcune previsioni predicono una crescita del 7% nel 2021, sembra improbabile al momento, date le minori aspettative globali per la crescita delle esportazioni a causa della pandemia che sconvolge le economie Europea ed americana.
Secondo PSA, il commercio estero è caduto del 9,2% a settembre su base annua mentre la bilancia commerciale mostra un deficit di 1,71 miliardi di dollari, una contrazione del 49% rispetto a settembre 2019 mentre la domanda dei consumatori è caduta nettamente. Le importazioni sono cadute del 16,50% a 7,92 miliardi di dollari sebbene le esportazioni siano cresciute in modo anemico del 2,2% a 6,22 miliardi US$. Sono cresciute del 2,6% e 2,4% su base annua le importazioni di prodotti di telecomunicazioni ed equipaggiamento elettrico ed elettronico.
Le entrate dal settore vitale del Outsourcing, dove lavorano 1,15 milioni di persone ed è uno dei due maggiori settori di entrata di valuta pregiata insieme alle rimesse degli emigrati, sono cadute di 2,49 miliardi di US$ su base annua secondo l’associazione filippina di categoria. Il 95% di tutti gli impiegati del settore lavorano da casa, accrescendo i costi dei servizi di spostamento e quanto richiesto per lavorare da casa, con un effetto deleterio sul trasporto e le altre industrie.
Le rimesse degli oltre 10 milioni di emigrati della diaspora filippina sono scese di un modesto 2,2% sebbene siano scesi su base annua del 4,2% ad agosto, secondo un rapporto del 15 ottobre della Banca Centrale Filippina.
Le rimesse degli emigrati che costituiscono il 10% della popolazione sono la seconda fonte di entrata di moneta pregiata e danno un sostegno enorme all’economia perché sono mandati a sostenere le famiglie filippine, per cui il loro sostegno o meno è immediato.
I 230 mila filippini che lavorano sulle navi di linea e di trasporto hanno visto quasi del tutto sparire la loro fonte di guadagni.
Come conseguenza dei problemi di budget, il governo pensa di chiedere in prestito 62,30 miliardi di US$ quest’anno ed altri 62,30 il prossimo anno di fronte ad una previsione del deficit del 2020 del 9,6% dopo aver chiesto 60 miliardi di dollari di prestito, portando il debito ad un livello gestibile di 190 miliardi di dollari alla fine di settembre. La Banca di Sviluppo asiatica ha dato 2,3 miliardi di dollari in prestiti compresi la protezione sociale e sostegno al reddito e ad una maggiore risposta sanitaria del governo.