Una bambina di nove anni siede sotto gli alberi di pino su un telone blu mentre si strofina i piedi.
Da sei mesi vive in un rifugio gestito dalla chiesa dopo essere fuggita dal caos che ha avvolto il suo villaggio della provincia di Nduga, una remota regione d’altura nella parte occidentale di Papua.
“Me ne stavo a casa quando una bomba è caduta dal cielo” racconta ricordando lo scoppio do quello che sarebbe potuta essere una granata. “Me ne scappai con i miei” continua il racconto della bambina. “Vedevo le case in fiamme. Per tre settimane abbiamo camminato e dormito come nomadi nella giungla.”
Lei è una delle tanti bambini tra le migliaia di civili, se ne contano 35 mila almeno, che furono costretti a scappare dalle case nei remoti territori delle alture centrali quando i militari hanno provato ad estirpare i combattenti dell’indipendenza papuana che attaccarono un progetto di strada nel dicembre dello scorso anno, quando morirono 17 persone.
Un portavoce dei militari del TNI indonesiano, generale Sisriadi, ha detto ad Al Jazeera che erano stati inviati nell’area 600 soldati per un’operazione di applicazione della legge a sostegno della polizia, come ha detto il generale.
“Come scritto nella nostra costituzione dobbiamo difendere la terra della patria” dice Sisriadi. “Dobbiamo fare di tutto per difenderla”.
L’Indonesia assunse il controllo del vasto e remoto territorio che confina con Papua Nuova Guinea nel 1969 dopo un referendum molto controverso a cui furono ammessi a partecipare 1026 persone.
Il voto diede nuova forza all’esercito di liberazione WPNL che da allora continua la sua lotta per l’indipendenza.
Nonostante la ricchezza di risorse naturali è la regione più povera dell’Indonesia. É ancora impedito l’accesso all’area dei giornalisti stranieri e persino chi ottiene il permesso di visitare l’area corre il rischio di finire nei guai con le autorità.
Nduga è un’area montagnosa dove resiste una delle pochissime foreste tropicali intatte del pianeta ed è il centro di tutta l’instabilità.
Le comunità locali sono indigene melanesiane di religione in maggioranza cristiana e parlano le loro lingue piuttosto che il Bahasa indonesiano. Agricoltori di sussistenza, vivono sulle loro terre ancestrali coltivando raccolti e allevando maiali e si aiutano nella dieta con le foglie raccolte nella foresta e i maialini selvatici che si trovano nella foresta.
Un’indagine dell’amministrazione locale sulle operazioni militari di dicembre a Nduga accusavano le forze armate di aver distrutto case e chiese nella loro scommessa di liberarsi dei ribelli.
Sisriadi ha accusato il movimento indipendentista di farsi scudo degli abitanti dei villaggi, ma nessuno dei profughi ha mai detto a chi scrive di essere stato sotto la minaccia dei ribelli.
Theo Hesegem, militante dei diritti che ha aiutato l’amministrazione locale nella ricerca, ha detto alla scrivente che i testimoni, i quali preferivano non essere citati, gli avevano detto che erano state buttate bombe dagli elicotteri sia il 4 che il 5 dicembre. E’ un’accusa che i militari negano.
Nella disperazione per sfuggire ai combattimenti molti hanno fatto lunghi spostamenti nella foresta durati settimane per trovare la sicurezza sopravvivendo mangiando foglie ed altri vegetali.
Innah Gwejangge, il capo del Dipartimento sanitario di Nduga che fornisce servizi sanitari agli abitanti sfollati, dice che molti bambini soffrono di varie malattie che vanno dalle infezioni alle vie respiratorie alla diarrea causati dalla loro condizione.
“Mi dicevano che non avevano da mangiare” dice Gwejangge. “Mangiavano tutto ciò che potevano trovare, come anche le radici degli alberi. Alcuni erano nudi. Ho visto bambini ignudi che i genitori mettevano dentro il noken e li coprivano con erbe.” aggiunge.
Centinaia di persone hanno trovato rifugio nei 23 rifugi istituiti dalla chiesa protestante locale a Wamena, la cittadina maggiore nelle alture centrali.
In uno dei rifugi, decine di bambini ed adulti vivono in una singola casa con un solo bagno e cucina. La maggioranza dei rifugi dà una casa temporanea da due a dieci famiglie.
“Hanno ancora troppa paura” dice un volontario Dolu Bruangge. Non si fidano degli sconosciuti”
Molti vogliono tornare disperatamente a casa per tornare alle loro terre e a ciò che rimane del loro raccolto. I volontari della chiesa hanno dato loro da vestirsi e altre necessità fondamentali.
Hanno costruito una scuola con personale dell’autorità locale. Dentro gli studenti siedono su banchi di legno sotto un tetto di ferro zincato, circondati da pareti ricavate da incerate di plastica che si gonfiano e si lacerano quando si alza il vento.
Jennes Sampouw, del dipartimento dell’istruzione di Nduga, ha detto che sono 695 gli studenti di 32 distretti che sono nelle scuole di emergenza. Il suo obiettivo era di assicurarsi che potessero partecipare agli esami nazionali ad aprile.
Ma per i bambini sfollati è ancora difficile avere un servizio medico perché gli ospedali possono trattare le persone registrate localmente.
“Questi bambini hanno il diritto ad essere protetti dal paese come scritto nella legge di protezione del fanciullo” dice Retno Listyarti del KPAI, agenzia indipendente Commissione indonesiana di protezione del fanciullo e sottolinea come sia essenziale il sostegno psicologico al trauma.
Continuano i combattimenti tra i militari e gli indipendentisti. Il 13 maggio i media locali denunciarono che un ufficiale era stato ucciso dopo l’attacco dei ribelli ad un campo di aviazione a Nduga.
Per i bambini questa agitazione continua vuol dire che è improbabile un loro ritorno veloce a scuola. Ma anche quando ritornano nei villaggi, continua a turbarli lo spettro della violenza.
“Ho paura che i soldati ritorneranno di nuovo” dice la bambina di nove anni
Febriana Firdaus, Al Jazeera News