L’Indonesia abbandona i toni calmi della sua diplomazia precedente per affrontare apertamente le incursioni ripetute della Cina nelle isole Natuna, segnando la discesa in campo della nazione più grande del Sudestasiatico nelle dispute del Mare Cinese Meridionale.
L’occasione è la presenza delle imbarcazioni paramilitari cinesi al largo della costa indonesiana delle isole Natuna, un’area ricca di petrolio, gas e prodotti della pesca che la Cina include nella sua controversa mappa dalle nove linee con cui reclama quasi tutto il mare della regione.
In seguito all’intrusione di imbarcazioni cinesi tra cui due navi della guardia costiera nelle acque della zona economica esclusiva indonesiana, Giacarta a dicembre scorso protestò con forza con Pechino e convocò l’ambasciatore cinese per esprimergli il proprio scontento diplomatico.
Il ministro degli esteri indonesiano ha accusato la Cina di “violazione della propria sovranità” dicendo a Pechino che le rivendicazioni cinesi di diritti tradizionali sull’area non hanno alcuna base legale e che “non sono mai stati riconosciuti secondo la legge UNCLOS”, la convenzione ONU sulla legge in mare.
La posizione dura del ministro degli esteri indonesiani verso la Cina dovrebbe rafforzare anche le rivendicazioni di altri pretendenti come Malesia, Filippine e Vietnam.
Ricordando la storica decisione arbitrale de L’Aia sulle nodo posto dalle Filippine del 2016, con la quale si annullavano la stragrande maggioranza delle pretese cinesi in mare, anche Vietnam e Malesia hanno minacciato di recente di portare la Cina davanti al tribunale internazionale per le dispute in mare.
Secondo le autorità indonesiane, almeno 63 imbarcazioni e due navi della guardia costiera cinesi sono entrate nelle acque territoriali indonesiane vicino alle isole Natuna verso la fine di dicembre. Molte delle navi cinesi sono ancora nell’area ad indicare un potenziale stallo.
La situazione nelle isole Natuna sembrava destinata ad esplodere. Le autorità indonesiane hanno accusato più volte la Cina di fare attività di pesca massicce illegali nelle sue acque usufruendo direttamente dell’aiuto delle forze paramilitari e della guardia costiera che restava sempre in vista.
Le isole Natuna si trovano a circa 1100 chilometri a sud delle isole Spratly che sono contese da Vietnam, Filippine, Malesia, Taiwan e Cina.
La Cina è rimasta ferma sulle proprie posizioni come ha detto il portavoce del Ministro degli esteri cinese Geng Shuang ai media: “La posizione e le affermazioni della Cina aderiscono alla legge internazionale, UNCLOS inclusa. Se le autorità indonesiane l’accettano o meno, non cambierà il fatto oggettivo che la Cina ha diritti ed interessi sulle acque rilevanti”.
“La Guardia Costiera della Cina faceva il proprio dovere pattugliando come di routine per mantenere l’ordine marittimo e proteggere i diritti legittimi e gli intessi della nostra popolazione in acque rilevanti”
Il rappresentante del ministero degli esteri cinese ha immediatamente attaccato la validità della decisione arbitrale de L’Aia del 2016 a favore delle Filippine con cui si scredita la mappa delle nove linee secondo la legge internazionale.
“Il cosiddetto giudizio dell’arbitrato del Mare Cinese Meridionale è illegale, nullo e vuoto e da tempo abbiamo chiarito che la Cina né l’accetta né lo riconosce” ha detto Geng. “La Cina si oppone con fermezza ad ogni paese, organizzazione o individuo che usa il giudizio arbitrale per colpire gli interessi cinesi”
Negli ultimi anni, l’Indonesia ha espressamente evitato di allinearsi con gli USA sostenendo la propria visione di architettura di sicurezza regionale in cui la Cina ha una notevole importanza.
Allo stesso tempo, le relazioni strategiche USA Indonesia sono in una chiara crescita come testimonia la posizione di Washington di normalizzare i legami con le forze speciali indonesiane che precedentemente furono accusate di abusi dei diritti umani.
Pertanto il linguaggio diplomatico indonesiano verso la Cina rappresenta un allontanamento significativo dalla sua politica di evitare conflitti con tutte le grandi potenze, una posizione di “equidistanza pragmatica” come la definisce l’esperto di Indonesia Evan Laksamana.
Vari anni fa, il ministro degli esteri di allora Marty Natalegawa sosteneva una unica comunità del Indo-Pacifico che si basava sui principi di non aggressione e diplomazia pacifica sotto l’egida del ASEAN.
Come ha detto ai media la ministra degli esteri indonesiana Retno Marsudi, “Indonesia considera sempre meglio la cooperazione rispetto alla rivalità con la promozione di un approccio mutualmente benefico”.
Questi sforzi trovarono alla fine il culmine nell’adozione del documento del ASEAN “Prospettive sul Indo-Pacifico” che rigetta espressamente il parteggiare con gli USA contro la Cina nel Mare Cinese Meridionale come anche su altre importanti questioni.
Ora l’espansionismo cinese in mare costringe Giacarta a ripensare quella posizione di neutralità.
Secondo le autorità indonesiane, la pesca pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, IUU, ha colpito in modo grave la comunità di 2,4 milioni di pescatori indonesiani costringendo quasi la metà di loro a lasciare il lavoro. L’ONU stima che la perdita di IUU per l’Indonesia valga 1 miliardo di dollari.
In risposta il precedente ministro della pesca Susi Pudjiastuti adottò una politica aggressiva di “affondare le navi” secondo cui sono state sequestrate e affondate centinaia di pescherecci compreso quelli cinesi.
“Quello che la Cina fa non è pescare, è un reato organizzato transnazionale” disse il ministro indonesiano a fine 2018. “Abbiamo vari disaccordi con la Cina sulla questione della pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata. Loro non sono d’accordo ancora che sia un crimine transnazionale. Ma per lo più questi sono pescherecci di origine cinese con ciurme di diverse nazioni”
Nel 2017 l’Indonesia rinominò l’area di mare come “Mare settentrionale di Natuna” per asserire le proprie rivendicazioni contro l’intrusione cinese e le sue affermazioni di zone di pesca tradizionale.
Benché sia tecnicamente neutrale senza rivendicazioni nel mare cinese meridionale, la nuova dura posizione comporta grosse implicazioni potenziali per l’allineamento strategico della regione.
L’Indonesia, che fu tra le nazioni principali che negoziò l’UNCLOS, fu il primo stato della regione a spingere per una affermazione di piattaforma continentale estesa al di là della sua Zona Economica Esclusiva delle 200 miglia nautiche nel nordest di Sumatra nel 2008.
L’anno dopo sia Vietnam che Malesia presentarono dei documenti congiunti per affermare le loro piattaforme continentali estese nel Mare della Cina Meridionale sfidando legalmente la posizione cinese all’ONU.
A cominciare dal 2015 l’Indonesia fa pressioni perché la Cina chiarisca la base legale ed i parametri della sua mappa delle nove linee mentre sostiene in modo vasto la legge internazionale nell’area.
Nel Summit Australia ASEAN del 2018, l’Indonesia si spinse a chiedere un pattugliamento congiunto del ASEAN nel Mare Cinese Meridionale per aiutare ad allentare le tensioni.
La sua critica rafforzata della Cina probabilmente rafforzerà sia il Vietnam, presidente di turno del ASEAN, che la Malesia, che di recente ha presentato un’altra richiesta di piattaforma continentale estesa all’ONU, ad alzare la posta nel mare cinese meridionale.
Mentre Giacarta probabilmente eviterà un confronto diretto con la Cina è diventata ora un attore attivo e vocale nelle dispute.
Richard Heydarian, Asiatimes.com