Human Rights Watch, la famiglia Ampatuan ed il massacro di Maguindanao

Era il 23 novembre del 2009 quando circa 200 uomini in armi fermarono il convoglio che trasportava i membri della famiglia e i sostenitori di un vice sindaco del posto nell’isola meridionale filippina di Mindanao, mentre si apprestavano a registrare la candidatura per le elezioni provinciali a venire.

Gli uomini armati forzarono il gruppo di 58 persone, tra i quali circa 30 giornalisti e sei passanti, ad abbandonare l’autostrada vicino alla città di Ampatuan, ad uscire dalle loro automobili e a giustiziarli tutti .

ampatuan e maguindanao

Il massacro, il peggiore della storia recente delle Filippine, è stato attribuito ai membri della famiglia Ampatuan che, da due decenni, controlla la vita e la morte nella provincia di Maguindanao attraverso un esercito privato formato da 2000 a 5000 uomini armati, compresi milizie sostenute dal governo, polizia locale e personale militare.

ampatuan

Nella provincia di Maguindanao, la parola degli Ampatuan era la legge. Si diceva «sì» oppure si finiva uccisi per aver osato di dire di «no».
Suwaib Upahm, membro dell’esercito privato degli Ampatuan , 9 Marzo 2010.

I signori della guerra esistono perché hanno la benedizione dall’alto
docente universitario dell’Università statale di Mindanao a General Santos City, 14 febbraio 2010

Molti membri della famiglia, con a capo Andal Ampatuan Il Vecchio, che fu governatore dal 2001 al 2009 della provincia di Maguindanao, mantengono posizioni importanti nella provincia e nella regione. Prima delle elezioni del 2007 la maggioranza dei 27 sindaci della provincia erano figli, nipoti e parenti di Andal Ampatuan il Vecchio compreso suo figlio Antal Ampatuan il Giovane che è accusato di 57 capi di omicidio in connessione al massacro del 2009. Attualmente è sotto processo per gli omicidi, a Manila, insieme a sedici ufficiali di polizia e due supposti membri della milizia. Attualmente sono sotto accusa 195 persone compreso 29 membri della famiglia e dei loro alleati, di cui più della metà sono latitanti.

Benché siano frequenti gli omicidi tra membri delle famiglie, la scala e la brutalità del massacro del 23 novembre eccedono di gran lunga i precedenti attacchi violenti in questa violenta regione. Hanno inoltre posto l’attenzione internazionale sulle famiglie guida come gli Ampatuan e l’assenza di legge che persiste in gran parte delle Filippine. Di più grande significato, anche se meno analizzato della violenza stessa, è il sostegno che il governo nazionale fornisce a tali famiglie in tutta la nazione, e la quasi totale impunità di cui le loro milizie godono. I governi nazionali non hanno né smantellato né disarmato questi eserciti privati come scritto nella Costituzione del 1987, né hanno indagato e perseguito le attività illecite di quelli che controllano, armano e li usano per fini privati. Invece piuttosto che cercare di impedire che le milize compiano degli atti criminali, le forze armate e la polizia spesso hanno fornito loro armi, uomini e protezione dalle inchieste.

Questo rapporto analizza la famiglia degli Ampatuan e le sue forze, una delle più potenti e violente milizie, appoggiate dallo stato, che esistano nelle Filippine. Analizza la nascita e l’espansione degli Ampatuan, aiutati dalla allora Presidente della Repubblica Gloria Macapagal Arroyo, che che si affidò alla famiglia per i voti importanti e l’aiuto nel conflitto armato protratto con i gruppi armati Moro a Mindanao. Il rapporto fa un resoconto delle tante violazioni degli Ampatuan compreso più di cinquanta incidenti con omicidi, torture, violenze sessuali, rapimenti e «scomparse».

Oltre alle 58 persone uccise nel massacro di Maguindanao, la famiglia nel corso degli anni è implicata nell’uccisione di almeno 56 persone, quali parenti di politici di opposizione, proprietari che resistevano all’acquisizione forzata  delle loro proprietà, testimoni oculari dei loro crimini, compresi membri delle loro milizie e persino bambini.

Ad un anno di distanza dal massacro, gli Ampatuan restano una forza potente e pericolosa con cui fare i conti. Per più di due decenni hanno operato senza alcun controllo della polizia nazionale, dell’esercito e del Ministero della Giustizia che non solo non hanno investigato seriamente nei crimini in cui gli Ampatuan erano coinvolti, ma hanno armato e lavorato insieme ai loro membri. Nonostante un iniziale turbinio di attività a ridosso del massacro del 23 novembre, con alcuni arresti, 126 sospettati rimangono latitanti e il processo del governo rimane tristemente lento e limitato.

Gli ufficiali anziani di polizia e delle forze armate che non agirono nel sapere dei crimini degli Ampatuan non sono stati indagati; le indagini sulla fonte delle armi di famiglia hanno mancato di trasparenza e indipendenza; e le istituzioni nazionali responsabili per l’accertamento delle responsabilità, il Ministero della giustizia, L’ufficio Ombudsman e la Commissione dei diritti umani, non hanno fatto nessun passo significativo per affrontare la questione.

«Cosa possiamo fare» chiedeva un ufficiale di polizia. «Questa è una famiglia influente»

Nella sua vittoriosa campagna elettorale per la presidenza, Benigno Noynoy Aquino promise di abolire le armate private che sono proliferate sotto la Presidente Arroyo, che autorizzò l’armamento delle Organizzazioni Volontarie Civili (CVO) e delle Unità di Polizia Ausiliaria, e permise alle unità di governo locale di stabilire accordi contrattuali con le forze armate per le poco addestrate forze della milizia chiamate CAFGU Speciali. Aquino promise di portare davanti alla giustizia gli artefici della strage di Maguindanao, e dare giustizia alle centinaia di altre vittime degli omicidi extra giudiziali e delle vittime delle violazioni dei diritti umani. Aquino deve soddisfare queste promesse facendo delle azioni immediate per disarmare e smantellare tutte le milizie, comprese le forze paramilitare autorizzate dallo stato, nella provincia di Maguindanao come in tutta la nazione. Deve inoltre istituire controlli più rigidi sul modo di approviggionarsi di armi dei governi locali, e perseguire chi ha compiuto violazioni dei diritti umani, senza riguardo alla posizione ed al ruolo.

Un cambiamento duraturo e vasto non accadrà facilmente. Sospettosi della collusione della polizia, sono poche le vittime o i testimoni di crimini compiuti da ufficiali del governo che hanno fiducia nel confuso programma di protezione dei testimoni. Molte delle vittime degli Ampatuan non hanno mai denunciato le violenze che hanno subito da parte della famiglia che, da molto tempo, si basa sulle minacce e altre forme di intimidazione per costruire e mantenere il proprio potere. Infatti molte vittime e testimoni hanno rifiutato l’intervista da parte di Human Rights Watch nonostante la promessa di protezione dell’identità poiché temevano le vendette da parte della famiglia e della sua armata privata.

Il termine «armata privata» è di solito usato nelle Filippine per descrivere le forze di sicurezza dei potenti politici, proprietari facoltosi e altri interessi privati. Il termine è accurato perché descrive la fedeltà di tali forze, corpi armati che agiscono a scopo di interessi privati e non pubblici. Ne risulta che le violazioni dei diritti umani commessi dalle armate private sono spesso lasciate perdere come manifestazione di una cultura regionale o esibizione di «rido», o conflitto di clan. ma tali spiegazioni, e proprio il termine armata privata, non riescono a catturare il ruolo dello stato nel mettere su queste armate, nel sostenerle e nel coinvolgimento delle violazioni.

Secondo varie persone che conoscevano la struttura della forza degli Ampatuan, molti membri delle armate private erano anche membri di forze paramilitari organizzate, quali CVO, Unità di polizia ausiliare, CAGFU e simili. Le loro forze includevano anche funzionari del governo locale. I membri della milizia che non ricevevano virtualmente nessun addestramento, giuravano fedeltà alla famiglia e operavano senza supervisione della polizia o delle forze armate, come richiesto dalla legge. Il numero dei miliziani è limitato soltanto dalla capacità del governo locale a finanziare i costi operativi.

Gli Ampatuan hanno fornito alle loro milizie un armamento formidabile e moderno. Appena successa la strage, gli investigatori hanno recuperato almeno 1000 armi nella casa e nelle vicinanze degli Ampatuan il vecchio e il giovane, comprese armi anticarro, mortai, mitagliette, pistole automatiche, fucili da cecchini e d’assalto insieme adecine di migliaia di munizioni. Gli ufficali di polizia che investigavano nella strage e chi poi dall’interno della famiglia ha parlato sostengono che i militari e la polizia fornivano gli Ampatuan della maggior parte di queste armi, una situzione favorita dalla legislazione filippina che permette ai funzionari delle amministrazioni locali di comprare legalmente un illimitato numero di armi senza alcun obbligo di riportare il tipi e la matricola di quanto comprato.

Secondo alcuni testimoni interni alla famiglia, gli Ampatuan usavano la loro milizia in un vasto raggio di attività criminali intese ad eliminare minacce al governo della famiglia, o a mettere in guardia chiunque considerasse di porre qualche minaccia.

I casi che coinvolgono gli Ampatuan includono:
– Il giorno 20 luglio 2005, circa 25 uomini armati in uniforme spararono uccidendo Haji Noria Tambungalan e suo figlio nel villaggio Kitango. Suo marito, Mando Tambungalan, disse di aver riconosciuto 3 delle persone armate come sicari degli Ampatuan. Disse ad Human Rights Watch che era stato individuato dalla famiglia sin da quando aveva deciso di gareggiare come vice sindaco di Datu Piang nel 2001
– Il 2 dicembre del 2006, a Cotabato City, sicari a bordo di una moto legati al clan degli Ampatuan uccisero il giudice Sahara Silongan mentre riportava in macchina la famiglia a casa. Un parente del giudice crede che sia stato ucciso per non aver emanato un mandato di arresto richiesto dagli Amapatuan: «Un modo per liberarsene». Nessuno è stato mai arrestato per questo crimine.
– Il 23 giugno del 2006 il Clan mise una bomba che esplose vicino al mercato di Shariff Aguak, uccidendo cinque persone tra le quali vi era Ed Mangansakan, conosciuto come un fornitore di armi degli Ampatuan. Un uomo che lavorava per il clan come CVO disse quell’anno a HRW che gli uomini degli Ampatuan misero la bomba per ottenere le armi da Mangakasan gratuitamente.
– Il 28 agosto 2008, un cugino di Ampatuan il giovane e i suoi uomini armati, secondo l’accusa, ucisero 8 membri delle famiglie Lumenda e Aleb, compreso un bambino, mentre raccoglievano il riso nel villaggio di Tapikan, nel comune di Shariff Aguak. Un sicario, membro dell’Unità di Ploizia Ausiliaria, disse a HRW che lui e gli altri avevano avuto l’ordine di uccidere la famiglia poiché gli Ampatuan dubitavano della loro fedeltà.

I crimini associati alla famiglia Ampatuan non sono terminati dal Massacro di Maguindanao e dalla massiccia attenzione sul caso e sulla regione. Un membro della milizia che partecipò alla strage ha detto a HRW di aver ucciso un testimone della strage con un lanciagranata vari giorni dopo l’arresto di Ampatuan il Giovane da parte delle autorità.

L’uomo si è descritto  come una persona molto vicina alla famiglia per la maggior parte della sua vita e ha fatto la sua affermazione ad un investigatore privato, affermazione che è stata poi rilasciata alla corte sotto uno pseudonimo. E’ stato ucciso il 14 luglio del 2010 ancora in attesa di essere inserito nel programma di protezione dei testimoni.

L’armata privata degli Ampatuan forse è la più violenta delle Filippine, ma è una tra le tante. Si stima che operino in tutte le Filippine più di cento armate private, grandi e piccole, particolarmente ma non esclusivamente, nelle aree rurali, spesso ma non sempre quando c’è un’attività di insorgenza.

Il livello di sostegno diretto del governo varia, ma se l’esempio Ampatuan è indicativo, una storia di abusi non è squalificante.Fino a quando tali sostegni ufficiali continueranno, continueranno queste forze e le atrocità di cui sono responsabili.

Il massacro di Maguindanao era un’aberrazione solo a causa del numero di persone uccise, non per la sua brutalità compiuta a sangue freddo, che il governo, i militari e la polizia hanno da tempo tollerato e anche alimentato. Invece, gli omicidi erano atrocità in attesa. Dipende dall’amministrazione Aquino assicurare che non accadano più.

HRW

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