I militanti dei diritti umani furono tra coloro che investirono moltissimo nella campagna elettorale per l’elezione di Jokowi, muovendosi sia individualmente che istituendo gruppi di pressione per impedire l’elezione del suo rivale l’ex comandante delle forze speciali Kopassus Prawobo Subianto.
Diversamente da chi lo ha preceduto alla presidenza, Jokowi non fa parte della gerarchia militare o dell’elite del potere civile.
Vari presidenti da Habibie a Susilo Bambang Yudhoyono si sono dimostrati incapaci di affrontare gli abusi dei diritti umani che risalgono al regime di Suharto, tra i quali si annoverano la violenza di massa contro i membri o simpatizzanti del partito comunista indonesiano, la scomparsa di tanti militanti politici nel biennio 1997-98 e gli abusi a Papua, Aceh e Timor Est.
Era ragionevole attendersi che l’amministrazione di Jokowi fosse in migliori condizioni per affrontare questi abusi perché lui non ha alcuna connessione diretta con questi eventi. Ma lo scorso anno ha messo in mostra che Jokowi non è la panacea capace di risolvere gli abusi di diritti umani in Indonesia. Invece ha coltivato legami forti con figure militari attuali e del passato ed ha mantenuto lo status quo rispetto alle violenze del 1965 e alle questioni dei diritti a Papua.
I militanti salutarono la promessa della campagna di Jokowi di Nawa Cita, nove punti che includevano l’esaltazione del governo secondo la legge e l’implementazione di un governo pulito. Il programma di azione di Jokowi, fatto conoscere durante la campagna, prometteva il rispetto dei diritti umani e la giustizia per gli abusi dei diritti umani nel passato. Chi diede il proprio sostegno a Jokowi lo fece in base a questa promessa specifica come pure sul fatto che l’alternativa, Prabowo Subianto, era troppo brutta da contemplare.
La fedeltà dei militanti fu cionondimeno divisa durante la campagna presidenziale. I sostenitori di Jokowi vedevano Prabowo come difficile da digerire. Fu sotto il suo comando che le forze speciali Kopassus furono implicate nella scomparsa dei militanti politici del 1997-98.
Alcuni di questi attivisti hanno sviluppato tecniche per provare ad influenzare il voto. Per esempio la Coalizione contro l’Oblio che coinvolse 25 gruppi civili e di diritti umani, invitavano gli elettori a non sostenere candidati con una storia problematica di diritti umani.
Chi si opponeva a Jokowi indicava sui media sociali che la sua campagna coinvolgeva generali con un passato problematico, come l’ex capo dei servizi Hendropriyono che fu implicato nell’omicidio di Munir, militante dei diritti umani, nel 2004.
Durante la presidenza Jokowi si è dimostrato un presidente politicamente debole che non gode di un chiaro sostegno parlamentare. Persino nel suo partito non mantiene una posizione forte. E’ costretto in modo particolare a soddisfare gli interessi del capo del partito Megawati Sukarnoputri, vicina a certi ufficiali militari.
Sin da quando è diventato presidente, ha fatto nomine che miravano a mantenere i militari dalla propria parte, nomine che hanno attratto critiche. Ha nominato l’ex ufficiale Ryamizard Ryacudu come ministero della difesa e Sutiyoso a capo della National Intelligence Agency.
Ryacudu ha espresso sentimenti radicali antiseparatisti ed è il primo ministro della difesa dal 2001 con una storia militare alle spalle. Sutiyoso è sospettato per il suo ruolo di comandante militare di Giacarta nel 1996 durante l’invasione violenta del quartier generale del Partito Democratico Indonesiano il 27 luglio di quell’anno. Il suo ministro di coordinamento per gli affari di sicurezza è Lahut Panjaitan anche lui proveniente da Kopassus.
Per tante situazioni l’era di Jokowi non ha rappresentato una rottura definitiva rispetto alle altre presidenze come quella di Yudhoyono, per quanto attiene ai diritti umani. Un esempio sono le scuse alle vittime di abusi dei diritti umani. Nel 2012 Yudhoyono promise di chiedere tale scuse ma alla fine non lo fece. In modo simile l’amministrazione di Jokowi rigettò le dicerie che il presidente intendesse chiedere scusa per le vittime degli abusi del 1965. L’approccio dell’amministrazione Jokowi alle altre questioni mostra simili legami col passato.
Due delle questioni più sensibili dei diritti umani sono le violenze del 1965 e Papua.
Le violenze del 1965 coinvolgono colpevoli potenti come i militari e i membri delle organizzazioni religiose come Nahdlatul Ulama. I Papuani continuano a subire gli abusi di diritti umani nonostante l’introduzione dell’autonomia regionale dopo la caduto di Suharto. Questi casi, benché difficili, sono importanti da risolvere se l’Indonesia vuole una rottura col passato.
La posizione di Jokowi sul 1965 è contraddittoria. Mentre ha promesso di chiedere scusa alle vittime, ha tenuto la cerimonia presso il monumento di Lubang Buaya in onore dei sette generali dell’esercito uccisi nel “sacro giorno della Pancasila”, il primo di ottobre, al pari dei suoi predecessori. Il monumento si basa sulla falsificazione della storia compiuta dal regime dell’ordine nuovo. Non cita il mezzo milione di persone uccise nei pogrom anticomunisti del 1965 e 1966. Condurre una cerimonia ufficiale il primo di ottobre senza commentare le menzogne su cui si fondava rafforza semplicemente la versione della storia del Ordine Nuovo in un momento in cui il paese ha bisogno disperato di un consenso nazionale sugli eventi del 1965 piuttosto che l’usuale panico morale sulla rinascita del comunismo.
La questione di Papua illumina anche il dilemma di Jokowi. E’ consapevole dei grandi problemi che esistono a Papua e mostra livelli di simpatia con gli indigeni Papuani. Jokowi ha fatto visita a Papua più di una volta anche durante la campagna elettorale, ed ha promesso che avrebbe fermato la trasmigrazione verso Papua. Nel maggio 2015 ha rilasciato cinque prigionieri politici papuani con un programma di amnistia ed ha dichiarato Papua aperta ai giornalisti stranieri. Non ha comunque menzionato l’invio di truppe da due province. Human Rights Watch nel suo rapporto di novembre 2015 ha mostrato che i giornalisti stranieri continuano ancora ad avere problemi nell’accedere a Papua. In effetti Jokowi è preso in un ginepraio perché non può essere visto come chi dà troppa via libera a chi vuole fare domande sulle politiche repressive indonesiane a Papua.
Jokowi presidente si è dimostrato essere una delusione quando si parla di diritti umani. Per iniziare, non è mai stato un militante né ha partecipato a gruppi od a ONG nel suo sforzo nel trattare con gli abusi di diritti umani del passato, anche se li ha accettati prima della sua elezione. Mentre fanno parte della sua amministrazione militanti del passato ben conosciuti, come Teten Masduki che è il capo del suo staff, allo stesso tempo più e militari si sono uniti al governo.
Per rompere col passato Jokowi deve confrontarsi con le due questioni importanti della storia indonesiana, i fatti del 1965 e i decenni di violenza a Papua. Su entrambi i fronti si è dimostrato riluttante a rompere col passato.
Senza una sufficiente pressione dal basso e dall’estero il regno di Jokowi non promette grandi conquiste per i diritti umani per cui ricordarlo.
Vannessa Hearman (vannessa.hearman@sydney.edu.au), InsideIndonesia.org