Sebbene la proposta di legge sia rimasta appunto tale, la ragione non è da addossare alla comunità LGBT. L’ultima versione proposta , la HB 110, essenzialmente proibisce a chiunque dal discriminare una persona sulla base di un orientamento sessuale o in base all’identità di genere (SOGI) nei seguenti campi: nel servizio pubblico forze armate comprese, nell’impiego compreso l’esercizio della professione, nella scuola, nell’accesso ai servizi sanitari e nell’accesso alla casa e nell’uso dei servizi pubblici. Proibisce la violenza da parte dei pubblici ufficiali e la discriminazione mediante il rifiuto di registrare la loro organizzazione, politica o meno.
Per le persone eterosessuali questi diritti sembrano assoluti e ad ogni restrizione del governo si potrebbe adire alla corte. Il peso è posto sul governo per provare che le restrizioni sono ragionevoli e non violano la costituzione.
Questo non vale per la LGBT per i quali restrizioni e trattamenti diversi sono più probabilmente la norma o la regola applicata loro a causa del loro orientamento sessuale o identità di genere. In tanti pensano che dal momento che non sono conformi alla etero-normalità automaticamente meritano l’esclusione da certi diritti.
In altre parole appartenere alla comunità LGBT è una ragione di per sé sufficiente a discriminare, limitare o negare l’esercizio di diritti. Per loro cadrebbe sulla stessa comunità la prova di essere nei parametri di ciò che è accettabile per una società e che di per sé non sono “offensivi”. Per esempio quando Ang Ladlad cercò la registrazione come partito di lista il COMELEC rigettò direttamente la proposta di accreditamento sulla base che “i richiedenti tollerano l’immoralità che offende i credi religiosi” con citazioni della Bibbia e del Corano. Quello che doveva essere un processo semplice non problematico di registrazione di una organizzazione riconosciuta come partito finì per essere una strada in salita per la comunità LGBT. Alla fine ci volle duna decisione della corte suprema che permetteva loro di registrarsi ed essere riconosciuti come una causa collettiva.
L’esercizio dei diritti civili e politici è sacrosanto in una società democratica. Diamo molto valore alla libertà di parola ed espressione. Ma quelli del caso Ang Ladlad? Comprendiamo l’importanza di queste libertà quando i membri di un partito di lista lotta non per la riforma politica ma principalmente per l’espressione e il riconoscimento di genere, qualcosa che potrebbe pure non rientrare nella nostra zona di conforto?
Guardando alla bozza HB110 è evidente che non cerca neanche di creare nuovi diritti per la comunità LGBT. Offre solo una base legale per combattere la discriminazione e domanda perciò i risarcimenti. Eppure senza sorprese la bozza ha trovato delle opposizioni.
Si possono osservare due cose. La prima, è chiaro che la comunità LGBT deve lottare continuamente per diritti uguali e l’accesso alle opportunità già fattibili per le persone eterosessuali. Se il caso Ang Ladlad dovesse dare indicazioni di questa lotta spero che non coinvolgerà sempre l’intervento della corte suprema.
Seconsa cosa, La comunità LGBT inevitabilmente avrebbe bisogno di articolare nuovi diritti per goderli ugualmente con gli altri, i loro diritti umani e libertà fondamentali. Questa seconda non è solo una battaglia in salita, quanto una battaglia invincibile. E questo è dove transgender e persone transessuali hanno più difficoltà degli altri membri che costituiscono la comunità LGBT.
Il diritto a cambiare status.
Fatemi fare il punto sul cambiamento di stato. Non credo di essere un esperto sul LGBT ma fondamentalmente credo che il trangender e la persona transessuale hanno bisogno di fare la transizione fisicamente (con intervento medico o meno) per far sì che i loro corpi siano conformi a come loro si identificano e vedono. Questo richiede qualcosa di più di quello che ci aspettiamo da Gay e lesbiche quando Si dichiarano. Perché possano godere davvero la libertà dalla discriminazione sulla base del loro status transgender e transessuali hanno bisogno di una legge che dia loro il pieno riconoscimento della loro transizione e del cambio di status. Tale riconoscimento deve essere nei documenti legali che sono prova di qual’è la loro identità. Sfortunatamente secondo la decisione della corte suprema, non ci si può poggiare sulle nostre leggi attuali per sistemare i bisogni di persone transgender o transessuali finché si parla di un cambiamento di identità di genere.
Perciò nel caso di Silverio, la corte suprema negò la richiesta di cambiamento di nome e di sesso nel certificato di nascita di un transessuale che era nato uomo ma aveva vissuto da donna e che si era sottoposto ad una chirurgia di riassegnazione sessuale. Nel discutere dei cambiamenti possibili in un certificato di nascita la corte affermò che sebbene “gli atti, glie eventi o gli errori fattuali contemplati secondo l’articolo 407 del codice civile includono anche quelli che accadono dopo la nascita”, “nessuna interpretazione ragionevole della norma può giustificare la conclusione che copre la correzione sulla base della riassegnazione del sesso.” La corte inoltre affermò che “il sesso di una persone è determinato alla nascita, fatto in modo visuale da chi è presente, dottore o ostetrica, esaminando i genitali dell’infante. Dal momento che non esiste una legge che riconosce in modo legale la riassegnazione del sesso, la determinazione del sesso di una persona al momento della nascita, a meno di un errore, è immutabile”.
Se si permettono cambi legati ad errori commessi dopo la nascita, di sicuro un errore nella determinazione dell’identità di genere di una persona sarebbe uno di forza maggiore per far la correzione nel certificato di nascita. Le corti hanno sempre premesso che sulla possibilità di cambiare il proprio nome “un cambio di nome è un privilegio non un diritto.”. Questo potrebbe andare bene se uno vuole cambiare un nome ridicolo, imbarazzante, umiliante o sulla base che non colpisca fortemente la propria identità. Ma se colpisce il centro del proprio essere come nel caso delle persone trangender e transessuali, allora il cambio di nome deve essere inquadrato dalla prospettiva dei diritti. E’ in definitiva non un privilegio.
Sfortunatamente questa decisione è stata rafforzata da un’altra legge del 2012, la 10172, dove nella sezione 5 afferma che nel certificato di nascita non dovranno essere fatte correzioni di “sesso” o di genere, “ad eccezione se la petizione si accompagna dalla certificazione di un medico governativo accreditato che attesti che il richiedente non è stato sottoposto a operazione di cambiamento di sesso o di trapianto”.
La comunità LGBT è parte della nostra società e meritano di godere degli stessi diritti come le persone eterosessuali. I cambiamenti di legge devono esser fatti per dare loro i diritti che spettano. Solo perché gli eterosessuali non trovano il bisogno di far lo stesso non vuol dire che dette leggi devono restare intoccabili. Poi sembra essere nata la confusione sul pronome appropriato da usare quando ci si riferisce a Jennifer Luade. LEI senza dubbio ha determinato la propria identità e dobbiamo rispettarla. E questo è vero per tutte le persone transessuali e transgender che hanno fatto una determinazione sulla propria identità e senza paura l’hanno fatta conoscere a tutti. Senza paura perché dopo tutto la transizione per loro potrebbe non essere stata una cosa facile.
C’è poco dubbio che non sia stata una decisione dolorosa da prendere, ma l’hanno fatta comunque perché è importante per loro. Quindi anche se potremmo non comprendere totalmente la loro situazione, almeno dovremmo riconoscere davvero che la decisione presa è una importante ed è la loro, loro sola. Nessuno presente alla nascita dovrebbe potere calpestare questa decisione.
E’ davvero il momento di avere una mente aperta e permettere cambiamenti nella nostra legge per fare spazio ai diritti della comunità LGBT.
Ampy Sta Maria della Facoltà di Legge dell’Ateneo Di Manila. INTERAKSIONTV