Il problema indonesiano fa parte di una tendenza più generale nella regione. Nel vicino Brunei il governo ha vietato almeno otto religioni devianti e ha multato i docenti per aver insegnato cose religiose non islamiche. In egual modo la Malesia ha messo al bando 56 interpretazioni «devianti» dell’Islam tra le quali troviamo Ahmadiyah, Islamailiah, Shi’a, and Bahai. In Birmania il governo ha una politica aspra con i musulmani Rohingya e capi religiosi buddisti.
Secondo lo studioso americano Jeremy Menchik questa l’intolleranza religiosa del decennio scorso scaturisce dalla nascita di un « nazionalismo dei devoti » attento ad «una comunità immaginata legata da un comune teismo ortodosso e mobilitata dallo stato». Benché questo possa essere vero, il nazionalismo dei devoti non porta automaticamente alla violenza. In Malesia le corti islamiche di stato della Sharia possono ordinare ad individui che desiderano convertirsi all’Islam, o a chi appartiene ad una setta messa al bando, di frequentare centri di riabilitazione. Comunque il governo proibisce proibisce l’uso della violenza contro i membri di altre fedi punendo con severità i reati.
Allora perché l’intolleranza religiosa e la vigilanza violenta crescono in Indonesia?
Per prima cosa la violenza in ascesa è legata fortemente alle azioni dell’ex presidente indonesiano Yudhoyono che ha governato dal 2004 al 2014. nel 2005 Yudhoyono diede inizio ai problemi religiosi del paese, dichiarando che il Consiglio Musulmano Indonesiano, MUI, gruppo religioso conservatore sunnita, era il solo interprete autorizzato dell’Islam le cui fatwa sarebbero state accolte dal governo.
Il MUI non perse tempo. Dichiararono la setta degli Ahmadi «setta deviante» e deliberò contro il «pluralismo, liberalismo e secolarismo». I musulmani Ahmadi adottano gli stessi sei articoli della fede come i sunniti con la differenza principale che gli Ahamadi credono che il profezia monoteista è ancora in corso, mentre i sunniti affermano che l’ultimo profeta fu Maometto.
Dopo questa dichiarazione sorsero velocemente i discorsi di odio e le violenze contro la comunità dei musulmani Ahmadi.
L’intolleranza è istituzionalizzata ad una velocità allarmante, i diritti umani delle minoranze sono minacciate e le organizzazioni dei diritti fanno fatica a fare il proprio lavoro senza alcuna protezione delle forze di sicurezza.
Allora nel 2008 la situazione peggiorò quando tre ministeri (quello degli affari religiosi con Maftuh Basyuni, degli interni con Mardiyanto e con l’avvocatura statale Herdarman Supanji) emisero il decreto che permetteva la persecuzione penale degli Ahmadi per il loro credo e la loro adorazione. Nel 2011 i governi di Giava Occidentale ed Orientale usarono questo decreto per mettere al bando del tutto le attività degli Ahmadi. Oggi 25 autorità regionali hanno emesso restrizioni contro le sette religiose mirate per lo più agli Ahmadi.
Inoltre per la prima volta della storia dell’arcipelago i militanti sunniti usano violenza contro gli Sciiti a Sampang Madura secondo un decreto del 2012 del Consiglio degli Ulama di Giava Orientale che dichiara la setta Blasfema. Il governo non ha fatto nulla per fermare questi atti.
L’alleanza di Yudhoyono con il MUI scaturisce da calcoli politici interni. La sua corsa presidenziale trovò l’opposizione da militanti democratici e gruppi musulmani tolleranti, molti dei quali dicevano che il suo passato militare e la mancanza di basi democratiche lo rendevano inadatto al compito. Yudhoyono ed i suoi alleati si avvicinarono allora ai gruppi conservatori compreso il MUI chiedendo il loro sostegno politico, promettendo in ricompensa di trattare come politica la dottrina del MUI.
Alcuni dei più fidati consiglieri di Yudhoyono erano musulmani sunniti conservatori tra i quali Sudi Silalahi nominato anche segretario di stato. Silalahi era uno dei generali che sostennero i militanti Jihadi che nel 1999 entrarono ad Ambon per attaccare migliaia di Cristiani indonesiani. Dire che abbia avuto un povero passato di diritti umani significa sottostimare notevolmente la sua storia.
La repressione degli Ahmadi da parte di Yudhoyono era condotta dal presidente del MUI Maruf Amin che era anche consigliere presidenziale sulle relazioni tra le fedi. Il potere di Amin crebbe rapidamente durante la presidenza Yudhoyono e poté trasformare le sue idee intolleranti in politica di stato.
Infine l’ex presidente nominò ripetutamente amici personali e musulmani conservatori a gestire il ministero degli affari religiosi trasformando il dipartimento, un tempo tollerante, in uno sospettoso delle minoranze religiose non sunnite.
Oggi sono tante le speranze che il nuovo presidente Joko Jokowi Widodo porti il governo in una direzione differente. WIdodo che molti elettori definiscono un politico pulito condusse la propria campagna elettorale promettendo una rivoluzione mentale ed una rottura decisa dal passato autoritario ed intollerante.
Per assicurare che questo accada, Jokowi deve per prima cosa decretare che nessuna persona singola, o movimento, od organizzazione, possa essere la sola autorità dell’interpretazione religiosa, MUI compreso. Poi deve garantire che la dottrina religiosa non è più usata a giustificazione delle politiche e leggi del governo. A questo scopo deve includere la revisione della legge del 1965 che proibisce espressamente «interpretazioni devianti» degli insegnamenti religiosi e obbliga la dissoluzione di organizzazioni che praticano insegnamenti devianti.
Infine Jokowi deve esprimere l’impegno chiaro del suo governo a dare servizi uguali e garanzie di libertà religiosa a tutti gli indonesiani. Tutti i suoi ministeri e consiglieri devono essere esaminati per le loro opinioni religiose e passato storico per eliminare quelli che hanno un passato di intolleranza.
Deve ancora rafforzare il governo della legge e punire chiunque usi violenza e prenda nelle proprie mani la legge per qualunque ragione, religione inclusa.
Se Widodo non lo facesse immediatamente l’Indonesia rischia di percorrere ancora una strada pericolosa che fa paura.
Ahmad Sueady. Direttore dell’Istituto dell’Islam del Sudestasiatico presso State Islam University (UIN), Yogyakarta, Indonesia. OPENDEMOCRACY