Un grande attacco dell’insorgenza malay musulmana del profondo meridione thailandese, martedì pomeriggio tardi, ad un posto di sicurezza in un villaggio della provincia di Yala ha causato 15 morti dei quali un poliziotto e 14 volontari della difesa civile tra cui quattro donne.
Ci sono stati contemporaneamente alcuni attacchi coordinati come un attacco ad un altro posto di sicurezza, una bomba che non è però esplosa ad un palo dell’elettricità, lo spargimento di chiodi sulla strada per Yala e vari copertoni di mezzi fatti bruciare in una scuola.
In questo grande attacco che è il più sanguinoso dal 2004, “dodici sono morti sul posto, due all’ospedale ed un altro questa mattina” ha detto il comandante della IV regione militare generale Pramote che ha aggiunto che ci sono altri cinque feriti. Sono stati portati via fucili M16 e pistole, cosa che fa pensare ad un attacco dell’insorgenza.
“Dovunque posavo il piede c’era del sangue” ha detto al NYT Saritphan, un lavoratore di un’associazione locale di carità nel campo dell’emergenza, accorso sul posto del grande attacco ma con un certo ritardo per la disseminazione di chiodi sulla strada e per gli alberi fatti cadere, aggiungendo di non aver mai visti così tanti morti sul posto dell’attacco.
Questo grande attacco è il più sanguinoso avvenuto nel profondo meridione da quando nel 2004 è riesplosa l’insorgenza malay musulmana nelle province di Yala, Narathiwat e Pattani. Nel complesso sono morti 7000 persone e decine di migliaia sono i feriti feriti, tutti in maggioranza civili e musulmani.
“Per contestualizzarlo, nel solo 2019, sono state uccise 46 persone e 122 ferite in atti violenti dell’insorgenza. Il tasso medio di morti del 2019 è sceso a 5,5 morti al mese, ed i due mesi passati erano ai minimi storici” scrive l’esperto Zachary Abuza su Twitter.
Benché non sia stato rivendicato, l’attacco si crede sia opera del BRN, Barisan Revolusi Nasional, che è il gruppo di insorgenza che comanda i militanti sul campo con una struttura molto articolata e segreta, senza però rivendicare mai gli attentati compiuti.
“L’insorgenza ha bisogno di mostrare che hanno rallentato ma non sono sconfitti. Forse cercano la vendetta per un presunto militante morto durante la custodia dei militari per chiara asfissia. Nella settimana precedente due militanti sono stati uccisi nel tentativo di allontanare dei militari da un punto della sicurezza verso dove avevano posto una bomba improvvisata” dice sempre Abuza su Twitter.
Nella regione dal 2004, da quando è riesplosa l’insorgenza nazionalista della popolazione a maggioranza malay e di religione musulmana in un paese a maggioranza buddista, sono in vigore sia la legge marziale che il decreto dell’emergenza che permettono la detenzione senza mandato fino ad un mese. Sono state oggetto da sempre di proteste per la violazione continua dei diritti umani e per l’uso della tortura. Quest’ultima è all’origine della morte di un giovane ad agosto scorso in carcere, quella di Abdullah Isamuso.
Le tre province di Yala, Pattani e Narathiwat ed altri 4 distretti di Songkla appartenevano al sultanato musulmano di Patani che fu annesso al Siam, antico nome della Thailandia, agli inizi del 900. Da allora la regione ha vissuto varie ondate di assimilazione alla cultura thai a cui la popolazione ha sempre posto resistenza ed uno stato di terra coloniale, dove era vietato l’uso pubblico della propria lingua e cultura malay, in un perenne stato di assenza di sviluppo.
Le elite locali erano in qualche modo cooptate dallo stato thai che ha sempre posto notevole attenzione e repressione su qualunque attività che rivendicasse una qualunque forma di autonomia dallo stato thai o che rifiutasse le politiche di assimilazione. La lingua usata a scuola, per esempio, non è il malay locale, ma solo ed esclusivamente il Thailandese.
Il profondo meridione thailandese, che dista solo un centinaio di chilometri dalle ricche spiagge internazionali di Phuket, Krabi e Koh Samui, appare solo per gli attentati alle scuole o alle pagode buddiste, o per gli insegnanti uccisi. E’ una delle zone più povere del regno e non ha caso è stata una delle pochissime regioni ad aver rigettato, nell’agosto 2017, la costituzione sponsorizzata dai militari in cui si professa l’unità indissolubile dello stato thai, negando quindi la possibilità di una autonomia politica.
Lo scoppio di questa insorgenza malay musulmana, che è di carattere nazionalista e non religiosa e non ha legami con il jihad islamico (ISIS o Al Qaeda) di altre parti del mondo, è spesso trattata dallo stato thai alla stregua della criminalità comune.
Nella lotta all’insorgenza, lo stato thailandese utilizza i volontari della difesa civile, volontari assunti a stipendio, armati in modo leggero, con un addestramento che non è quello militare. Data il livello socioeconomico della zona non elevato, essere volontario è diventato un lavoro sia per uomini che per donne.
Lo stato thailandese ha deciso con la giunta militare di Prayuth di rafforzare questo corpo a cui ha delegato una parte delle operazioni di sicurezza, cosa che li pone così nel mirino dell’insorgenza che da sempre vede nelle figure musulmane che lavorano nello stato thailandese dei collaborazionisti e quindi possibili obiettivi.
“Normalmente i militanti non colpiscono questi volontari del villaggio perché sono considerati civili finché non oltrepassano la linea e diventano parte dell’apparato dello stato” dice un esperto dell’insorgenza thailandese, Don Pathan.
Fu il governo di Yingluck Shiawatra, nel febbraio 2013, ad iniziare un percorso di pace con il principale gruppo dell’insorgenza, BRN, che però è sempre stato scettico nelle possibilità di un dialogo di pace con uno stato che non è disposto a concedere nulla e che considera la pace come qualcosa simile all’assenza di violenza ed, in ultima analisi, alla resa dei militanti.
I colloqui del 2013, da cui formalmente i militari thailandesi furono tenuti fuori ma su cui non mancarono di far sentire la propria presenza, finirono anche a causa di una serie di omicidi extragiudiziali che distrussero la fiducia in un dialogo di pace col governo thai.
Il golpe del maggio 2014 aprì il periodo del governo militare di Prayuth che decise di proseguire dei colloqui di pace con il gruppo di MARA Patani in cui sono presenti vecchie sigle separatiste e singoli membri del BRN.
Questi colloqui che sono andati avanti con alti e bassi si sono infranti contro la volontà dello stato thai di firmare un documento sulle zone di sicurezza con MARA Patani per paura di riconoscere una qualunque forma organizzata dell’insorgenza.
Srisompob Jitpiromsri, direttore di Deep South Watch, che monitora l’attività dell’insorgenza dice a NYT:
“Il numero degli incidenti violenti è diminuito negli scorsi tre o quattro anni, ma il movimento delle cellule dell’insorgenza è vivo ed in salute. I militari non sanno esattamente a chi parlare, con chi negoziare, chi combattere e spendono tantissimi soldi per la sicurezza con un ritorno marginale ed insignificante”
In realtà il BRN ed lo stato thai si sono incontrati segretamente, come ha rivelato lo stesso BRN alla Reuters. Esso avrebbe posto allo stato thai due precondizioni: un’amnistia dei prigionieri dell’insorgenza ed un’indagine trasparente sugli abusi commessi dalle forze di sicurezza thailandesi.
Nella stessa intervista alla Reuters un rappresentante del BRN ha dichiarato: “Lo stato thailandese è come un’anguilla oleosa che sfugge alla presa”
Citando sempre Zachary Abuza, Il governo thailandese, ricorda l’esperto Abuza, si riempie la bocca dei colloqui di pace ma non ha nulla assolutamente da offrire. Non affronteranno mai le gravi questioni al centro dell’insorgenza. D’altronde con la violenza a tali valori minimi, non sentono alcun bisogno di fare concessioni o affrontare le problematiche.
Il rischio concreto è che per portare il governo seriamente ai colloqui sia fondamentale per il BRN lanciare grandi attacchi con alto numero di morti, visto che lo stillicidio di civili buddisti o di persone dell’amministrazione o l’assassinio di monaci non sono stati sufficienti.