Amnesty International sembra avere i giorni contati in Thailandia per il presunto sostegno alle manifestazioni democratiche in Thailandia che chiedono un ridimensionamento della potente istituzione monarchica.
A spingere per l’espulsione di Amnesty International dalla Thailandia è il viceministro Seksakol Atthawong che avrebbe raccolto un milione di firme su una petizione che va in tal senso e che è pronto a sottoporre la richiesta al ministro degli interni e al Consiglio della Sicurezza Nazionale.
Un milione di firme sono tante, se sono vere, ma le manifestazioni pubbliche dei realisti thailandesi finora sembrano raccogliere neanche un centinaio di accoliti, mentre in un grande centro commerciale di Bangkok si è visto agire indisturbato un uomo che agitava un ritratto di Rama X in condizioni mentali disturbate.
Comunque il vice ministro Seksakol sostiene che Amnesty International ha cooperato con la folla che si batteva contro la costituzione della Thailandia sotto l’egida della monarchia.
La “folla” a cui si riferisce Saksakol è il movimento democratico guidato dai giovani che chiedeva nella seconda metà del 2019 a Prayuth di dimettersi e chiedeva una riforma dell’istituzione monarchica che ne riducesse l’influenza politica.
La presunta collaborazione di AI con la “folla” si sarebbe consumata dopo che la Corte Costituzionale Thailandese definì la richiesta dei dieci punti di riforma della monarchia un tentativo completo di rovesciare il sistema monarchico per instaurare la repubblica.
La monarchia thailandese è protetta da una legge di lesa maestà, articolo 112, che vieta l’oltraggio alla famiglia reale punendo con processi a porte chiuse e pene che vanno da 5 a 15 anni di carcere le singole accuse. Per oltraggio bisogna intendere ogni minimo intento di critica al re e alla famiglia reale.
Dal sito di AI si legge a proposito di quella sentenza:
“In risposta ad una sentenza della Corte Costituzionale Thai che definisce le richieste di riforma di tre importanti militanti delle manifestazioni di protesta del 2020 come tentativi di rovesciare la monarchia, Emerlynne Gil, vice direttore regionale di AI ha detto:
“Sebbene questa sentenza non comporti una pena o una multa le implicazioni incredibili rappresentano un avviso pericoloso per centinaia di migliaia di Thai che vogliono esprimere la loro opinione o la critica legittima di figure o istituzioni pubbliche, sia di persona che online. Potrebbe aprire la strada a gravi accuse contro i tre individui e molti altri con sentenze di prigione a vita o anche la pena di morte.
Se questa sentenza voleva instillare paura e impedire alla gente di discutere ancora queste questioni, allora ha avuto l’effetto contrario. Vediamo tantissimi hastag, tweet e altre manifestazioni sui media sociali appena dopo la sentenza. Oltre 200mila thai hanno firmato una petizione per abolire l’articolo 112 di lesa maestà dal codice penale thai.
E’ ironico che la decisione è uscita nello stesso giorno in cui la storia dei diritti della Thailandia era sotto osservazione della Rivisitazione Periodica Universale del UNHRC a Ginevra. Negli anni scorsi la Thailandia ha sempre rigettato le raccomandazioni fatte da altri paesi per abolire gli articoli di lesa maestà. Questo indica alla Comunità Internazionale che la Thailandia non ha alcuna intenzione di prendere misure che rendano le sue leggi adeguate alla legge dei diritti umani, specie quando si parla di sostenere il diritto alla libertà di espressione”.
Le accuse contro i manifestanti democratici contengono anche la sedizione ed il tradimento, oltre la lesa maestà, che comportano anche il rischio della pena di morte.
Secondo il gruppo TLHR ci sono almeno 150 persone accusate di lesa maestà, molte delle quali ancora detenute in carcere senza processo. Nei giorni scorsi sono stati liberati ma non prosciolti dalle accuse alcuni noti militanti.
Amnesty International avrebbe quindi i giorni contati in Thailandia perché sotto indagine su diversi fronti, dal ministero degli interni e della polizia perché avrebbe superato i limiti posti dalla legge thailandese.
Una portavoce del governo ha detto a VOA che non sono state ancora avviate le indagini e che ci sarebbero altre strade da percorrere che magari farebbero meno clamore.
Amnesty International inoltre ha posto qualche dubbio legittimo nei confronti di questa petizione che avrebbe raccolto 1 milione di firme.
“Il metodo della raccolta delle firme della campagna contro Amnesty non è ancora chiara laddove invece le petizioni credibili sono trasparenti sul modo in cui si raccolgono le firme” ha detto AI che riconosce il dovere dello stato thai a proteggere ordine pubblico e sicurezza nazionale, sebbene lo debba fare secondo la legge umanitaria, il rispetto del diritto di espressione e di assemblea pacifica, con un uso proporzionale della forza e della legge.
Inoltre è in discussione in Thailandia una legge che richiede a tutte le Organizzazioni NoProfit, ONP di registrarsi, di dichiarare le fonti di finanziamento e come li spendono permettendo alla polizia di sequestrare tutte le loro comunicazioni senza un ordine di un giudice e lavorando solo su questioni autorizzate dal ministero degli interni.
Il governo vuole impedire, con una bozza di legge che è ancora in discussione, a gruppi nascosti legati a governi stranieri, come se i thailandesi non abbiano un cervello, di destabilizzare il paese con interventi che colpiscano la “buona morale delle persone”, la “loro felice esistenza normale”.
Un altro modo di colpire Amnesty International, come anche altre ONG internazionali, potrebbe venire dalla necessità di rinnovare la licenza rilasciata ogni due anni a Amnesty International Thailand dal Ministero del Lavoro, come a tutte le ONG internazionali.
Nel caso che il ministero del lavoro trovi che AIT abbia violato le opportune leggi, il ministero potrebbe decidere di non rinnovare la licenza operativa, se trovasse che la ONG ha una sua agenda politica, oppure che lavorasse per fare profitti o che minacci la sicurezza nazionale.
Il segretario del ministero Boonchob ha anche detto che il gruppo di lavoro sul rinnovo della licenza dovrà considerare se “l’organizzazione ha fatto attività che colpiscono la fiducia della gente nella Corte Costituzionale, nel processo giuridico, nelle leggi e nell’immagine del paese”.