Il gigante dei media sociali complice capriccioso del governo vietnamita

I politici vietnamiti hanno molto per cui vantarsi di quanto conseguito, particolarmente quando provano ad abbellire i propri meriti davanti ai capi di stato del mondo. Ma c’è uno di questi argomenti che ispirano stupore e forse anche invidia dai legislatori a Capitol Hill: la capacità di costringere i giganti tecnologici USA, ed in primo luogo Facebook, ad adattarsi alle regole loro.

Nel parlamento vietnamita ad agosto 2019, il ministro dell’informazione Nguyen Manh Hung disse che Facebook stava restringendo l’accesso a “quantitativi crescenti” di contenuti in Vietnam. Hung aggiunse che il gigante dei media sociali soddisfa a qualcosa tra il 70 e il 75% delle richieste di restrizione prodotte dal governo vietnamita rispetto al 30% precedente.

gigante dei media sociali
Photo by Reuters/Regis Duvignau

Da notare che Facebook ha confermato che il quantitativo di contenuti a cui è stato ristretto l’accesso in Vietnam ha fatto un balzo del 500% nella seconda metà del 2018.

Una tale aderenza è diventata la norma piuttosto che l’eccezione negli anni passati.

La dirigenza vietnamita da decenni è attentissima su quello che essa percepiva come informazione tossica. Fu percepita come uno dei grandi ostacoli per l’arrivo del Vietnam sul palcoscenico mondiale negli anni 90. La definizione di informazione tossica si è solo allargata negli anni permettendo alle autorità di piegarla a loro volere.

Di recente le autorità vietnamita hanno ripetutamente battuto il tasto sulla minaccia posta dall’informazione tossica che sarebbe negativa per la propria reputazione e la sopravvivenza del regime. Ed in questo contesto il concetto di informazione tossica è stato usato fino alla noia come un pretesto per costringere i giganti della tecnologia a seguire la propria linea.

Dal 2017, i censori vietnamiti hanno spesso chiesto a Facebook di rimuovere e bloccare contenuti che avrebbero calunniato e diffamato i capi vietnamiti. Il governo invitava tutte le imprese che avevano affari in Vietnam a non pubblicizzarsi sulle piattaforme di Google, YouTube, Facebook ed altri media sociali finché tutte queste piattaforme non avessero trovato una soluzione all’informazione tossica antigovernativa.

Questa tattica pare abbia funzionato e Google e Facebook hanno pubblicamente riconosciuto di aver rimosso e segnalato video e post su richiesta del governo vietnamita.

In un’altra azione che indica come Facebook abbia accettato alle pressioni del governo vietnamita, solo lo scorso aprile, il gigante dei media sociali ha confermato di aver ristretto “l’accesso a contenuti che ha ritenuto illegali”, vale a dire articoli anti-stato.

Facebook e chi lo ha chiesto potrebbero dire che la rimozione di contenuti simili era dovuta alla necessità di rispondere al clamore sociale che le le industrie della tecnologia fossero più attive nel rimuovere la disinformazione. Il gigante è stato deciso nel respingere le accuse che la loro rimozione dei contenuti derivasse dalle pressioni politiche, afferrandosi invece ai suoi standard di comunità per giustificare tali rimozioni. Non è facile valutare se Facebook abbia eliminato contenuto politico che non si sarebbe dovuto togliere.

Ma in quello che apparve una mossa a sorpresa ad aprile 2018, una lettera aperta al fondatore di Facebook, firmata da 16 organizzazioni dei media e di militanti oltre a 34 utenti famosi di Facebook, accusava il gigante dei media sociali di sostenere la repressione vietnamita delle voci dissenzienti.

La lettera indicava precisamente la Forza 47 del Vietnam, una unità di guerra informatica nata agli inizi del 2016col compito di mantenere un ambiente virtuale salutare. La lettera definiva l’unità come trolli di stato che diffondono notizie false contro i militanti vietnamiti.

Nguyen Huy Kham / Reuters

In modo specifico la lettera indicava che Forza 47 faceva uso di falle nelle politiche della comunità di Facebook che permettono il ritiro automatico di contenuti se un numero sufficiente di persone denunciava dei profili di Facebook. In altre parole la lettera accusava che il governo, assumendo un numero alto di membri della Forza 47 per riportare profili a Facebook poteva aver preso di mira profili sospesi rimuovendo il contenuto di alcuni militanti.

Il modo di operare di Forza 47 è stato anche ribadito da uno studio di ricercatori della Oxford University secondo cui il Vietnam è tra i 70 paesi che hanno impiegato campagne di disinformazione in un quadro globale in cui molto governi hanno capitalizzato sulle piattaforme internet, come Facebook, per diffondere disinformazione, cercare di screditare oppositori politici, mettere al silenzio voti di dissidenti o persino immischiarsi in affari esteri.

Lo strumento e l’alleato più utile in questa campagna è stata la stessa Facebook.

Facebook non ha comunque sempre accontentato il governo vietnamita e non perché provasse a resistere alla pressione di reprimere la libertà di espressione, ma perché trae profitto da tutte le parti.

Nel 2018 il Vietnam si irritò col gestore della pubblicità di Facebook che definiva le isole del Mare Cinese Meridionali come cinesi, accendendo una diffusa reazione in un paese dove il sentimento anticinese è profondo nella popolazione. Facebook fu veloce ad ammettere di avere usato la mappa errata descrivendo la questione come un mero errore tecnico, cosa che parve fortemente improbabile.

Non avendo abbandonato la speranza di rientrare nel mercato cinese Facebook indica spesso la propria volontà a diventare uno strumento del governo cinese lì.

Di fronte alle pressioni sempre più forti delle autorità vietnamite insieme alla prospettiva di un mercato di 58 milioni di utenti, la natura commerciale di Facebook si è infine manifestata.

Nell’arrendersi alle richieste della censura vietnamita forse il gigante dei media sociali cerca di telegrafare un messaggio importante a Pechino: che vuole e può seguire la linea imposta dai governi autoritari. Che pone un’altra domanda: Mentre chiaramente cede alle pressioni dei paesi autoritari per sopravvivere come impresa, diventerà Facebook presto uno strumento dei potenti piuttosto che d coloro le cui voci furono soppresse?

Ci potrebbe essere qualche speranza di fermare il gigante dei media sociali.

La scorsa settimana uno sforzo globale per far pressione su Facebook affinché ponesse dei limiti ai discorsi di odio e alla disinformazione ha galvanizzato decine di marchi anche grandi a staccare la spina dalla piattaforma. E’ un momento che deve essere sostenuto perché colpisce davvero il gigante dei media sociali dove fa male, il portafogli.

Facebook si è unita anche a Google e Twitter a rifiutarsi temporaneamente a cooperare con le richieste di informazione sui profili da parte della polizia di Hong Kong in relazione alla legge di sicurezza nazionale imposta da Pechino. Facebook ha detto che avrebbe valutato la nuova legge prima di decidere come andare avanti ad Hong Kong.

“Crediamo che la libertà di espressione è un diritto umano fondamentale e sosteniamo il diritto della gente ad esprimersi senza paura per la loro salvezza o per altre ripercussioni” ha scritto Facebook sulla decisione di Hong Kong.

Appena recentemente Facebook ha finalmente onorato la sua promessa di istituire una commissione indipendente col compito di decidere su decisioni controverse di eliminare dei contenuti. Sebbene resti sempre la grande questione della sua efficacia, l’organizzazione potrebbe dare uno spazio ai militanti digitali, compreso quelli vietnamiti, per fare ascoltare la loro tesi.

Per ora il governo vietnamita è riuscito in qualche modo a cooptare Facebook e farla agire nei propri interessi. Ma alla fine il gigante dei media sociali resterà un complice capriccioso.

Dien Luong TheDiplomat. Twitter @DienLuong85.

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