Il congelamento dei programmi USAID e il ritiro di Trump lasciano mano libera alla Cina di manipolare il conflitto a proprio vantaggio
Il congelamento dei programmi di aiuto americani del Presidente Trump avranno un impatto sul Myanmar distrutto dalla guerra civile, dove i programmi milionari di USAIDS hanno sostenuto la sanità, i diritti, la democrazia e il governo e i programmi dei media indipendenti lungo la frontiera thai-birmana.

Mentre il fermo dei finanziamenti fa parte integrante del più vasto assalto trumpiani ad USAID, ha messo in luce i limiti precedenti ed ora la possibile fine totale del sostegno USA per il movimento democratico birmano e per associazione la vasta resistenza al governo militare installatosi quattro anni fa con un golpe.
Certamente l’impegno di Washington nella lotta del Myanmar contro la giunta che depose il governo eletto a maggioranza straripante guidato da Aung San Suu Kyi era in dubbio anche prima di Donald Trump dal momento che molti della resistenza sentivano che gli USA avrebbero potuto fare di più in favore di questa lotta aperta dei democratici contro le forze autocratiche.
Con il chiaro decisivo ritiro di Trump dal conflitto, la Cina peserà anche in modo maggiore sul futuro birmano. Infatti la Cina è la sola potenza esterna con mezzi, capacità e motivazione per intervenire in modo credibile nei vari conflitti armati del Myanmar e manipolarli in favore del proprio vantaggio strategico.
Altri hanno provato e fallito. L’ASEAN di cui il Myanmar è paese membro, ha fatto un tentativo flebile ed inefficace di negoziare una tregua nella guerra civile con il cosiddetto Consenso in Cinque punti che include le raccomandazioni per colloqui tra giunta e opposizione.
L’ASEAN è stato come sempre bloccata dai due suoi principi cardinali di consenso e non interferenza con la conseguenza che il blocco non ha mai risolto una disputa bilaterale tra i suoi membri e non può mediare un conflitto armato interno ad un paese membro nella sua storia di 58 anni.
Eppure Australia ed Unione Europea hanno affidato la gestione della guerra del Myanmar ad un blocco regionale disfunzionale ed inefficace. I nuovi sforzi di mediazione del conflitto con la presidenza di turno della Malesia nel 2025 e l’aiuto particolare della Thailandia sono allo stesso modo abilmente probdestinati a non giungere a nulla.
Il tutto lascia il campo aperto alla Cina e ai suoi disegni di lungo termine per il Myanmar.
Nonostante la guerra, il commercio è ancora attivo lungo la frontiera lunga 2185 chilometri e sarà ancora più attivo se i piani miliardari cinesi di migliorare le strade, le ferrovie e un grande porto del Corridoio Economico Cinese Birmano, un prodotto del BRI cinese, sarà finalmente realizzato.
La Cina tuttavia fa tuttavia un complicato doppio gioco nel Myanmar.
Da un lato fornisce armi all’ufficialmente gruppo armato neutrale UWSA, Esercito dello stato unito Wa, successore del Partito Comunista della Birmania che Pechino ha sostenuto durante la guerra fredda ed ora è la milizia armata più forte della nazione che fornisce armi cinesi a vari gruppi armati oppositori alla giunta.
Allo stesso tempo la Cina ha sostenuto i regimi militari spesso isolati e sempre violenti del Myanmar, non ultimo dopo che i soldati repressero nel sangue la sollevazione democratica del 1988, un episodio che pervade la nazione in fiamme.
Dopo una breve avventura con gli USA e l’occidente dopo il 2010, sottoscritto da un periodo di apertura politica e limitata democratizzazione, i generali del Myanmar sono ritornati verso la Cina dopo il golpe che rovesciò Suu Kyi ed entrò in una nuova era di condanna e sanzioni americane ed europee.
Certamente la Cina non ha alcun interesse nella nascita di un Myanmar forte, pacifico, democratico e federale, che è l’obiettivo di gran parte delle armate della resistenza.
Finché il Myanmar è in guerra e debole, la Cina può giovare il suo approccio tradizionale del bastone e della carota, promettendo con una mano commercio ed investimenti e con l’altra dando sostegno indiretto facile a negare alle armate etniche via USWA.
Detto questo la Cina non vuole che il conflitto del Myanmar vada fuori controllo dal momento che una grave instabilità sulle aree di frontiera potrebbe spingere migliaia di rifugiati a passare la frontiera e interrompere il ricco commercio transfrontaliero che fornisce uno sfogo chiave per le sue aree interne.
Nè la Cina apprezza i centri delle truffe gestite da cinesi che mirano a cittadini cinesi e che proliferano nelle aree di frontiera senza legge.
Ciò spiega la ragione per cui la Cina di recente ha mostrato la sua mano manipolativa nello stato Shan settentrionale frenando le armate etniche del MNDAA e il suo alleato TNLA, entrambi i quali hanno fermato la propria avanzata sui territori controllati dalla giunta su ordine di Pechino.
Agli inizi di dicembre MNDAA dichiarò un cessate il fuoco con la giunta birmana dopo che il capo Lokang Peng Daren fece un viaggio in Cina per un “trattamento medico”. Nel suo comunicato del 3 dicembre MNDAA disse che una risoluzione del conflitto sarebbe stata cercata “sotto l’arbitrato del governo cinese”.
Un annuncio formulato in modo simile lo ha fatto il TNLA a fine novembre in cui si dice che avrebbe “cooperato sempre con gli sforzi di mediazione della Cina e continuato a cooperare per avere buoni risultati”.
Arakan Army, il terzo membro della cosiddetta Alleanza della Fratellanza, che ha conquistato quasi tutto lo statoi Rakhine, ha annunciato il 29 dicembre che al pari dei suoi alleati del nord è pronta a negoziare con il regime militare, sebbene le ostilità sono continuate di buona lena. Di fatti Arakan Army è sul punto di raggiungere la vittoria totale nel suo stato del Rakhine.
Benché Arakan Army ascolti Pechino, è più indipendente rispetto ad altri gruppi armati perché AA fu creata e addestrata nel 2009 sotto la tutela del KIA, esercito indipendente Kachin, una forza a maggioranza cristiana dello stato del Nord Kachin con relazioni straniere forti come alcune chiese negli USA e i Kachin etnici in India a bilancio del proprio affidamento sulla Cina.
La maggior parte dei capi del AA sono ancora nel quartier generale del KIA a Laiza rendendoli meno dipendenti del MNDAA e TNLA dalla Cina. Tuttavia gran parte dell’armamento del AA viene indirettamente dall’ UWSA e i suoi capi devono passare dal territorio cinese quando vanno da Laiza a Panghsang, quartier generale del Wa, cosa che fanno regolarmente.
Non deve quindi sorprendere molto che AA finora ha evitato di combattere dalle parti di Kyaukphyu nel Rakhine, dove la Cina hanno grandi investimenti in un porto di mare profondo e oleodotti e gasdotti che vanno direttamente nellla provincia cinese meridionale dello Yunnan.
Mentre sono vulnerabili all’instabilità della guerra, quegli interessi danno senza dubbio anche alla Cina un vantaggio strategico, dal momento che è la sola potenza straniera che potrebbe mediare tra Arakan Army e la giunta in Naypyidaw.
L’India non è così esposta come la Cina all’instabilità del Myanmar ma ha allo stesso tempo un grande interesse nella traiettoria e nei risultati del conflitto.
Uno dei principali interessi dell’India è di negare ai ribelli etnici Assamesi, Manipuri e di Nagadei i santuari al di là della frontiera nelle aree remote e montagnose nordoccidentali del Myamar da dove spesso lanciano attacchi e trafficano armi nella loro regione volatile in India.
Il recente malcontento nella regione Sagaing del Myanamr e nello stato Chin, aree alquanto calme fino al golpe del 2021 ha generato nuovi gruppi arrabbiati della resistenza ed è fuoriuscita nel Manipur nell’India del Nordest.
Sul piano economico l’India ha cercato di imporre petrolio, gas ed energia idroelettrica dal Myanmar per la sua economia a rapida crescita, ma questi piani sono stati complicati o fermati dall’instabilità della guerra.
L’India cerca anche, con la sua politica da tempo sostenuta “Act East” di legarsi ai mercati vibranti del Sudest Asiatico attraverso un Myanmar preferibilmente stabile. Tuttavia, persino con questi interessi economici e le preoccupazioni di sicurezza, l’India è difficilmente nella posizione di poter sfidare la pervasiva influenza cinese sul Myanmar.
È ormai diffusa la congettura, se non addirittura idealista, che le forze di resistenza del Myanmar, collettive ma disunite, potrebbero presto rovesciare il regime della giunta dopo aver sottratto alle sue truppe un territorio senza precedenti. Alcuni si sono spinti a prevedere uno scenario di crollo improvviso, come quello recentemente visto in Siria.
Ma come dimostrano i recenti interventi della Cina nelle guerre del Myanmar e il suo controllo su di esse, questo non accadrà a meno che Pechino non lo voglia – e non è affatto chiaro se lo voglia.
E con gli Stati Uniti in piena ritirata trumpiana dal conflitto, le varie forze di resistenza del Myanmar che combattono per il ripristino di una democrazia rubata dalle forze militari lo faranno senza il sostegno reale o anche solo simbolico dell’America.
Bertil Lintner, Asiatimes