Ci sono state tante ipotesi sul presunto impatto devastante del Coronavirus sull’isola di Bali in Indonesia che ha visto esaurirsi gli arrivi dei turisti sia per le chiusure delle frontiere che per il blocco dei voli nazionali.
Alcune storie bilanciate hanno posto l’attenzione sull’ impatto devastante sul lavoro nell’industria turistica locale, mentre altri hanno osservato l’esperienza di stranieri rintanati a Bali durante la crisi.
Tutte queste storie sono molto diverse per tono e contenuto, ma alcuni hanno teso a privilegiare la prospettiva degli stranieri oppure usare un linguaggio allarmistico a favore di una narrazione che parli di un disastro in arrivo.
Ma qual’è la situazione a Bali? Di certo c’è molto da dire ma ci sono cattive concezioni e discorsi da respingere indietro un po’.
Un punto di inizio è una storia apparsa su LA Times che è molto critico della risposta lenta del governo indonesiano alla crisi, ma poi dice che l’economia del paese è “stata distrutta da una mancanza di turisti in luoghi come Bali”.
Il turismo in Indonesia costituisce una piccola porzione del suo PIL, che conta per lo più su investimenti e consumi delle famiglie. E si somma il valore di tutte le attività economiche di Bali nel 2019, il suo valore assomma al 1,63% della produzione totale indonesiana.
Bali è una parte importante dell’economia indonesiana che fa arrivare grande quantità di moneta pregiata? Certo, ma Bali non è l’Indonesia.
Tuttavia anche se il suo peso economico non è altrettanto grande come il suo peso spropositato nella immaginazione della gente, è una destinazione turistica molto popolare. Un giornale australiano titolava “L’economia di Bali crolla”, mentre Al Jazeera afferma che 80% del PIL di Bali viene dal turismo facendo anche un’affermazione drammatica per cui “senza turismo Bali morirà”.
Quanto precise sono queste affermazioni?
Secondo la BPS, agenzia statistica centrale, il 45% del PIL di Bali nel 2019 è venuto dall’agricoltura, istruzione, manifattura, sanità, servizi finanziari ed altre industrie che non ci si attende siano legate direttamente al turismo. 55% è venuto da hotel, ristoranti, vendita al dettaglio, trasporti, proprietà e costruzioni. Il vicegovernatore ha stimato che il 60% del PIL isolano è sostenuto dal turismo, mentre il capo del dipartimento del turismo di Bali stima che metà della popolazione di Bali è legata al turismo.
La perdita di visitatori è ovviamente un colpo notevole all’economia, particolarmente perché i lavori di servizio sostenuti dal turismo pagano bene, ma appare una sovrastima la cifra del 80%. E’ anche poco chiaro se questo abbia causato il collasso dell’economia.
Solo alcune parti di Bali sono molto esposte ed in modo immediato al turismo. Il più esposto è la provincia di Badung dove si trovano Kuta, Canggu e Seminyak e lì l’impatto è molto immediato. Queste aree sono davvero delle città fantasma. Ma Kuta e Seminyak non sono Bali. Al di fuori di Badung l’industria dominante è l’agricoltura nella maggioranza di Bali che nelle province di Karangasem conta il 25% della produzione e il 26,8% a Bangli. BPS stima che nel 2018 477mila lavoratori erano impiegati nel settore agricolo.
Mentre è possibile una caduta dei prezzi dei prodotti agricoli per la minore domanda da hotel e ristoranti, BULOG che è il mediatore statale di logistica e merci ha detto che cominceranno a comprare riso dai contadini balinesi per stabilizzare i prezzi. Non si vuol dire che l’agricoltura compenserà la perdita di lavoro ed entrate del turismo, ma si vuol dire che l’economia balinese va oltre i luoghi turistici di Nusa Dua e le spiagge di Kuta fino nelle aree meno conosciute dove tanti forti lavoratori che non sono in contatto col turismo lavorano nei locali Sawah e Warung. Ed il loro mondo è ancora molto vivo.
Se ci si muove solo qualche chilometro dalle enclavi turistiche di Kuta e Seminyak si vedono tantissime persone dovunque. Il governo ha chiuso le spiagge, ha detto che alle 9 di sera chiudono tutti, ha vietato raduni di massa raccomandando alla gente di stare a casa se possono. A Sanur la polizia fa fare le flessioni a chi non indossa la mascherina. Alcuni negozi chiudono volontariamente; altri hanno avuto l’ordine di chiusura con i propri modi da piccole unità amministrative locali, Bajar.
Questo sistema variegato di chiusure non è proprio la strategia ideale ma permette ad alcuni di restare aperti e far lavorare per ora i propri lavoratori.
Nella capitale dell’isola Denpasar, il traffico è molto più leggero e molti ristoranti fanno solo asporto. La polizia ha posto posti di blocco per fare osservare le regole, ma la gente continua come meglio può a consegnare alimenti, vendere telefoni, tagliare capelli e stare a galla alla meglio.
Bali forse è attaccata alle bombole di ossigeno ma non è affatto morta. Chi può permettersi di stare a casa lo fa, ma molti non hanno questo lusso. Devono lavorare se possono, mentre la rete di sicurezza sociale indonesiana debole e incompleta, specie per i lavoratori della migrazione non li prenderà. E la vita va avanti. La gente compra benzina. Si fanno riparare il motorino al bengkel. Si presentano al Pasar Badung per contrattare il prezzo dei polli. E’ rischioso? Forse ma l’alternativa è peggiore.
Tenendo fuori Badung e Denpasar, il 50% e più dell’economia nelle altre sette province di Bali con oltre 2,7 milioni di abitanti viene dai consumi delle famiglie.
Ecco la gente compra le cose di cui ha bisogno ogni giorno. Con il turismo bloccato, a sostenere l’economia sono i consumi per ora. Ma la gente può comprare solo se lavora e guadagna. Ecco perché si vedono persone per le strade di Denpasar provando a fare andare avanti il modo. Se si fermassero crollerebbe l’economia di Bali.
L’idea che Bali morirà senza turisti appare vicina all’inquieta narrazione del Salvatore Bianco ad implicare che la gente del posto non ha altra scelta che accovacciarsi, sostenere la crisi finché gli stranieri iniziano a presentarsi e salvarli di nuovo. Questa idea depriva gli indonesiani della loro abilità di agire per fare fronte alla sfida, qualcosa che possono fare e lo hanno fatto molte volte prima. Già si notano gli sforzi della comunità locale a sostegno dei lavoratori che hanno perso il lavoro. Le guide turistiche disoccupate provano a orientarsi verso il commercio.
Sebbene non si voglia dire che la gente non soffra, si deve ancora trovare un cameriere di ristorante od un bagnino o una guardia giurata che appare sconfitto. Nessun negozio ha esaurito la merce. E mentre non si può prevedere quando torneranno i turisti stranieri, il turismo indonesiano conta per la fetta maggiore dei viaggi in arrivo .
Nel 2018 arrivarono 6 milioni di turisti stranieri a Bali, mentre 9,75 milioni sono i turisti indonesiani. Questo dice che il mercato che tornerà in vita e darà qualche entrata al più presto è tirato dagli indonesiani non dagli stranieri.
L’economia di Bali ha avuto un forte colpo, e l’evaporazione del predominante settore dei servizi che dava centinaia di migliaia di lavori ben pagati è una grande perdita sebbene non sia insormontabile. Richiederà uno sforzo monumentale da parte dei Balinesi, con qualche assistenza del governo, di superare queste circostanze storicamente dure. Ma sembra chiaro che questo sforzo è in essere. La vita non si ferma solo perché il turismo si ferma, la gente trova il modo per andare avanti e superare.
Non è chiaro per quanto ancora si andrà avanti così, ma almeno per il momento non ci sono state significative interruzioni di rifornimenti, né crisi di liquidità, né inquietudine sociale.
La gente esce sempre per comprare e vendere le cose di cui hanno bisogno per mantenere l’economia viva. In fin dei conti si deve concludere che sono state fortemente esagerate le notizie di una rovina imminente dell’isola.
James Guild, New Mandala