L’ideologia della Pancasila indonesiana garantisce la libertà di culto alle cinque religioni, ma essere atei garantisce di non avere alcuno spazio.
Quando Alex Aan trovò una copia del libro “Guerra Santa” di Karen Amstrong in una libreria di Sumatra Occidentale nel 2005, non aveva minimamente l’idea della sua battaglia religiosa personale che avrebbe fatto.
Dopo aver postato su Facebook “Dio non esiste”, l’impiegato dello stato dalla parlata calma corre il rischio, all’età di 30 anni, di essere condannato ad 11 anni di prigione per quello che in Indonesia è considerata una blasfemia.
Il suo caso ha aperto un dibattito nel paese musulmano più popoloso al mondo i cui 240 milioni di abitanti hanno tecnicamente la libertà di religione garantita ma protetti dalla legge solo se essi credono in uno delle sei fedi: Islam, cattolicesimo, Protestantesimo, Buddismo, Confucianesimo e Induismo. Chiunque pone in dubbio una di queste religioni rischia cinque anni di carcere per aver insultato una delle grandi religioni, più altri sei anni se usano internet per diffondere questa “blasfemia” agli altri.
I militanti di movimento affermano che questo è il primo caso in cui si processano atei in relazione ad uno dei pilastri della Pancasila, la filosofia dello stato indonesiano, che richiede di credere in un dio.
Alexander Aan da due mesi è tenuto in prigione ed ha poche speranze per il futuro. E’ stato picchiato da una folla arrabbiata, rifiutato dalla sua comunità e ha sopportato la richiesta di decapitazione fatta da molti. Per ora attende nella sua cella affollata il verdetto imminente e non ha detto a nessuno del suo presunto crimine.
“La verità è troppo pericolosa. Sono davvero preoccupato per il mio futuro ed ho appena cominciato a ragionare al modo di affrontarlo” dice Ann dalla sua prigione di Padang dove era stato spostato dopo essere stato fortemente picchiato da un gruppo di detenuti che conoscevano il suo crimine.
Per poter parlare col proprio cliente per 15 minuti, i suoi avvocati devono fare quattro ore in auto lungo una pericolosa strada di montagna che seziona la foresta pluviale di Sumatra e attraversa le valli fino a finire in un culdesac alle porte della prigione.
“Quello che Alex ha fatto è di esercitare la propria libertà di espressione” dice Taufik Fajrin uno dei suoi cinque avvocati che lo difendono senza prendere un soldo, un gruppo organizzato alla meglio in sandali e maglietta.
“Faremo del nostro meglio per liberarlo ma speriamo solo che ottenga il minimo della sentenza. La promozione dei diritti umani qui è cosa dura perché si ha a che fare con fanatici e gente della linea dura. Anche noi da avvocati abbiamo paura che i puri possano venire al nostro ufficio o alle case e gettare le pietre contro di noi.”
E’ una sfida. “Non c’è davvero modo di sapere quanti atei ci sono in Indonesia, troppo pericoloso.” dice Fajirin mentre si valuta che possano essere atei almeno 2000 persone nel paese.
Per Andreas Harsono il caso di Aan è solo uno dei tanti casi del crescente numero di casi di intolleranza religiosa nell’arcipelago, che va dalla violenza all’attacco di folle e di incendi contro gruppi islamici quali Bahai, Shia e Ahmadiya, attacchi che più di una volta hanno fatto molte morti.
Sarebbero 244 gli atti violenti dello scorso anno, contro la metà del 2007, secondo Setara Institute for Democracy and Peace. Il paese sarebbe sempre più influenzato politicamente e finanziariamente dai religiosi conservatori Wahhabi del medio oriente, specie l’Arabia Saudita, che incitano all’intolleranza in Indonesia.
Ma sono da biasimare secondo Arsono anche le leggi discriminatorie del paese, che vanno dai decreti scritti male contro il proselitismo alle richieste di stabilire la propria religione sulla propria tessera di identità, come anche al sempre più crescente numero di puristi musulmani che hanno assunto la legge nelle loro mani.
“Le vittime continuano ad avere sentenze di carcere sempre più lunghe e chi compie le violenze sempre meno, mentre i diritti umani che stabilimmo dieci anni fa si stanno disfacendo. Vediamo la tendenza a mettere al mando le minigonne negli uffici governativi mentre prima andava bene. I contesti di bellezza andavano anche bene negli anni 70 ma ora sono stati messi al bando in alcune province, mentre la celebrazione di San Valentino erano state accettate 30 anni fa ma sono state messe al bando quest’anno ad Aceh. “ dice Arsono. “La situazione si fa pazzesca. Si discuteva di questi problemi. Ora non si discute. Ora il discorso è solo che è antislamico ed immorale”.
I cristiani indonesiani sono forse quelli che hanno sofferto di più. La Comunità delle Chiese Indonesiane dice che da quando l’attuale presidente ha preso il potere si chiudono 80 chiese all’anno ed altre 1000 congregazioni soffrono di violenze.”
Per i fautori dei difensori della cultura islamica come il capo del Clan di Padang, Zainuddin Datuk Rajo Lenggang, le minoranze religiose come quella di Aan pongono una seria minaccia all’identità nazionale indonesiana e gli atei sono particolarmente rischiosi.
“Se non sei una persona religiosa, potresti essere dannosa per gli altri, comportarti senza controllo e fare qualunque cosa ti piaccia. La religione porta ordine. Non puoi essere un individualista” dice Lenggang.
Benché Aan si sia convertito all’Islam e fatto le pubbliche scuse su Facebook, i duri del Islami Forum Society ha chiesto l’uso della pena di morte per questo caso e Lenggang dice che è ormai troppo tardi per essere perdonati dalla comunità.
“Una volta che tu dubiti dell’esistenza di Allah, sei kafir, non sei più accettato. Nei vecchi tempi, si poteva essere picchiati fino alla morte. Ma potrebbe accadere anche oggi. Si tratta di fede e la gente può essere molto rigida.”
I genitori di Alex descrivono il proprio figlio come una persona devota ed intelligente che è sempre interessato alla logica, alla giustizia e alla verità, soffrono tanto per mantenere le apparenze.
“Mio figlio non è un ateo” dice sua madre Nuraina mentre piange. “Sin da quando era bambino è sempre stato diligente, ha sempre pregato nella moschea 5 volte al giorno.”
Aan, che è sostenuto da una associazione di ex musulmani convertiti all’ateismo di stanza in USA, dice che ha sempre saputo sin dalla sua infanzia di essere un ateo ma ha riconosciuto che doveva nasconderlo agli altri.
“Da quando avevo 11 anni, ho pensato “se esiste dio perché c’è la sofferenza, la guerra, la povertà, l’inferno? Perché a me Dio non creerebbe questo inferno. La mia famiglia mi chiedeva dei miei pensieri ma sapevo ce le risposte avrebbero causato problemi, e allora sono stato in silenzio.”
Guardando fuori dalla finestra verso un gruppo di detenuti che vivono la domenica cantando al Karaoke in un polveroso cortile di prigione mentre fumano e stanno a piedi nudi, Alex dice: “Voglio solo vedere un mondo migliore e dare il mio aiuto per crearlo. Se non posso … allora preferisco morire”.
Kate Hodal, TheGuardian