L’Indonesia ha concluso un’elezione tanto complessa quanto pacifica nel suo arcipelago molto diverso etnicamente cementandosi come un faro di democrazia nel mare di governi autoritari.
La nazione a maggioranza musulmana più grande al mondo ha ancora una forte presenza dell’Islam militante e altre problematiche.
Il grande arcipelago del Sudestasiatico ha visto 190 milioni di elettori porre la propria scheda per eleggere un nuovo presidente, i parlamentari ed i governi locali in un’elezione che è durata un solo giorno. Con 245 mila candidati.
I risultati preliminari sembrano consegnare una seconda presidenza al Joko Widodo il quale però non ha dichiarato vittoria perché il risultato ufficiale si saprà il prossimo mese.
Il suo rivale ed ex generale Prabowo Subianto che ha legami forti con la dittatura di Suharto caduta nel 1998 insiste sulla propria vittoria promettendo di sfidare il risultato.
Fece la stessa cosa senza avere successo dopo la sconfitta contro Joko Widodo nel 2014 e c’è poco che dice che questa volta vincerà.
Nonostante questa incertezza, la presenza democratica indonesiana si erge in un contrasto marcato contro i governi di uomini forti come in Cambogia e Filippine, o i regimi autoritari vietnamita e laotiano, l’incerto andamento della Birmania dopo giunta militare ed una elezione caotica thailandese dopo il golpe del 2014.
“In una regione poco incline alla democrazia, dove l’autoritarismo cresce, la democrazia indonesiana davvero ha un peso, anche se si sta dimostrando più conservatrice” dice Christine Cabasset presso il RICSA di Bangkok.
Una nota ditta di indagini ha registrato una affluenza del 82% nelle elezioni appena passate, la più alta dal 2004.
“La gente vota e fa la differenza. Gli indonesian hanno abbracciato il potere che hanno, specialmente i giovani elettori” dice Bridget Welsh. “Questo depone bene per la maggiore domanda di governo migliore”
Comunque Welsh è stata molto critica da quanto raggiunto da Jokowi nel campo dei diritti umani ed ha dubbi se il presidente userà il capitale politico per salvaguardare due decenni di progresso democratico che alcuni temono che sia minato.
“Credo che nei prossimi cinque anni continueremo a vedere una lenta erosione della qualità democratica” dice Marcus Mietzner della A.N.U. “ma non una discesa verso l’autoritarismo”
Lo stesso Jokowi è stato accusato di favorire un autoritarismo strisciante dopo gli arresti di militanti di opposizione per l’uso della controversa legge di diffamazione online, mentre un decreto permetteva a Giacarta di vietare organizzazioni di massa.
Altri hanno sollevato preoccupazioni crescenti per la rinnovata influenza dei militari che cercano altre posizioni civili nell’arcipelago di 260 milioni di persone e di centinaia di gruppi etnici e lingue.
Nel contempo è stata anche messa sotto la lente la reputazione del paese per la sua tolleranza religiosa da gruppi islamici radicali sempre più attivi che si sono ringalluzziti dopo le vicende del governatore cristiano di Giacarta che fu condannato per blasfemia nel 2017.
Lo scorso anno fu un intero anno contro l’estremismo violento dopo le bombe suicide in varie chiese della seconda città indonesiana di Surabaya mentre in tutta la società cresceva il contrasto tra musulmani moderati e radicali.
“Entrambi i candidati hanno sfruttato l’Islam come questione di campagna elettorale” dice Made Supriatma del Yusof Ishak Institute di Singapore. “Questa guerra religiosa di sicuro avrà effetti sul dibattito politico in Indonesia nei prossimi anni”
La scelta di Jokowi di nominare Maruf Amin come vicepresidente per neutralizzare in parte gli attacchi contro le sue credenziali religiose ha acceso le paure su cosa c’è da attendersi dalle minoranze nei prossimi anni.
La comunità LGBT è stata oggetto di abusi ed arresti ed una donna buddista è stata incarcerata per blasfemia dopo essersi lamentata del volume alto degli altoparlanti di una moschea vicina.
“La riforma dei militari è un must come lo è la protezione delle minoranze ed affrontare l’intolleranza e gli estremismi” sostiene Yohanes Sulaiman della Universitas Jenderal Achmad Yan a Cimahi.
Alcuni vedono tracce della dittatura crollata venti anni fa nel sistema pieno di corruzione attuale.
“Difficile da eliminare” dice Supriatma. “Tutti i partiti sono dominate dalle vecchie figure sia a livello nazionale che regionale.
Tutti comunque sperano in un’altra transizione dolce di potere.
“La democrazia indonesiana è sempre un work in progress” dice Dewi Fortuna Anwar ricercatore dell’Istituto Indonesiano di Scienze. “Ma il fatto che non si scende nelle strade con le pistole se si vuole porre in discussione il risultato elettorale ma si preferisce andare in tribunale è proprio quello una parte grande della democrazia indonesiana”
JAPAN TIMES