Il grande disegno dei militari è indebolire i partiti politici per avere coalizioni di governo usa e getta. I militari resteranno il vero potere qualunque sia il risultato del referendum e dell’elezione.
L’ombra dei militari sulla Birmania è lunga, ma nei passati cinque anni si è ristretta. Alla porta affianco in Thailandia, l’ombra dei militari si allunga.
L’attenzione generale si sta spostando verso il referendum sulla proposta di una nuova costituzione, fissata approssimativamente per il 7 di agosto.
Sarebbe la ventesima costituzione in 84 anni dall’abolizione della monarchia assoluta nel 1932, un periodo in cui il paese ha visto anche dodici golpe andati a segno ed altri sette mancati da parte dei militari.
Il referendum alza la posta in gioco: sarà interpretato come un’indagine non solo sulla costituzione ma anche sul governo militare e forse sulla democrazia in sé, a seconda del punto di vista in un paese fortemente polarizzato ma dove i militari velocemente cancellano ogni segno di dissenso.
Mentre il referendum e le elezioni sono di certo delle trappole esplosive sulla via al ritorno del paese verso la democrazia, in uno schema più vasto saranno l’esteso teatro politico.
E’ ovvio che il grande disegno dei militari è indebolire i partiti politici per avere coalizioni di governo usa e getta.
I militari resteranno il vero potere qualunque sia il risultato del referendum e dell’elezione.
La bozza costituzionale prevede un periodo di transizione di cinque anni con una elezione ora attesa per metà 2017. Ricopre di così tanto potere ed autorità in un senato controllato dai militari di 250 membri che la camera alta sarà destinata a comandare sul prossimo governo eletto se passa il referendum, ha scritto Thitinan Pongsudhirak della Chulalongkorn sul BangkokPost.
Le agenzie indipendenti, come la corte costituzionale, scrive Thitinan, avranno il potere di mantener qualunque governo eletto debole e fazioso, e permettere ad una figura militare non eletta o un fantoccio di diventare primo ministro. “Lo stato thai sta attraversando una militarizzazione spettacolarmente agghiacciante”. Poi aggiunge: “La bozza costituzionale disegna il ruolo dei militari thai molto vicino al lungo periodo repressivo autoritario dei militari del 1947-1973”
Ci saranno dibattiti alla televisione prima del referendum ed una campagna di informazione di base sarà portata avanti dall’esercito.
E’ improbabile però che ci sarà un aperto dibattito serio.
Stando alle regole “Chi propaga informazioni ritenute distorte, violente, aggressive, che incitano o minacciano cosicché gli elettori non votino o votino in un modo particolare” potrebbero rischiare 10 anni di carcere e multe fino a 5700 dollari.
Il Partito Puea Thai, il cui governo fu cacciato dai militari nel 2014, vorrebbe che la costituzione non fosse approvata sporando l’immagine del regime. Se succede, è incerto cosa succederà nell’immediato. Il regime ha citato un adattamento della attuale costituzione o di una precedente. Se passa, il regime andrà all’elezione armata di una costituzione che le dà il potere in mano.
In qualunque caso il governo militare si radica. Solo un pugno di studenti, pochi politici e pochi individui hanno mostrato il dissenso. Un’organizzazione all’estero iniziata da politici in esilio dopo il golpe del 2014 non si è radicata.
All’interno del grande disegno dei militari il referendum è ancora una trappola esplosiva; ognuno proverà a girare i risultati a proprio vantaggio. Sia il referendum che le elezioni, anche se un grande teatrino della politica, contengono elementi di rischio per il regime.
“La costituzione riflette un tipo di sistema politico che il regime immagina di voler stabilire permanentemente. Vogliono indebolire i partiti per sempre” dice lo storico Thongchai Winichakul. “D’altro canto hanno anche un obiettivo a breve: vogliono velocemente tutto sotto controllo”
Il Puea Thai ha già posto formalmente e prevedibilmente obiezioni alla bozza che sarà posta a referendum.
Il secondo partito della Thailandia, il partito democratico, più allineato al potere conservatore, il cui vicesegretario si distaccò dal partito e condusse le proteste di Bangkok del 2014, aprendo la via all’intervento militare, è stato anche critico. “I 250 senatori nominati non devono avere il diritto di abbattere la volontà popolare”.
Il giorno prima, l’ex premier Yingluck Shinawatra, sorella del miliardario Thaksin così odiato dalle elites per il suo populismo proficuo in una cultura politica in cui il vincitore prende tutto, ha detto che i poteri eccezionali della corte costituzionale andrebbero contro le norme democratiche internazionali.
Ma queste norme democratiche internazionali non sono l’obiettivo.
I militari hanno continuamente sottolineato che la Thailandia ha le proprie particolarità. Persino Ananda Panyarachun, ex premier nominato nonché uomo di stato che non è un fan particolare della giunta, in un incontro presso FCCT sulla democrazia in Thailandia ha ricordato quanto tempo ha impiegato in altri paesi la transizione democratica. “Non difendo il passo lento dello sviluppo ella democrazia”
Nel suo discorso Anand ha ammesso: “Abbiamo la tendenza a focalizzarsi sulla democrazia nella forma più che nella sostanza. Seguiamo procedure e facciamo mozioni di elezioni. Non abbiamo mai avuto una vera transizione democratica, un cambio genuino nel nostro sistema politico. Il cambio è sempre stato superficiale; il vecchio vino nella botte nuova, o si potrebbe dire vecchio vino in una vecchia bottiglia ma con un nuovo tappo”.
La Thailandia attraversa un periodo di ansia. Si affaccia una transizione della monarchia col re Bhumibol fragile e ospedalizzato. La transizione nel contesto poltico thai significa “transizioni tra regni” dice lo storico Thongchai.
I militari intendono restare in pole posititon, in qualunque modo, dicono gli analisti. Nella mente dei militari, non ci si fida dei politici, ed il primo ministro Prayuth non lo nasconde affatto. Lo scorso venerdì, ha definito il deposto premier Thaksin in esilio da due anni per scappare ad una condanna per corruzione “un fuorilegge e un bugiardo”.
Anni fa nel 2003, quando andai a Bangkok quando Thaksin era primo ministro al massimo della sua popolarità ed iniziava a vantarsi che sarebbe rimasto per altri venti anni, un analista politico mi bacchettò un po’: “Regola 101 della politica thai: nessuno ama un primo ministro potente”.
Gli eventi gli diedero ragione. Il regime sta riportando la Thailandia alla sua vecchi norma di un governo politico debole sotto l’ombra dei militari. La questione è se tale sistema sia sostenibile in un millennio nuovo, digitalmente connesso e globalizzato, ed in un paese dove la storia ha mostrato che le fazioni rivali possono emergere anche dentro i militari stessi.
Nirmal Ghosh, The Straits Times