E’ passata una settimana da quando Ruyati, una lavoratrice indonesiana di Giava occidentale emigrata in Arabia Saudita, è stata decapitata con l’accusa di omicidio del proprio datore di lavoro, senza che siano stati avvisati né il governo indonesiano né la famiglia. E’ una discussione ancora forte nel paese, anche perché assesta un grave colpo alla diplomazia indonesiana che si sta dando molto da fare a livello internazionale anche per la protezione dei propri lavoratori domestici. Infatti è avvenuta dopo alcuni giorni che il presidente indonesiano aveva parlato al forum internazionale dell’ ILO, organizzazione internazionale del lavoro, dove aveva dichiarato: «Credo che questa convenzione possa fornire la guida ai governi che inviano e che ricevono per la protezione dei nostri lavoratori domestici. E’ una questione importante per l’Indonesia.
Ma questa esecuzione ha fatto nascere in tutto il paese una fortissima emozione e numerose proteste contro il governo che si è dimostrato incapace di seguire il processo ed intervenire al momento opportuno per prevenire l’esecuzione della donna. Per molti ha dimostrato che la politica presidenziale sulla protezione dei lavoratori all’estero è solo un guscio vuoto e che molto spesso il personale diplomatico all’estero mostra una generale mancanza di sensibilità per questo problema.
Le proteste del governo indonesiano, benché in ritardo, hanno puntato non solo alla mancanza di informazione ufficiale, ma anche al fatto che i processi contro gli emigrati sono insolitamente veloci, se paragonati ai processi lunghissimi quando le vittime sono gli stessi lavoratori.
Il caso di Ruyati non è il solo in Arabia dove ci sono almeno 25 altri lavoratori, la cui condanna a morte è stata già eseguita, tutti casi in cui le lavoratrici hanno dichiarato di aver agito in autodifesa per le violenze e le torture subite dal proprio datore di lavoro. Di queste 25 solo una non è stata eseguita ancora. Il suo nome è Darsem la cui condannata a morte potrebbe essere commutata se se venissero pagati 400 mila dollari americani. Il caso è stato sollevato dai media subito dopo il caso di Ruyati ed è iniziata una raccolta a cui si è associato il governo che ha deciso così di pagare piuttosto che affidarsi alla diplomazia.
Nel frattempo il presidente stesso alla televisione ha dichiarato:
«Ho deciso di applicare una moratoria all’invio di lavoratori indonesiani in Arabia Saudita con effetto dal 1 agosto, ma saranno fatti i primi passi immediatamente…. finché Indoensia e Arabia Saudita non raggiungano un accordo per dare ai lavoratori indonesiani i loro diritti necessari».
Sono più di un milione i lavoratori indonesiani in Arabia Saudita, la maggioranza cameriere, che rappresentano una fonte di valuta pregiata e una valvola di sfogo per la disoccupazione e la povertà per l’economia guida del sudest asiatico.