Abdullah Isomuso del distretto di Saiburi della provincia di Pattani, arrestato secondo la legge marziale per un presunto coinvolgimento dell’insorgenza il 20 luglio, fu trovato morto nel centro degli interrogatori del Forte Ingkhayutthaborihan.
La mattina del 21 luglio, quando i familiari di Abdullah andarono a visitarlo, vennero a sapere che era stato portato di corsa nel centro di terapia intensiva dell’ospedale di Pattani. Poiché le sue condizioni peggioravano fu trasportato all’ospedale di Hat Yai dove restò privo di coscienza fino alla sua morte avvenuta il 25 agosto.
Abdullah era figlio unico di una madre vedova e disabile, ed ha lasciato la moglie con due figli di due e sette anni.
Il deterioramento drastico ed innaturale della salute di Abdullah è avvenuto dentro il forte Ingkhayutthaborihan che è descritto come un noto centro di detenzione “dove i sospettati sono portati per essere interrogati e tenuti secondo le leggi dell’emergenza e dove sono stati documentati casi di tortura”
Cosa sia accaduto dentro quel centro di detenzione è di fatto difficile da dire. Non sono state opportunamente disponibili le riprese delle telecamere di sicurezza, perché non funzionavano le telecamere installate dentro il centro in quel momento.
A chi chiedeva del coinvolgimento delle forze di sicurezza nella tortura del detenuto, il primo ministro Prayuth derise questi sospetti definendoli causati dal “vedere troppi film”.
In realtà non c’è bisogno di vedere neanche un film per legare i casi di morte innaturali o di drastico deterioramento innaturale di salute alla tortura. Basta seguire cosa è accaduto sotto le leggi speciali applicate alle aree di conflitto delle aree di frontiera meridionali.
Abdullah non è il primo caso e molti casi simili sono accaduti prima e non sono mai svanite le accuse di tortura.
La Commissione Nazionale dei diritti umani affermò ce nel periodo da dicembre 2016 a maggio 2018 ci sono state 100 domande sui danni fisici o le torture di detenuti secondo queste leggi speciali.
Una incolmabile mancanza di fatti
La dichiarazione di Prayuth riflette una mancanza incolmabile di opinioni sul caso. Il governo nega in modo continuo ogni accusa di tortura o responsabilità degli ufficiali di sicurezza nell’improvviso deterioramento della salute e poi morte di Abdullah. D’altro canto molti musulmani malay del posto, militanti e altri che conoscono la situazione trovano le spiegazioni del governo come mancanti di credibilità.
“Questo caso può essere spiegato con i fatti” disse il colonnello Pramot Phromin dell’ISOC della IV regione. Comunque i fatti che convengono alle forze di sicurezza non sono credibili per tutti perché proprio il fatto dello stato privo di coscienza di Abdullah non è stato mai spiegato.
Ogni ufficiale della sicurezza ad ogni livello ha seguito la stessa linea. “Quando gli fu chiesto del caso Abdullah Prayuth disse che “il governo ha detto tutto e non ha una politica di usare la violenza su dei sospettati”.
Il portavoce del ministro della difesa Lt Gen Khongcheep Tantrawanit ha anche detto la stessa cosa ai media affermando che ogni azione al di fuori della legge o in violazione dei diritti umani da parte di pubblici ufficiali sarebbe stato punito severamente.
Una dichiarazione simile nei toni fu fatta dopo che Abdullah fu ritrovato privo di coscienza. L’assenza di una politica non garantisce comunque che non ci siano stati in pratica un abuso di potere o violazioni di diritti o tortura.
Sebbene il governo sia pronto a punire pubblici ufficiali coinvolti in abuso di potere o in violazioni di diritti umani si ripetono sempre ogni volto che nascono sospetti simili, non riesce proprio a convincere la gente perché nessuno è stato mai punito fino ad oggi.
Secondo Zachary Abuza, “un pugno di militari è stato incriminato per presunta tortura o morte di detenuti in loro custodia, tutti sono stati liberati in appello”. Continua Abuza dicendo: “Nella maggioranza dei casi dopo le promesse del governo di indagare, le accuse cadono dopo che sparisce la pressione pubblica”.
Il governo sembra che questa volta stia seguendo lo stesso esatto copione.
Nel caso di Abdullah, persino il processo di indagine è messo in dubbio. L’ISOC della IV regione istituì una commissione di accertamento dei fatti con capi religiosi e militanti di ONG con militanti dei diritti umani. Un comitato di ricerca di fatti su un caso accaduto in una struttura militare di per sé non è sufficientemente convincente o credibile.
Rungrawee Chalermsripinyorat, ricercatrice thailandese, ha messo in dubbio il metodo di indagine. Il comitato aveva dovuto fare fronte ad una diminuzione di già ridotta credibilità dopo le dimissioni di Anchana Hemmina a causa di restrizioni all’accesso di informazioni. Lei disse alla BBC che lo scopo dell’indagine è la giustizia per la persona deceduta e la famiglia, non la protezione di persone o agenzie del governo. Perciò la cosa importante è indagare cosa lo portò alla perdita di coscienza, non la ragione medica della sua morte.
Chalita Bundhuwong della Kasetsart University affermò sul suo profilo Facebook del 28 agosto che il coinvolgimento delle ONG della società civile e dei capi religiosi nel comitato serviva a dare la giustificazione all’esercito.
Il governo prova a convincere la gente che pubblici ufficiali non sono responsabili della condizione di Abdullah, ma restano senza risposta le domande sul come Abdullah sia finito privo di coscienza durante una detenzione militare nel Forte Ingkhayutthaborihan.
A poco servono i lavori di restauro del centro di interrogatori per farlo somigliare ad una “casa o un resort” e crescono sempre più le differenze di opinione tra il governo e la gente in generale. Come si osserva dalle dichiarazioni di Prayuth il governo non riesce ad afferrare la serietà delle conseguenze causate dalla morte di Abdullah.
Abdullah, una figura pubblica dell’area del conflitto
Pochi conoscevano Abdullah prima della sua detenzione. Ora lo conoscono tra la maggioranza della gente del posto, e la sua morte è comparsa sui grandi media. L’impatto della tragedia caduta su Abdullah e la famiglia lo li può vedere da due cerimonie di preghiera tenute per loro.
Il 24 agosto, dopo un mese dal suo arrivo all’ospedale di Pattani, la comunità del suo villaggio organizzò una cerimonia di preghiera per la sua salute e il sostegno della sua famiglia. I malay musulmani capirono che il cervello di Abdullah era stato gravemente colpito e che era tenuto in vita solo dall’assistenza delle macchine mediche. La sola possibilità di ripresa era un aiuto miracoloso da Dio. Alla cerimonia parteciparono varie centinaia di persone e la preghiera fu guidata da Waedueramae Maminchi, presidente del Consiglio Islamico di Pattani, a cui si unirono politici del posto e capi religiosi. Il giorno dopo Abdullah morì.
I funerali nella moschea vicino la casa furono seguiti da un migliaio di persone, ad indicare che per i malay musulmani dell’area del conflitto era diventato una figura pubblica.
Il racconto di Abdullah e la sua posizione nel discorso locale
La storia della sofferenza di Abdullah e della sua famiglia è diventata una parte della storia delle sofferenze a lungo patite dai malay musulmani di Patani ed ad essa ci si riferirà come alle tante prima di lui.
Sebbene il suo corpo sia stato lavato prima della sepoltura, al contrario di quanto si fa con i martiri il cui corpo è sepolto senza essere lavato, è nella percezione dei malay musulmani nazionalisti quasi come un martire.
Il 22 luglio dopo le notizie di un grave danno al cervello di Abdullah causato dalla mancanza di ossigeno per un periodo prolungato di tempo, un militante locale mise la foto online di due musulmani che si danno la mano in piedi su una nuvola.
Sullo sfondo, c’è l’indicazione stradale verso la “Città dei Martiri”. Nella didascalia scritta nello scritto Jawi malay un uomo della città saluta il nuovo arrivato dicendo “La Pace sia su di te. Io vengo da Tak Bai.”
Il nuovo venuto risponde “E anche su di te. Vengo da Telaga Bakong”.
Telaga Bakong è il nome malay per indicare Bo Thong, il villaggio dove si trova il Forte Ingkhayutthaborihan.
Nella percezione dei musulmani malay del posto i due gravi fatti, come il massacro di Tak Bai a cui comunque Abdullah non è connesso, e la morte stesa di Abdullah nel Forte Ingkhayutthaborihan sono fortemente connessi l’un con l’altro.
Nel caso di Tak Bai, la corte provinciale di Songkla affermò solo che i militari trasportarono centinaia di manifestanti che furono “ammassati come tronchi di legno sui camion militari” verso il forte Ingkhayutthaborihan “per la necessità delle circostanze” e morirono per mancanza di ossigeno: la stessa ragione che portò Abdullah nella perdita di coscienza. Neanche un singolo militare è stato mai punito per la morte di 78 manifestanti. Persino quando Abdullah era ancora vivo, date le sue gravi condizioni, alcuni credevano che gli sarebbe stata data la grazia di Dio in paradiso come i manifestanti di Tak Bai che sono considerati martiri
Dopo la morte di Abdullah, il presidente di una organizzazione separatista PULO Kasturi Mahkota, scrisse nella sua pagina Facebook un messaggio di cordoglio, la cui ultima frase dice:
“Preghiamo che Abdullah sia posto in compagnia dei profeti, dei martiri e dei giusti”
Per gli insorgenti, uno degli aspetti più difficili è il reclutamento. Il processo di trovare, invitare, indottrinare e addestrare nuovi membri non è mai stato facile.
Un capo politico del BRN disse all’autore che era difficile convincere i giovani malay musulmani della crudeltà dei “colonizzatori siamesi” prima del 2004. Dovevano dire storie delle difficoltà dei malay di Patani del passato ma aveano difficoltà nel trovare esempi più recenti di presunte crudeltà. Questa tendenza cambiò dopo la repressione dei manifestanti a Tak Bai. Non dovevano spiegare più la crudeltà del governo thai e parlare delle storie del passato, ma solo dire di guardare a cosa successe a Tak Bai.
Ogni cosa percepita come esempio di crudeltà dello stato si aggiunge al discorso delle lamentele storiche dei malay di Patani. Non c’è ragione alcuna per l’insorgenza di astenersi dal citare il caso di Abdullah come ultimo esempio.
L’impatto della morte di Abdullah sul conflitto
Il conflitto delle province della frontiera meridionale thailandese non si risolverà mai se non si affronta in modo giusto la storia del dolore. Attualmente è estremamente importante che sarà mai data una spiegazione accettabile di come Abdullah abbia perso coscienza nel centro militare. Di conseguenza come negli altri casi, è quasi inimmaginabile che sarà punito alcun militare.
Come detto prima, ogni incidente che indichi ingiustizia o atrocità commessa dallo stato, che sia omicidio extragiudiziale, detenzione arbitraria, tortura o deterioramento misterioso ed improvviso di salute di un detenuto, è integrato in questo discorso, ed il caso di Abdullah entra perfettamente.
Romadon Panjor, editore di Deep South Watch, indicò che le forze di sicurezza di recente designarono i pondok e le scuole private islamiche come terreni di crescita dell’insorgenza, ma non riuscivano a vedere che i centri di interrogazione delle forze di sicurezza sono anche divenuti terreni di crescita perché producono la storia delle ingiustizie necessari all’insorgenza.
Il SBPAC, centro amministrativo delle province della frontiera meridionale ha promesso di pagare una somma di assistenza di 500 mila baht, di risarcimento alle vittime del conflitto senza riconoscere alcuna responsabilità dello stato, alla famiglia di Abdullah per sostegno e per l’istruzione dei figli. Questo è sempre meglio di nulla, ma è molto lontano dal rendere giustizia.
Inoltre se la salute di un detenuto può evolvere in modo così inatteso senza che sia garantita la giustizia, chi è stato presa di mira dalle forze di sicurezza potrebbe scegliere di scappare. La via potrebbe essere la Malesia o in casi più radicalizzati, verso la foresta per unirsi all’insorgenza.
Un progetto raffazzonato chiamato “Progetto per portare la gente a casa” fu lanciato dal ISOC della IV regione nel settembre del 2012 per incoraggiare gli insorti alla resa.
Gli insorti potranno arrendersi solo se potranno fidarsi che la giustizia sarà data dal governo. Ciò che è accaduto ad Abdullah va contro questo progetto perché raglia la fiducia della gente del posto nel sistema giudiziario thailandese.
Zachary Abuza ha notato che “la morte dei sospettati in detenzione chiama la violenza di vendetta specialmente contro civili buddisti” perché “Se non dovessero rispondere, in difesa di uno di loro o almeno di uno che dichiarano di rappresentare, sembreranno deboli.”
Il caso di Abdullah non può essere trattato con la sola inaffidabile commissione di accertamento dei fatti sotto la supervisione dei militari che afferma l’assenza di una politica di torturare i detenuti secondo la legge marziale e a dare le condizioni mediche che causarono la morte.
E’ diventato parte del conflitto e dobbiamo capire quanto lontano siamo dalla pace.
Hara Shintaro, Prachatai