In tutta l’Indonesia si chiede a gran voce di non mandare più lavoratori domestici in Arabia Saudita, dopo alcuni casi di presunta tortura contro due donne da parte dei loro datori di lavoro di qualche settimana fa.
La Provincia Indonesiana di Nusa Tenggara Orientale ha già annunciato la moratoria delle donne indonesiane che si recano per lavoro in Arabia Saudita dopo che una donna di 23 anni, Sumiati binti Salan Mustapa, è stata portata in ospedale nella città di Medina.
«Questa moratoria è un’affermazione da parte dell’amministrazione locale che invita il governo centrale ad agire per fermare le violenze contro i lavoratori indonesiani specie di questa provincia.» ha dichiarato il governatore della provincia al sito Kompas.com che ha chiesto al governo di difendere i diritti di Sumiati ed ha promesso di offrire una ricompensa alla ragazza.
Uguale richiesta è stata fatta dal presidente dei deputati indonesiano Marzuki che dice: «La tortura ci ha umiliato come nazione. Quindi se le autorità saudite mancano di mostrare la loro buona volontà nell’affrontare il caso, è meglio che il governo fermi temporaneamente l’invio di lavoratori domestici.»
Secondo la denuncia, il suo datore di lavoro le ha procurato bruciature sul corpo, rompendole alcune dita e tagliandole le labbra con le forbici.
Gli stati del Golfo «devono fare i passi necessari per porre fine a questo trattamento orrendo delle lavoratrici domestiche togliendo quel clima legale di immunità che permette ai datori di lavoro di sfruttare, abusare, assaltare e ferire le loro lavoratrici domestiche con una impunità virtuale.»
In precedenza Human Rights Work spingeva Arabia Saudita, Giordania e Kuweit di fare altri passi per la protezione dei lavoratori domestici nelle loro nazioni indicando come una serie di supposte violenze parlano di un sistema di abusi.
L’Indonesia ha già fatto richiesta di indagine in una denuncia secondo cui una cameriera è stata uccisa e poi buttata nelle immondizie da parte del suo datore di lavoro in Arabia Saudita. Il presidente Indonesiano ha inviato già un gruppo di indagine in Arabia per indagare sulla denuncia di un assassinio di una donna di 37 anni a Abha, violentata e picchiata prima di essere uccisa.
Da più parti si richiede una revisione di questa politica emigratoria, sempre più percepita invece come una tratta delle schiave, una tratta che negli anni precedenti ha visto la morte anche di molte donne filippine e di tutto il sudest asiatico.
Lo stesso presidente indonesiano Yudhoyono dice:
«Lanceremo le indagini su questi due ultimi casi, non solo per ricercare la giustizia ma per far sì che non si abbiano a ripetere nel futuro.»
Rimane comunque per il presidente la necessità di rivedere la politica di inviare domestiche in Arabia Saudita e Giordania. Nel frattempo si augura che i colpevoli saranno puniti secondo la legge.
Sono tre milioni i cittadini indonesiani che vivono e lavorano nel medio oriente, mentre sono un milione quelli che lavorano in Arabia Saudita. Ottantamila sono le lavoratrici domestiche. Rappresentano una fonte preziosa di valuta pregiata, una fonte notevole di entrate per nazioni flagellate dalla povertà e dalla corruzione come le Filippine ma non solo. Per le famiglie sono la fonte preziosa per la sopravvivenza.
Come avviene ad Hong Kong, Singapore e Taiwan, i cittadini indonesiani chiedono delle leggi che tutelino davvero i lavoratori, punendo quei datori di lavoro che si rendano colpevoli di crimini. La vera speranza, comunque, è che i loro cittadini non debbano emigrare più e poter trovare le opportunità per sopravvivere nella propria terra.
Aljazeera – JakartaPost – JakartaGlobe