Quando il primo ministro giapponese Shinzo Abe fece visita alla casa di famiglia di Rodrigo Duterte a Davao, ci fu qualcosa di più del condividere il durian a suggerire che la nuova radicale politica estera indipendente di Duterte stava dando i suoi frutti sperati.
Mentre i due presidenti si concedevano una giornata diplomatica rilassata, Abe in una polo bianca a maniche corte e Duterte in camicia di flanella e mocassini senza calze, e in varie occasioni fotografiche nelle quali Abe visitava la camera da letto di Duterte o chiamava un’aquila rara filippina “sakura” in onore ai famosi ciliegi in fiore giapponesi, gli osservatori diedero immediatamente un significato geopolitico a quello che sarebbe stato una questione di rilassatezza.
Il fatto che fece notizia fu il dono di commiato di Abe, una promessa di aiuto da 9 miliardi di dollari ed un’offerta di aiuto a Duterte nel suo marchio di fabbrica della guerra alla droga e al terrore.
Gran parte degli analisti vide questo come il riflesso della determinazione di Abe a far fronte alla recente generosità cinese che ad ottobre promise 15 miliardi di dollari in investimenti e a gennaio accettò di cooperare su 30 progetti del valore di 3,7 miliardi di dollari. Per chi sostiene Duterte, era la prova che la sua politica di allontanamento dagli USA verso le braccia cinesi e russe comincia a pagare.
Ma se la politica di Duterte, che alcuni vedono come lo sforzo delle Filippine di mettere due rivali l’un contro l’altro, ha guadagnato qualche primo dividendo, alcuni esperti avvisano sulla potenzialità sia di minare l’egemonia americana nella regione, sia di mettere in pericolo il controllo delle Filippine delle sue risorse naturali fino a minacciare la presa di Duterte sul potere.
Queste opinioni hanno avuto qualche verifica questa settimana, quando il ministro degli esteri filippino Perfecto Yasay ha scandito per la prima volta la politica del presidente Duterte sul Mare Cinese Meridionale nel dire ai legislatori: “La mia posizione, che è quella ufficiale, è che la parte in disputa del Mare Cinese Meridionale non è mai appartenuta a nessuno”.
Questa è una dipartita forte dalla precedente posizione del paese che lo vedeva assumere la sua lunga disputa conto le asserzioni territoriali cinesi nel mare in una corte dell’Arbitrato a L’Aia. La Corte decise in favore delle Filippine a Luglio e la chiara volontà di Duterte di rinunciare a quel vantaggio ha dato peso alle ipotesi che lui volesse mettere da parte i reclami di sovranità in cambio di rapporti con la Cina.
“E’ un gioco pericoloso questa politica di Duterte” dice lo storico americano Alfred McCoy il quale sostiene come, trovando un accordo con la Cina nel Mare Cinese meridionale, le Filippine rischiano di diventare una pedina della ramificata strategia cinese di dare “un colpo menomante alla potenza globale americana”
L’autore sostiene nel suo libro In the Shadows of the American Century: The Rise and Decline of US Global Power, che la Cina prova a rompere “Le linee americane di accerchiamento” che permettono a Washington di “dominare entrambe le estremità della massa continentale dell’Euroasia.” Queste linee includono la sua alleanza con i paesi della NATO ad occidente e gli alleati del pacifico ad Oriente che hanno permesso di istituire basi in paesi come Giappone, Corea del Sud e Filippine.
Un ramo della strategia cinese, secondo McCoy, è diventare l’epicentro di un vasto mercato euroasiatico attraverso gli sforzi come l’iniziativa commerciale “La nuova via della Seta” per legare le economie attraverso le infrastrutture.
L’altro ramo è di rompere l’accerchiamento americano con basi su isole costruite dall’uomo nel mare cinese meridionale ed un porto da 200 miliardi a Gwandar in Pakistan.
McCoy dice che Duterte rischia un golpe militare se baratta il sostegno finanziario cinese in cambio del silenzio sull’armamento cinese nelle vie d’acqua strategiche attraverso cui passa un terzo del commercio marittimo mondiale. “C’è la possibilità che, se Duterte si avvicina troppo alla Cina dandole acque territoriali nel Mare Cinese Meridionale, si potrebbe produrre una forte reazione nazionalista tra le fila dei militari” dice notando come i militari filippini abbiano goduto d relazioni strette con la controparte americana. “Questa è una delle vere minacce a cui si trova di fronte. Deve essere molto attento nel modo in cui tratta le forze armate.”
Persino senza un golpe, McCOy dice che allontanandosi dalla decisione della Corte dell’Arbitrato le Filippine rischiano di perdere un terzo del suo territorio in mare dove si trova “la zona più ricca di pesce al mondo” con un potenziale vasto di depositi di idrocarburi. “Cosa ne avrebbero loro in cambio? Prestiti a basso prezzo che dovranno essere ripagati. Finora è una cosa che non mi colpisce come un buon affare”
Mentre Cina e USA considerano fondamentali le proprie relazioni con le Filippine per le proprie ambizioni nel mare cinese meridionale, Duterte ha nelle mani una potente pedina di scambio che ha sempre mostrato di voler usare dalla decisione arbitrale.
Sin da allora ha accresciuto la sua retorica anti-americana mentre elogia il presidente cinese Xi Jinping ed va in estasi per il presidente russo Putin. Ha cancellato i pattugliamenti congiunti con gli USA ed attratto l’attenzione sulla postura da duro sulla sovranità. Di recente ha rimangiato la minaccia di andare nelle isole Scarborough Shoal con un jet ski ed erigere la bandiera filippina, affermando ad Al Jazeera che le sue parole erano “solo iperboli .. non vi potete attendere che ci vada. Non so neanche nuotare”.
Si è ritrovato persino ad impedire ai pescatori filippini di entrare nella barriera. Duterte dice che lo ha fatto per proteggere la barriera; gli scettici dicono che era un gesto per salvarsi la faccia perché la guardia costa cinese continuava a bloccare comunque i pescatori.
Certamente non è stato tutto secondo i voleri della Cina. Come a voler dimostrare l’indipendenza della politica estera di Manila, il ministro Yasay annunciava il 16 gennaio di aver consegnato alla Cina una “nota verbale”, quasi un atto di protesta, per aver installato i missili antiaerei e antimissile sulle isole artificiali dentro la zona economica esclusiva filippina.
Anche così, solo due settimane dopo, il 31 gennaio Duterte invitò ad ulteriori intrusioni nelle acque filippine. Informalmente disse ai generali durante una cerimonia di giuramento per i promossi che “per inciso ho chiesto alla Cina di aiutarci” a combattere la pirateria e il terrorismo nelle acque di Mindanao e lo stretto di Malacca.
Un tale invito in cui Duterte aveva detto alla Cina di inviare i suoi mezzi della guardia costiera per “pattugliare come hanno fatto in Somalia” non ha precedenti per un presidente filippino.
Per quanto poco convenzionali le mosse di Duterte hanno trovato sostenitori persino tra i militari. Il generale in pensione Victor Corpus, ex capo dell’intelligence militare, ha detto di sostenere l’idea mettendo da parte la disputa del mare e le questioni di sovranità “per il resto del secolo” senza però abbandonare le proprie pretese.
In cambio la Cina dovrebbe fare delle Filippine “Il centro Più orientale della via della Seta” che permetterebbe a Pechino di estendersi fino all’Australia, Nuova Zelanda e il Messico.
Corpus ha detto che le posizioni cinesi in mare sono misure difensive contro gli attacchi dei sommergibili americani che, altrimenti, avrebbero potuto sfruttare la fossa oceanica di Manila, vicino alla ex base navale di Subic, la cui profondità permette “una via furtiva di approccio”.
E’ anche possibile che si esageri da parte degli osservatori la funzione pro-cinese di Duterte. A novembre il suo nuovo ambasciatore in Cina fece di tutto per sottolineare in una conferenza a Manila che “lo sforzo della politica estera filippina è passare essenzialmente da uno stretto allineamento con gli USA contro la Cina ad una ricerca di legami migliori politici ed economici con il gigante, ma non una alleanza militare”.
“Sarà al massimo un’alleanza di commercio e scambio” ha detto l’ambasciatore Jose Santa Romana. “Quello che stiamo facendo non è un passare dalla parte della Cina ed un forte allineamento con la Cina, no. Perché siamo ancora alleati degli USA. Quello che facciamo è una separazione, un grado di separazione dagli USA e l’affermazione di una politica estera indipendente.”
Un fattore di riserva della politica di Duterte è il sospetto generale verso la Cina. Un’indagine di Pulse Asia del dicembre 2016 trovava che solo il 38% dei filippini si fida della Cina, mentre il 76% si fidava degli USA. Circa 84% era d’accordo sul fatto che “il governo filippino doveva affermare i propri diritti nel mare filippino occidentale come stipulato dalla Corte Permanente dell’Arbitrato”
Il docente filippino Randolph David dice che “persino se si mettono miliardi di dollari in aiuto infrastrutturale in questo paese non sarà facile per la Cina o per Duterte persuadere i filippini che la Cina non è una minaccia”.
“E’ un pregiudizio profondo che non cambierà in un momento” dice ed aggiunge che uno scandalo finanziario a carico della North Rail cinese per connettere Manila a Bulacan durante la presidenza della Arroyo aveva rinforzato l’idea secondo cui “non ci si può fidare dei cinesi”.
Per quanto riguarda i pescatori cacciati dalle loro tradizionali di pesca, “Come altro si potrebbe percepire la Cina se non come paese ostile da sempre una minaccia per la sicurezza di queste isole” chiede David.
Persino così, nonostante la goffaggine di Duterte con la Cina, David nota che è rimasto molto popolare. La ragione? “Non è tanto le questioni che sposa il presidente Duterte che lo rendono popolare. Lui è popolare… il mezzo coincide col messaggio qui”.
Il gruppo di esperti del Philippine BRICS Strategic Studies ha criticato il sondaggio di Pulse Asia come un caso di intervento pubblico da parte dell’ex ministro degli esteri Albert del Rosario il cui gruppo Stratbase lo aveva commissionato. Philippine BRICS ha invitato Duterte a restare sul percorso e ricercare legami culturali, economici, di commercio e turismo con a Cina mentre allo stesso tempo metteva da parte la questione del Mare Cinese Meridionale. Ha sottolineato i benefici come il salto in richieste di visto da parte della Cina da 400 a 1400 al giorno e il piano dell’ambasciatore cinese di attrarre un milione di turisti cinesi all’anno nelle Filippine dai 350 mila dell’anno prima. Nota che il commercio con la Cina era cresciuto dai 12 miliardi ai 20 miliardi all’anno e che li importatori cinesi avevano promesso di importare 100 mila tonnellate in più di frutta filippina del valore di 1 miliardo di dollari.
Alcuni uomini di affari come George Sy, che presiede l’Associazione dei giovani imprenditori cinesi filippini, si lamenta delle opportunità che Manila ha perso a causa della sua posizione filo americana. Un esempio è l’offerta di Pechino di ricercare il petrolio nel mare cinese meridionale durante l’amministrazione Aquino. Si disse che l’accordo fu rigettato per problemi di sovranità sebbene Sy sospetta che legami con gli USA ebbero il loro peso.
Questi intrighi comunque non sembrano preoccupare Duterte. Nella campagna elettorale di aprile, non solo disse di essere aperto ad esplorazioni congiunte, ma prometteva che “se la Cina costruisce un treno a Mindanao, un treno da Manila a Bicol … un treno a Batangas nei sei anni che sarò presidente, mi starò zitto” sulla questione delle dispute in mare.
La Cina corre a soddisfare la lista ambiziosa e costosa dei desideri che ora è costituita da 40 progetti infrastrutturali grandi e piccoli. Il tempo è essenziale, specie perché la politica di Duterte verso la Cina è un progetto suo personale. Come ha detto l’ambasciatore cinese in un forum: “Dobbiamo affrettarci. Bisogna farla durante la sua presidenza”.
Alleandosi con Cina e Russia Duterte usa il suo capitale politico per fare qualcosa che nessun altro capo filippino ha fatto, ma la sua popolarità forse ha dei limiti.
Ha alleati a sufficienza, almeno ora, in entrambe le camere del congresso se dovesse scegliere di cancellare l’accordo EDCA con gli USA. La la società civile e la comunità degli affari è molto divisa.
Ci sono altri scogli, non ultima la salute stessa del presidente, un’altra area dove forse ha una mano dalla Cina. L’ex senatore Francisco Tatad accese una questione nella stampa quando disse che Duterte era andato in Cina di nascosto al Fuda Cancer Hospital di Guangzhou. Ci volle un mese perché Duterte reagisse e lo fece insultando Tatad come un mostro sebbene non avesse negato di essere stato in Cina.
A febbraio Duterte ha detto: “Si è detto che sono andato in Cina per questioni di salute. Frustrato dico sì, sono andato in Cina. E’ vero. Mi sono ricoverato in ospedale. Mi hanno circonciso di nuovo”
Gli astanti risero. Ma un giorno prima che lo avesse detto, Duterte, che compirà 72 anni, ha detto di aver vissuto dei dolori di petto e che si era controllato il cuore. Il cardiologo disse che andava tutto bene. Forse è un gioco pericoloso che Duterte sta giocando ma almeno ha un certificato di buona salute.
Raissa Robles, SouthChinaMorningPost