Il triangolo oscuro della schiavitù

Mentre continuano nel distretto di Sadao, lungo il confine malese thai, le ricerche su altre eventuali fosse comuni, la polizia thailandese ha fatto i primi arresti in relazione al brutale traffico di schiavi che dalla Birmania e dal Bangladesh porta gli schiavi in Malesia ed Indonesia.

L’incoraggiamento di Prayuth a colpire i responsabili, indipendentemente dal loro status, deve aver avuto effetto immediato. La Thailandia sta lottando fortemente per non vedersi colpire realmente sul livello di esportazioni negli USA, se dovesse ancora una volta ritrovata a non far nulla di concreto contro il traffico umano.

Oltre a tre thailandesi, capi villaggio della zona, ci sarebbe un pesce grosso, Soe Naing, detto Anwar, soprannome nome abbastanza comune. L’uomo è stato inizialmente accusato di frode non di traffico di schiavi, ma per non aver dato seguito al pagamento del riscatto. Poi si sono aggiunte le accuse di traffico di umani, imprigionamento forzato ed altro. In tutto sarebbero otto le persone arrestate.

L’uomo birmano, accusato da alcuni testimoni, rifiuta l’accusa affermando che di Anwar ce ne sono molti in giro e che la sua posizione se l’è fatta lavorando nel settore del caucciù e del pane.

Sul traffico di schiavi che si estende su vari paesi la rappresentante di Fortify Rights, Amy Smith, dice alla Reuters: “Per quanto riusciamo a comprendere, questa è la prima fossa comune che è stata scoperta dalle autorità thailandesi. Questo dimostra il livello di compiacenza della Thailandia nel condurre delle indagini appropriate.” (http://www.reuters.com/article/2015/05/04/us-thailand-rohingya-trafficking-insight-idUSKBN0NP0BL20150504)

Di seguito presentiamo un articolo di un quotidiano del Bangladesh, The Asian Star, sul traffico umano originato in Bangladesh.

Il triangolo oscuro della schiavitù,

Emran Hossain and Mohammad Ali Zinnat with Martin Swapan Pandey

Con la promessa di trovare un lavoro in Malesia, i trafficanti di schiavi transnazionali tenevano migliaia di persone del Bangladesh prigionieri in Thailandia per riscuotere il riscatto per gli ultimi otto anni.

Attirati nella trappola, in tanti hanno fatto il viaggio in navi cargo via mare verso la Thailandia prima sperando di poter attraversare via terra il confine con la Malesia. Ma prima di farli giungere a destinazione, i sogni di tanti cercatori di lavoro sono diventati un incubo collettivo. Tenuti in campi affollati e zozzi nella giungla thai, per mesi se non per anni, sono spesso picchiati e affamati in attesa del riscatto.

triangolo oscuro della schiavitù

La Thailandia è un luogo strategico per mantenere le vittime in regioni montane che punteggiano la sua costa occidentale, dice un cittadino Bangladeshi diventato mediatore di schiavi. “Gli emigranti sono confinati in Thailandia per realizzare il riscatto prima che sono inviati in Malesia, poiché nel passato alcuni espatriati fuggivano dalla Thailandia senza pagare. E’ meglio finire l’affare al punto giusto” ha detto al telefono in condizioni di anonimato.

Solo qualche giorno fa, in un villaggio abbandonato nel distretto di Sadao, la polizia thai ha ritrovato 26 corpi in fosse comuni, dove si sospetta che siano state sepolte le vittime del traffico dal Bangladesh e dalla Birmania.

triangolo oscuro della schiavitùAd ottobre dello scorso anno, la polizia salvò 134 vittime confinate in una piantagione di caucciù nel profondo della giungla. La BBC riportò che erano tutti Bangladeshi, mentre le autorità del Bangladesh affermarono che tra loro c’erano 16 Rohingya Birmani.

Ai primi di settembre un gruppo di 37 persone fu salvato dalla giungla, anch’essi Bangladeshi. Tutto mette in luce un commercio di schiavi moderno che ha preso piede nel Bangladesh e nella regione. Picchiati, abusati e lasciati senza cibo, questi uomini distrutti raccontano una storia orribile di come sono stati strappati nello stile da commercio di schiavi africani dei secoli scorsi e costretti a lavorare in piantagioni in condizioni impossibili.

Secondo il mediatore in Malesia, gli agenti del traffico in Bangladesh guadagnano da 70 a 150 euro a persona immessa nella tratta, mentre i padroni di Cox bazar incassano tra 150 e 300 euro.

Gli schiavi non sono rilasciati dalla giungla thai finché i loro carcerieri non ottengono la conferma dai mediatori in Bangladesh di aver ricevuto il riscatto dalle famiglie delle vittime. Il prezzo varia ma di solito va da 2000 a 4000 euro per vittima. Gran parte della somma transita via mobile Banking, e molti mediatori e trafficanti hanno legami ed accordi con vari agenti di servizi di mobile banking.

Sotto pressione dai trafficanti affinché le famiglie paghino il riscatto, tanti vendono casa, o il piccolo pezzo di terra, o fanno prestiti esosi da usurai locali. Per la natura clandestina è difficile valutare il giro né vere informazioni sul commercio. Ma le varie ONG affermano che la rete si estende su Bangladesh, Birmania, Thailandia e Malesia.

Secondo un rapporto dell’ONU sono 53 mila le persone dal Bangladesh e Birmania ad aver viaggiato verso la Thailandia e Malesia per via mare soltanto. Altre stime basate su fonti secondarie e rapporti giornalistici non riflettono la grandezza reale del fenomeno.

triangolo oscuro della schiavitùA novembre scorso su questo giornale apparve un’intervista a varie vittime trafficate, sei sindacalisti dell’area costiera di Cox bazar e a vari attivisti per farsi un’idea del traffico. Le cifre sono impressionanti: almeno due navi cargo, con 500 persone l’una, lasciano il Bangladesh da 20 miglia marine a sud dell’isola di San Martin, ogni settimana, otto mesi all’anno. Il periodo degli affari si ferma da giugno a settembre per le piogge e il mare turbolento.

Questo pota a 4000 persone schiavizzate al mese o circa 32 mila l’anno. E se si parla di 2000 euro pe vittima si parla di 64 milioni di euro. Ma non tutte le famiglie riescono a pagare il riscatto. Dalle vittime intervistate si sa che se qualcuno non riesce a trovare la somma, molti di loro sono venduti come schiavi.

Che anche oggi in tanti sono venduti come schiavi in Thailandia non è affatto una sorpresa. Nel 2013 fu denunciato sul Guardian che l’industria thai della pesca dal valore di miliardi di euro si regge sul lavoro di schiavi quando le navi fantasma raggiungono la costa thai dalla direzione settentrionale. Mentre il giornale inglese il costo di uno schiavo era di 400 euro in Thailandia, la Reuters dava un prezzo che variava da 120 a 1300 euro.

“Credo che il numero reale di persone che usano quella rotta supererà le stime” dice Hamidur Rahman dell’Università Katabunya di Teknaf….

La stima di 2,5 milioni di migranti trafficati negli ultimi otto anni si basa sull’informazione data d vittime e militanti dei diritti civili e quindi non è definitiva, quanto una stima cautelare. Inoltre si basa su otto anni perché si sono ritrovati testimoni fino ad otto anni fa. Di questi dal 10 al 15% sono Rohingya.

Sulla complicità thailandese, chi è tornato non ha saputo dare nomi, ma dicono che il commercio è controllato da varie organizzazioni. Jewel Barua è uno di quelli salvato dalla polizia nella giungla a gennaio del 2014. Rapito e imbarcato nel novembre 2013. Fu tenuto nella giungla e lì vide un giro gestito solo da donne. La responsabile era chiamata Kaka Rani e sembrava una Thailandese.

Matthew Smith di Fortify Rights ha detto che c’erano migliaia di persone in questa tratta, picchiate e torturate a causa del riscatto, in mare, nei campi nella giungla o in altre aree in Malesia.

“In alcuni casi le autorità thai sono state complici del traffico di schiavi, vendendo detenuti al crimine organizzato che poi li porta nei campi” ha scritto in una mail.

A gennaio di quest’anno le autorità thai confermavano che oltre una decina di rappresentanti thai tra i quali poliziotti e un ufficiale di marina, erano sotto processo per coinvolgimento o complicità nel traffico di schiavi.

Sul versante del Bangladesh Teknaf e l’Isola di StMartin sono nel cuore del commercio. Dopo aver ssere arrivati da vari punti del paese, i cercatori di fortuna sono tenuti in case lungo la costa di Teknaf e derubati di tutto, persino dei sandali. A date fisse sono portati alle barche da assistenti del commerciante, tutta gente del posto.

Chi gestisce queste imbarcazioni sono per lo più thai. Una volt sulla costa thai le vittime sono separati in gruppi secondo i loro padrini a Teknaf e Cox’s Bazar che li hanno inviati.

In radure ripulite della densa giungla thai, i trafficanti istituiscono varie tende in plastica per le vittime che sono spostate da un luogo all’altro per sicurezza e facilitare l’entrata in Malesia.

Lo spostamento richiede ore di viaggio in veicoli pickup senza tetto sul cui retro sono sistemati 20 migranti, avvolti da una plastica porosa. Lungo il percorso quando sono fermati dalla polizia che chiede informazioni sul trasporto Jewel Barua dice di aver sentito dire: “Verdure”.

Secondo vittime e mediatori, oltre a quelli tenuti bloccati nella giungla, ci sono rifornimenti di riserva di migranti nelle boscaglie sulle colline thai e nelle isole lungo la costa e nelle navi alla fonda nel mare delle Andamane. La riserva serve a riempire i vuoti dovuti a vittime eventualmente salvate dalla polizia.

Ci sono vari modi per entrare in Malesia dalla Thailandia. Giovani di un clan thai chiamato Shan di solito spingono gli emigranti nel territorio malese tagliando le recinzioni. Anis è una vittima che dovette correre per cinque minuti per un campo attraverso la frontiera insieme al gruppo dove c’erano donne e bambini.

Prima e dopo l’attraversamento della frontiera un uomo Bangladeshi incontrava le persone che lavorano nelle case lungo i confini di entrambi i paesi senza pagare nulla, dal momento che non riuscirono a pagargli il riscatto.

Anis fu fortunato. Pagò il suo denaro in Thailandia e suo fratello più grande, già in Malesia, andò a prenderlo in Malesia, sulla frontiera punteggiata di case, conosciute come case che ricevono, costruite per mantenere le vittime del traffico.

Il resto delle vittime era inviato a queste case. Là un uomo chiamato Nazrul Islal fu venduto dai mercanti di schiavi ad un supervisore di costruzioni malese, benché avesse pagato già la sua lauta somma. Un tempo l’uomo era povero, ma ora è schiavo.

Difficile dire che accadde al resto del gruppo. Anis lavora ora come lavapiatti in Malesia. “E’ un mito che i trafficanti trovano il lavoro per le proprie vittime” dice Nazrul per telefono. “La gente viene ancora imbrogliata a fare questo viaggio. Forse alcune vittime stanno imbarcandosi sul cargo proprio ora da qualche parte nel larghissimo mare del Bangladesh”.

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