Ma l’interventismo occidentale rischia di spingere Bangkok ancor più verso la Cina e potenzialmente allungare la vita del governo militare.
Il più importante alleati thailandese, gli USA, ha applicato una politica interventista all’indomani del golpe con la sospensione di oltre 4 milioni di euro in assistenza finanziaria all’esercito thai. Inoltre gli USA hanno escluso il paese da un’esercitazione internazionale in mare tenutasi a giugno 2014 ed hanno declassato l’evento Cobra Gold, l’esercitazione militare annuale maggiore della regione Asia Pacifico.
Altre nazioni hanno preso sanzioni più dure contro la giunta. L’Europa ha congelato la cooperazione bilaterale, sospeso tutte le visite ufficiali con la Thailandia, fermato l’applicazione di un vasto accordo di cooperazione e messo da parte i colloqui di un trattato commerciale.
Nel mezzo di queste misure punitive la Thailandia ha trovato un po’ di pace nell’amicizia cinese. Alcuni giorni dopo il golpe, il generale Prayuth fu fotografato mentre si dava la mano con uomini di affari cinesi per illustrare il credo aperto del governo che si poteva usare la Cina per bilanciare l’impatto delle sanzioni occidentali.
Finora la Cina ha risposto favorevolmente agli approcci thailandesi. La Cina, che non prende posizione nei conflitti interni della Thailandia, non pretende affatto di promuovere i diritti umani o la democrazia, una posizione forte che è di aiuto alla giunta che sa bene come la Cina non promuoverà il dissenso interno cercando riforme politiche.
Thailandia e Cina stabilirono le relazioni diplomatiche nel 1975. Per tutta la seconda metà della guerra fredda, i due paesi si trovarono d’accordo su posizioni anticomuniste verso l’Indocina. Le relazioni bilaterali da allora sono rimaste salutari grazie anche all’assenza di dispute territoriali, a legami forti tra la famiglia reale thai e i capi cinesi e l’influenza della integrata comunità etnica cinese in Thailandia.
Un accordo sino-thailandese, il primo tra la Cina ed uno degli stati membri dell’ASEAN, ebbe effetto nell’ottobre 2003. La Thailandia ha da allora sviluppato una relazione militare con la Cina che comincia a rassomigliare ai legami di sicurezza con gli USA. Sin dagli anni 80, Bangkok ha acquistato armamenti americani ed equipaggiamento militare sotto questa collaborazione a “prezzi di amicizia”. I legami militari sino-thai nel frattempo sono tra i più sviluppati nella regione, secondi solo a quelli della Birmania.
Molti ministri e uomini di affari potenti hanno significativi investimenti in Cina. Il gruppo Charoen Pokphand, uno dei maggiori della regione, fa affari con la Cina sin dal 1949. I conglomerati Thai e Cinesi scambiano con regolarità visite ed informazioni di affari. Un sempre maggiore numero di studenti thai imparano il mandarino spingendo Pechino a inviare tanti insegnanti di cinese a Bangkok.
Complessivamente l’interventismo USA sembra aver spinto ulteriormente la Thalandia nell’orbita cinese. La politica di non interferenza e la sua concentrazione sugli affari piuttosto che i nemici hanno aiutato la Cina a prendere vantaggio sull’occidente nel dopo golpe, permettendo di accelerare in una competizione che si intensifica per la maggiore influenza in Thailandia.
Mentre alcuni politici thai osservano gli USA con occhi sospetti, si trovano a proprio agio con la posizione cinese. Il generale Prawit Wongsuwan, ministro della difesa, di recente ha fatto una visita a Pechino per rafforzare i legami bilaterali. La Cina fu invitata ad investire in Cina nel treno ad alta velocità ed altri progetti infrastrutturali che, benché si trovino nel mezzo di una campagna di lobby giapponese, sono diventati un campo di calcio politico.
Il pragmatismo cinese si è dimostrato efficace nel cementare le relazioni con Laos, Cambogia e Birmania. Gli USA continuano a pungolare la leadership thai con commenti che affrontano la politica interna Thai. A Gennaio fece visita in Thailandia l’assistente del segretariato di stato Daniel Russel che invitò il governo militare a togliere la legge marziale e ridar il potere al popolo.
Le affermazioni di Russel fecero infuriare i generali che vedono nell’attenzione USA alla democrazia e diritti umani un allontanamento dalle posizioni di Washington di sostegno ai militari, alla burocrazia e alla monarchia durante la guerra fredda. Comunque gli USA chiaramente comprendono che questa alleanza si è indebolita durante il panorama politico negli ultimi anni.
Washington riconosce che ci sono nuovi attori nella politica thai che non sono allineati con l’elite politica tradizionale, diversificando di conseguenza la propria politica, sforzandosi di raggiungere le cosiddette magliette rosse sostenitrici di Yingluck e suo fratello Thaksin Shinawatra. In effetti gli USA scommettono che la propria posizione interventista a favore della democrazia sarà una scommessa migliore nel lungo termine rispetto a quella del sostegno pragmatico di Pechino allo status quo militarizzato.
Questo è un gioco dalla posta alta per Washington che rischia di perdere la Thailandia alla Cina, e per Bangkok che potrebbe alla fine trovare che la vita da cliente della Cina sia meno confortevole e meno efficace della propria alleanza con gli USA.
Ci sono domande, per esempio, sulla possibilità che la Cina riesca a dare quella legittimità internazionale che gli USA hanno dato alla Thailandia; se riesce a garantire la sicurezza della Thailandia e se può sostenere l’apparenza di neutralità nel conflitto thai mentre fa affari col governo militare.
In un contesto più vasto, una relazione sino-thai più stretta può anche avere riflessi sulla stabilità regionale, specie se incoraggia la formazione di un alleanza di regimi non democratici che rappresenterebbero un buco nero al cuore del sudestasiatico. Peggio ancora, il sostegno cinese alla giunta thai potrebbe rafforzare la sua posizione ed instillare un grado di fiducia che potrebbe prolungare il suo governo nonostante le condanne internazionali.
Sarebbe questo un effetto perverso dell’interventismo occidentale nonché una tragedia per il paese.
Pavin Chachavalpongpun, AsiaNikkei.com