Consideratela come una lettera aperta ai giornalisti thailandesi

E’ passato un anno da quando è disceso per le strade di Bangkok e del paese il movimento di riforma della monarchia thai guidata dagli studenti. Dopo un anno oltre 140 sono stati incriminati per lesa maestà o per aver diffamato la monarchia. La pena per questo reato giunge fino a 15 anni di carcere. Una mezza dozzina sono ora arrestati mentre scrivo questa lettera.
Ai giornalisti thailandesi, come anche ai corrispondenti esteri in Thailandia, la legge di lesa maestà continua ad essere il maggiore impedimento alla libertà di stampa.
Solo quei giornalisti thailandesi che sono in negazione cronica direbbero che si può riportare in modo critico l’istituzione monarchica in Thailandia nonostante la legge.
La norma è la censura e autocensura, combinate con la rinuncia o il silenzio per la paura delle ripercussioni o per scappatoia politica.
Mentre la stampa thai vedere sempre più persone essere portate lentamente in prigione a causa di questa legge, deve tenere a mente che noi da giornalisti, da organizzazione dei media e associazioni della stampa abbiamo un obbligo da onorare in questa continua repressione del diritto fondamentale di libertà di espressione.
Parit Penguin Chiwarak, capo della protesta dell’Università Thammasat, Jatupat Pai Dao Din Boonpattararaksa e Anon Nampa, tutti sono dietro le sbarre da quasi 80 giorni e sono state rigettate le loro richieste di libertà su cauzione.
La stampa potrebbe continuare ad osservare riportando semplicemente le notizie di altre azioni penali, dal momento che più giovani si assumono i rischi, sono portati in prigione e si vedono rigettate ripetutamente la richiesta di cauzione, senza che la stampa ponga domande su questa legge anacronistica. Questa posizione significa che la stampa thai continua ad essere parte del problema per la mancanza di coraggio e di impegno a favore di una maggiore libertà di espressione.
Significa che la maggioranza dei giovani militanti sente il bisogno di esprimersi pubblicamente per le strade o i media sociali, nonostante i rischi che corrono perché considerano la situazione attuale non solo anormale ma inaccettabile, intollerabile e antidemocratica.
La cosa minima che giornalisti thailandesi e associazioni dei media possano fare è di dirlo pubblicamente e dire che abbiamo bisogno di parlare della legge di lesa maestà e di fare qualcosa. Anche se loro non sostengono l’abolizione della legge, ci sono cose cruciali degne di essere riformate, quale la severità della legge che è spropositata, e non solo.
Invece di dire che questo non ci appartiene, la stampa thailandese può fare un salto di fede e dire che abbiamo bisogno almeno di una riforma affinché la stampa possa funzionare normalmente e liberamente invece di continuare ad essere, volente o nolente, una macchina di fatto da PR per l’istituzione monarchica, perché possono dare solo notizie positive e non notizie critiche a causa della legge draconiana.
Per coloro che negano ancora, si deve solo guardare il materiale video che il corrispondente della BBC per il Sudestasiatico Jonathan Head trasmise per voi. Ad ottobre 2016, durante le riprese in diretta di Jonathan Head della morte di Re Rama IX, gli fu chiesto dal giornalista di Londra cosa ne pensasse del successore, del principe ereditario Vajiralongkorn, ora re al trono come Rama X.
Head ricordò al giornalista di Londra della BBC, e agli ascoltatori nel mondo, che non era libero di fare critiche liberamente a causa della legge e del fatto che lui era in Thailandia.
Quando gli fu chiesto che tipo di re sarebbe stato Rama X, Head rispose molto concretamente:
“Non possiamo francamente, a causa della legge contro la diffamazione della monarchia, parlare in sicurezza della sua personalità”
Questa è la cosa migliore possa fare se ci si deve autocensurare. Far capire alla gente che ti stai censurando e perché lo fai. Molti giornalisti thai presero la strada più praticata dell’autocensura e del silenzio.
La legge di lesa maestà non riguarda solo i giovani che vogliono discutere criticamente la monarchia e riformare l’istituzione, ma anche sulla stampa che è incapace di fare un lavoro appropriato nel fornire un giornalismo critico su una delle più importanti istituzioni della società thai. E’ una cosa che è proseguita per fin troppo tempo a scapito della società thai e delle libertà fondamentali.

Ai giornalisti thai dico: se non ora quando? Quanti altri ancora devono essere portati in carcere o fuggire in esilio per sempre solo perché vogliono discutere criticamente della monarchia, una cosa libera in paesi come il regno unito o il Giappone.
Ora è il momento, la stampa thailandese in generale è già in ritardo di un anno almeno.
E’ tempo di farsi coraggio e dire pubblicamente che abbiamo bisogno di discutere pubblicamente la legge e allinearla ora con mondo che cambia. Ridurre la pena massima di prigione, impedire che una persona comune possa denunciare per lesa maestà ed aggiungere alla legge una postilla: se la critica alla monarchia è condotta negli interessi pubblici con buone intenzioni, non è un reato. Solo un esempio. Potrebbe essere un buon inizio ed un compromesso.
Se non avesse questo coraggio e continuasse nel silenzio e nella sua docilità, la stampa thai di certo sarà condannata dalla storia non solo perché è parte del problema ma per aver abbandonato il proprio dovere per mancanza di coraggio per lottare per i propri requisiti fondamentali della professione: libertà di stampa e onestà verso il pubblico.
Pravit Rojanaphruk, Prachatai