Il processo per portare la pace a Patani nel profondo meridione thailandese è fermo perché il governo thai non mantiene gli impegni, manca di sincerità e di volontà politica forte.
Lo sostiene Abu Hafez Al-Hakim portavoce di MARA Patani, ombrello organizzativo di vari gruppi dell’insorgenza malay musulmana thailandese, il quale chiede aiuto a capi internazionali e alla comunità mondiale per trovare una soluzione politica alla violenza nella regione di Patani.
Il governo thailandese, dice Abu Hafez Al-Hakim, ha un approccio militare che non elimina gli incidenti violenti ma accresce l’animosità e le vendette dei movimenti di liberazione.
“L’attuale processo di pace che promette speranza alle popolazioni si è fermato perché il governo thailandese non mantiene gli impegni, manca di sincerità e di volontà politica forte. E’ solo attraverso il sostegno ed il coinvolgimento internazionale che si può raggiungere un risultato politico vero per una pace giusta comprensiva a Pattani” ha detto il portavoce in una lettera aperta indirizzata ai capi ed organizzazioni mondiali, ai segretari dell’ONU e OIC, del ASEAN, della Commissione dei diritti umani, Amnesty International.
Abu Hafez sostiene che il conflitto a Patani non è più una quetione domestica thailandese ma una regionale che ha bisogno di un intervento internazionale.
“Si devono affrontare la natura politica e le cause radicali, e l’approccio per la risoluzione del conflitto deve essere politico, non con l’uso della forza né la soppressione. Tutte le leggi draconiane ed ingiuste ch colpiscono la vita quotidiana delle persone devono essere tolte immediatamente e senza condizioni dal momento che è in piedi un governo eletto. Alla gente di Patani deve essere dato il diritto all’autodeterminazione come garantito dalla Cara dell’ONU.”
Da quando l’insorgenza esplose nel 2004, sono settemila le persone uccise nella regione di Patani che comprende le province thai di Pattani, Narathiwat, Yala e quattro distretti di Songkla.
Nella lettera aperta di MARA Patani si chiede ai capi di tutto il mondo di intervenire nell’ultimo caso di tortura di un sospetto dell’insorgenza, Abdullah Isamuso, terminato in coma nell’ospedale di Pattani dopo essere stato detenuto nel campo militare di Inkhayut Borihan.
“Siamo scioccati e rattristiti dall’ultimo incidente nel profondo meridione… Condanniamo con la massima forza questo atto inumano di codardia, di grave violazione dei diritti umani e grave negligenza nel processo dell’interrogatorio” di fronte al quale la comunità internazionale non può più tacere permettendo che la facciano franca i colpevoli ed i militari stessi.
Nel frattempo una commissione composta di militari, polizia e rappresentanti di ONG ha condotto una inchiesta in cui si dice che “non esistono tracce di violenza né ferite” ma il grave rigonfiamento del cervello potrebbe essere causato da “soffocamento o mancanza di ossigeno al cervello”.
Mentre Abdullah resta in condizioni stazionarie e che il suo tronco encefalico non funziona, come detto in una dichiarazione dell’ospedale, l’esercito promette di punire chiunque sia colpevole dell’abuso.
La storia dell’impunità dei militari in Thailandia e specialmente del profondo meridione è vasta e nessuno è stato mai inquisito o ha mai risposto delle torture inflitte. Quindi pochissimi credono a questa promessa.
“Non sapremo mai quanta gente finirà come mio marito” ha detto la moglie di Abdullah, Nhumaiyah Mingka, ad AFP.
“Se commettono qualcosa non rispondono mai dei loro torti” ha detto anche un parente di Abdullah. “Creano più sfiducia e rendono più difficile avere la pace”
Ed infatti non si sono fatte attendere le operazioni di vendetta dell’insorgenza che ha attaccato un posto di blocco dei militari uccidendo quattro persone tra soldati e miliziani civili.